Don Olinto Marzocchini primo parroco di Rolando Rivi
Romanoro, Modena, 6 agosto 1888 - 7 gennaio 1972
È un paese di campagna, S. Valentino, dai gruppi di case sparse
sulle prime alture dell’Appennino, tra il torrente Tresinaro e il
fiume Secchia, a più di 300 metri di altezza (Castellarano - Reggio
Emilia). La chiesa risalente al secolo X, in stile romanico, di
aspetto rustico e sicuro, sembra un po’ una fortezza, ma ancora più
una buona madre intenta a proteggere i suoi figli.
Il popolo di
S. Valentino lì veniva a trovare luce, coraggio e senso cristiano
della vita; lì, nella casa di Dio, incontrava Gesù Cristo, unico
Salvatore, e in Lui si raccoglieva in unità. Casa di Dio, come casa
del popolo suo; davvero "pieve", dal latino "plebs"
(=popolo) da cui "domus plebana", casa del popolo
cristiano, Corpo mistico di Gesù.
Ricco di "tesori"
A
questa illustre pieve, nel maggio 1934, giunse un nuovo parroco, don
Olindo Marzocchini, nato a Romanoro (Modena) il 6 agosto 1888.
Sacerdote il 13 maggio 1915, aveva prestato servizio militare per
tutta la guerra, fino al 1919. In mezzo ai soldati, in un clima
impregnato di massoneria e di socialismo, si era distinto per la sua
chiara identità sacerdotale: un padre, un apostolo di Gesù, più
forte dell’odio e della guerra, capace di sfidare la morte ogni
giorno.
Dal 1919 al 1934, era stato parroco prima a Novellano,
quindi a Gazzano (Reggio Emilia), rivelandosi uomo tutto di Dio, un
vero leader delle anime. Nel 1934, salendo a S. Valentino, don Olinto
aveva 46 anni: era pieno di amore a Gesù e di dedizione verso i suoi
parrocchiani. Era nel pieno della sua maturità, ricco di veri
"tesori", anche se poco appariscenti al mondo: una
ricchissima vita interiore, uno stile sacerdotale pastorale
inconfondibile, attento alla sostanza e alle cose che veramente
contano: Gesù, la salvezza eterna delle anime, la fuga dal peccato e
la vita in grazia di Dio, la preghiera, i Comandamenti di Dio,
l’inferno da evitare, il Paradiso da raggiungere.
Il posso
lungo e frettoloso, riservato di gesti e di parole, l’abito talare
di parroco di campagna, attraente, fin dall’inizio, per un
singolare fascino che emanava dalla sua persone. Si mise subito
all’opera. La sorella Emma, in silenzio e in opere nascoste, lo
coadiuvava. Prese a visitare le famiglie della parrocchia, per
conoscere le anime a lui affidate, una per una… Subito prese a
rinvigorire l’Azione Cattolica, dai più piccoli agli adulti, a
curare meticolosamente il catechismo ai fanciulli e ai ragazzi, per
prepararli ai Sacramenti e costruire vite sicure su Gesù, roccia
viva. A S. Valentino, la S. Messa festiva, Sacrificio di Gesù
sull’altare, doveva costituire il centro delle settimana, della
vita: per questo preparò i chierichetti al servizio dell’altare e
organizzò una valida cantoria per solennizzare le
celebrazioni.
Voleva che i suoi parrocchiani vivessero davvero
in grazia di Dio. Appena arrivato nella sua chiesa, fece mettere un
inginocchiatoio per sé alla destra dell’altare e là trascorreva
lunghe ore della giornata, pregando e meditando, studiando e
lavorando davanti a Gesù eucaristico. Così ogni giorno e tutte le
sere, anche fino a mezzanotte, la finestra illuminata vicino
all’altare diceva alla gente che il loro pastore stava vegliando in
preghiera per loro.
Incentrato in Gesù
Tra i chierichetti
più piccoli, ebbe anche Rolando Rivi, di 5 anni appena, ma più
vispo e attivo che mai, nato sulla colina del Poggiolo il 7 gennaio
1931. Don Olinto lo ammise alla prima Comunione, preparatissimo, il
16 giugno 1938, solennità del Corpus Domini, e alla Cresima, il 24
giugno 1940. Diventato chierichetto sempre più assiduo dalla
Messa-comunione quotidiana, vedeva spesso don Olinto al suo
inginocchiatoio, assorto in colloquio con Gesù. Oppure in
confessionale, intento a donare il perdono di Dio e a dirigere le
anime… Ne rimaneva affascinato.
Nel 1939-’40, venne la
guerra: don Olinto disse apertamente che "l’immane tragedia
era il frutto abissale delle ideologie più perverse quali il nazismo
e il comunismo, afferratesi proprio con l’esclusione di Gesù,
l’Uomo-Dio, dalla storia".
Il parroco aveva pure pensato
al divertimento dei bambini e dei giovani dando vita al campo da
gioco e all’oratorio, come luoghi di incontro e di formazione.
Anche lì, don Olinto rendeva presente Gesù, in modo che dovunque,
in un clima di serietà e di gioia, tutti i giovani avessero a
incontrarlo, al vivo, il Salvatore. Già nei primi anni di
parrocchia, maturarono le prime vocazioni al sacerdozio e alla vita
religiosa, come per un contagio e la proposta chiara che egli faceva.
Anche Rolando si legava sempre di più a Gesù, vedendo il lavoro
apostolico di don Olinto: il suo farsi tutto a tutti per guidare il
gregge alla vita cristiana; la sua presenza in mezzo alla gioventù
che chiamava a un’intensa vita di preghiera eucaristica e mariana;
il catechismo agli adulti ogni domenica pomeriggio, assai
frequentato; la carità che con la sorella Emma esercitava verso il
più poveri (nessuno può dire quante tonnellate di derrate
alimentari siano uscite dalla canonica in tanti anni); la sua
disponibilità a qualsiasi ora a confessare ed a dirigere le anime.
Don Olinto era vicinissimo con cuore di padre a coloro che soffrivano
per malattie, povertà o lutti familiari. Allora diceva: "La
pietà la si deve ai morti ed ai vivi rimasti a piangere. Piangete,
perché è umano e le lacrime sono un dono, ma guardate a Cristo ch’è
la risurrezione e la vita".
Era davvero un buon pastore a
immagine di Gesù. La sua opera pastorale radicata nel grande mistero
dell’Incarnazione del Verbo che si fa uomo per la nostra salvezza,
non soltanto in una sapienza o in valori umani, era incentrata in
Gesù Cristo: nasceva dalla Verità che per ispirare e orientare le
azioni umane, ha sempre bisogno del Magistero e del Sacerdozio - come
il suo - che la ricerchi, la custodisca, la comunichi, la fecondi con
l’esempio e con l’amore, in una parola la renda vita.
Omelie
brevi, disadorne, ma con messaggi che andavano diritti al cuore,
perché intessute di parole di vita eterna. Costringeva così a
interrogarsi sul senso e sul destino eterno della vita, oltre la
minuta esperienza che ciascuno consuma nella sua storia
personale.
Pastore affascinante
Rolando voleva un
gran bene a don Olinto e quando all’altare consacrava il Pane e il
Vino (e lui gli serviva la Messa inginocchiato sul gradino
dell’altare), transubstanziandoli in Gesù stesso, e poi lo donava
ai fedeli nella Comunione, gli pareva così grande da toccare il
Cielo. "Perché -si domandava allora - non posso diventare
anch’io come lui?". Ai primi di ottobre 1942, Rolando entrò
nel seminario minore a Marola (Carmineti - Reggio E.). A S.
Valentino, non era il primo a farlo, e don Olinto, benché così
riservato, "scoppiava" di gioia.
Durante le vacanze,
accoglieva i suoi seminaristi in parrocchia per la Messa e la
preghiera a Gesù Eucaristico, il Rosario alla Madonna, per svolgere
con lui qualche buona attività. Avrebbe voluto che essi stessero
sempre con lui, soprattutto quel "frugolo" di Rolando che
pur così vivace nel gioco e estroso, all’altare era come rapito da
Gesù in un’estasi di fede e di amore. A quei giovanissimi leviti,
ora egli appariva ancora più ammirevole, insieme alla sua intensa
vita di preghiera, per lo studio e l’approfondimento continuo della
teologia e dei problemi del suo tempo: sempre informato su tutto,
capace di discernere e di guidare.
Era quasi ossessionato, tanto
più in tempo di guerra, dalla povertà in cui vivevano diverse
famiglie e distribuiva molte abbondanti elemosine. Ma preferiva, con
un pretesto, far eseguire lavori a coloro che erano nel bisogno per
poterli remunerare con un salario, rispettando così la loro dignità.
Aveva anche creato una ricca biblioteca con libri e riviste buone di
ogni genere: ai seminaristi dava in lettura vite di santi e famosi
romanzi, come Quo vadis, Fabiola, Ben Hur… adattati alla gioventù.
Rolando gli chiedeva storie di missionari, perché - diceva - "Io
sarò sacerdote, poi partirò missionario per convertire tante anime
a Gesù". Don Olinto lo accontentava con un orgoglio segreto per
lui, il piccolo seminarista che anche a casa non posava mai un attimo
l’abito talare e lo portava anche giocando a pallone!
Sangue
tra i chiamati
La vita a S.
Valentino trascorse abbastanza tranquilla fino all’estate 1944,
quando, come in quasi tutta l’Emilia dilagò l’odio ai preti, che
pure operavano soltanto per la pacificazione degli animi e
denunciavano le violenze da qualunque parte venissero compiute: dai
comunisti, secondo la dottrina marxista-leninista della rivoluzione
proletaria, i preti erano ritenuti il nemico da eliminare. Questo è
il "comunismo intrinsecamente perverso" (Pio XI, Divini
Redemptoris, 1937).
Così a S. Valentino fu preso di mira
proprio il parroco. Una mattina di luglio 1944, si venne a sapere
che, durante la notte precedente, alcuni partigiani comunisti lo
avevano fatto uscire dalla casa parrocchiale e lo avevano aggredito e
umiliato portandogli via persino le scarpe dai piedi. Eppure era
stato per tutti un vero padre… Qualche giorno dopo, riparò in un
luogo più sicuro, mentre a sostituirlo arrivava un giovanissimo
prete appena ordinato, don Alberto Camellini. Rolando accompagnò il
"curato" don Alberto in visita alle famiglie; ormai, con il
seminario chiuso, perché occupato dalle truppe tedesche, egli viveva
a casa, con stile da seminarista, senza mai togliersi l’abito da
prete, con una presenza luminosa e forte, di fede e di verità che
"urtava" i comunisti nemici di Cristo e della Chiesa.
Ma
a Pasqua 1945, don Marzocchini era già di nuovo al suo posto a S.
Valentino, forte e sicuro nel suo sacerdozio. Il 10 aprile 1945,
alcuni partigiani comunisti portarono via Rolando e lo consegnarono
ai loro "colleghi" a Monchio, i quali dopo averlo
torturato, proprio come Gesù durante la sua passione, il 13 aprile
1945, lo finirono con due colpi di rivoltella, al cuore e alla testa:
in odio alla fede e al sacerdozio cattolico. Seminarista martire e…
santo!
Don Olinto rimase impietrito dal dolore e il 29 maggio
1945, nella pieve di S. Valentino, celebrò il "trionfo"
del piccolo martire: "Non bastano - disse - le nostre lacrime a
piangere Rolando. Ma guardate a Cristo che è la risurrezione e la
vita. Cristo asciughi le lacrime dai nostri occhi". Per quanto
rimarrà a S. Valentino, 22 anni ancora, egli non dimenticherà mai,
anzi si ispirerà per sempre allo stile e al sacrificio del suo
"pretino", il prediletto, lo indicherà come modello ai
ragazzi e agli adulti, lo pregherà per la sua missione, che ora,
finita la guerra, ma restando ancora tanto odio, sarà quella di
ricostruire le anime e il suo popolo. Il mondo, il "suo"
mondo non sarà mai più come prima.
"Solo Gesù è
Salvatore!"
Sull’orrendo cumulo di morti, atrocità,
sofferenze e rovine che la guerra lasciava come drammatica eredità,
contava per lui trarre una "lezione di umanità" per
ritrovare nell’insegnamento cristiano e nella pratica della carità
le basi per un mondo diverso, a misura d’uomo, soprattutto a
immagine di Cristo. Don Olinto iniziò un lavoro difficile e non
sempre fruttuoso: le trasformazioni di mentalità, di idee e di vita
investirono anche la comunità di S. Valentino, ma lui, ormai
sessantenne, si buttò in un impegno di chiarificazione e di
comprensione, di continuo richiamo a Gesù, indispensabile per
costruire o ricostruire l’esistenza, di ancora maggiore coerenza al
Vangelo e al suo sacerdozio.
In questo sforzo, stimava
l’efficacia dell’attività educativa e si applicò in prima
persona, senza scoraggiarsi mai, a insegnare e a formare uomini e
donne, persuaso che non si educa per davvero che nella Verità e alla
Verità, la quale è soltanto Gesù. Una prova di fedeltà per lui
era l’adesione al Papa - Pio XII - e al suo Vescovo diocesano,
Mons. Beniamino Socche, a Reggio dal 1946 al 1965, vero "defensor
fidei" et civitatis". Alla luce del magistero del Papa che
chiamava all’impegno cristiano nella società, don Olinto si doleva
dal torpore di certi cattolici insensibili ai problemi della vita
sociale e politica e vedeva i pericoli di una fuga nel privato, come
evasione e indifferenza.
Nel comunismo allora dilagante, nel
laicismo senza Dio, lo rattristava la stanchezza dei buoni e il sonno
nella colpa, e si amareggiava per tanta "cultura della
menzogna", di cui i mezzi di comunicazione sociale stavano
diventando gli strumenti privilegiati. Riteneva indispensabile
recuperare in ogni cosa il primato di Gesù Cristo - "Gesù solo
è il nostro Salvatore, Gesù solo è l’unico nostro Re!" -
che per generazioni aveva guidato le persone, le famiglie, le
comunità, la storia, e che persino ai non-praticanti aveva ispirato
i valori di fondo della civiltà.
Negli ultimi anni del suo
ministero si affliggeva soprattutto per l’incomprensione
dell’autentica missione del sacerdote: non è uno psicologo o un
operatore sociale, il prete, ma l’uomo di Dio che in Cristo conduce
gli uomini a Dio solo, con l’evangelizzazione, la carità
teologale, i Sacramenti preparati, accolti, vissuti. Fino all’ultimo,
nella pieve e per le strade di S. Valentino, a indicare Gesù, unica
via, unico Amore.
Poi, dopo 33 anni di parrocchia, una giornata
grigia di novembre 1967, don Olinto Marzocchini si trasferì nella
casa di suo fratello Ulisse a Pratissolo, a pochi passi da S.
Valentino. Appena sceso dall’auto, disse: "Ecco, ora ci
ritroviamo come quando eravamo bambini". Passò gli ultimi
cinque anni quasi continuamente in preghiera. Negli ultimi mesi, non
volle più celebrare la S. Messa, (accontentandosi solo della
Comunione eucaristica), perché diceva: "È realtà troppo
sublime e io non ho più la necessaria lucidità". Gli dissero
che doveva fare testamento. Rispose: "Io non ho nulla da
lasciare. Ho amato tutti. Vi lascio Gesù Cristo. Arrivederci nella
casa del Padre".
Il 7 gennaio 1972, proprio il giorno del
compleanno di Rolando Rivi, il suo "piccino" martire, don
Olinto, 84 anni, carico di meriti, andò incontro a Dio: siamo certi
che sulla porta del Paradiso c’era Rolando a fargli festa.
Ciò che scrisse don Olinto a proposito dei partigiani comunisti
«È un atto d'azione barbarica, scatenato dall'odio satanico, di cui sono animati i materialisti, che sotto la finta di partigiani, svolgono una vera attività di brigantaggio di persecuzione religiosa».
(Don Olinto Marzocchini primo parroco di Rolando Maria Rivi)
Nessun commento:
Posta un commento