San Massimiliano di Tebessa
Nome: San Massimiliano di Tebessa
Titolo: Martire
Nascita: 274, Tebessa
Morte: 12 marzo 295, Tebessa
Ricorrenza: 12 marzo
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Fu un obiettore di coscienza, ma di coscienza luminosamente cristiana, sempre desta e operante. Giovane casto, rettissimo, mite, caritatevole, egli era figlio del veterano Fabio Vitto-rio e come tale, a vent'anni avrebbe dovuto indossare le armi, portando al collo la medaglia dell'imperatore.
Sono rimasti gli atti del processo, avvenuto in Africa, a Tabessa, al tempo del Proconsole Dione Cassio.
« Sono soldato di Cristo - disse Massimiliano -e mi rifiuto di portare al collo la medaglia del-l'Imperatore ».
Il Proconsole lo avvertì: « Poiché ti rifiuti di servire l'Imperatore con le armi, incorrerai nel-la sentenza di morte ». Massimiliano non pro-testò, non inveì contro il Proconsole, non male-dì l'Imperatore. Disse sommessamente: « Sia resa grazia a Dio ».
Venne condotto al supplizio, e per la via andava dicendo: « Fratelli amati, obbedite a Dio per meritare una corona come la mia ». Rivolto al padre lo pregò: « Dona al milite che mi colpirà il vestito nuovo che mi avevi preparato. E noi, tutti e due, senza rancore, glorifichiamo il Signore ».
Fu così decapitato. Una matrona, di nome Pompeiana, chiese ed ottenne il corpo del giovane martire. Sopra una lettiga lo trasportò a Cartagine, dove venne seppellito. Tre giorni dopo Pompeiana moriva e di lì a poco anche il padre di Massimiliano, pieno di consolazione, lasciò la terra per il cielo.
Massimiliano si sentiva cittadino non del mondo, ma del cielo. Obbediva a Dio con completa adesione d'anima e di spirito. La sua vera patria non era quella governata dall'Imperatore, al quale non chiedeva nulla, e nulla doveva, né ricchezza, né potenza, né onori. Era un cristiano puro, che poteva donare la propria veste al soldato che l'uccideva, senza il minimo rancore e senza la più piccola in-certezza, perché la morte del corpo significava per lui la vita eterna dell'anima.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Tebessa in Numidia, nell’odierna Algeria, san Massimiliano, martire, che, figlio del veterano Vittore e anch’egli arruolato nella milizia, rispose al proconsole Dione che a un fedele cristiano non era lecito servire nell’esercito e, rifiutatosi di prestare il giuramento militare, fu giustiziato con la spada.
Sono rimasti gli atti del processo, avvenuto in Africa, a Tabessa, al tempo del Proconsole Dione Cassio.
« Sono soldato di Cristo - disse Massimiliano -e mi rifiuto di portare al collo la medaglia del-l'Imperatore ».
Il Proconsole lo avvertì: « Poiché ti rifiuti di servire l'Imperatore con le armi, incorrerai nel-la sentenza di morte ». Massimiliano non pro-testò, non inveì contro il Proconsole, non male-dì l'Imperatore. Disse sommessamente: « Sia resa grazia a Dio ».
Venne condotto al supplizio, e per la via andava dicendo: « Fratelli amati, obbedite a Dio per meritare una corona come la mia ». Rivolto al padre lo pregò: « Dona al milite che mi colpirà il vestito nuovo che mi avevi preparato. E noi, tutti e due, senza rancore, glorifichiamo il Signore ».
Fu così decapitato. Una matrona, di nome Pompeiana, chiese ed ottenne il corpo del giovane martire. Sopra una lettiga lo trasportò a Cartagine, dove venne seppellito. Tre giorni dopo Pompeiana moriva e di lì a poco anche il padre di Massimiliano, pieno di consolazione, lasciò la terra per il cielo.
Massimiliano si sentiva cittadino non del mondo, ma del cielo. Obbediva a Dio con completa adesione d'anima e di spirito. La sua vera patria non era quella governata dall'Imperatore, al quale non chiedeva nulla, e nulla doveva, né ricchezza, né potenza, né onori. Era un cristiano puro, che poteva donare la propria veste al soldato che l'uccideva, senza il minimo rancore e senza la più piccola in-certezza, perché la morte del corpo significava per lui la vita eterna dell'anima.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Tebessa in Numidia, nell’odierna Algeria, san Massimiliano, martire, che, figlio del veterano Vittore e anch’egli arruolato nella milizia, rispose al proconsole Dione che a un fedele cristiano non era lecito servire nell’esercito e, rifiutatosi di prestare il giuramento militare, fu giustiziato con la spada.
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