Translate

27 dicembre, 2020

Un mese senza don Antonio Maffucci FSCB

 Un mese senza don Antonio Maffucci FSCB

Signore misericordioso, che al tuo servo, sacerdote, ANTONIO MAFFUCCI FSCB, nel tempo della sua dimora tra noi, hai affidato la tua parola ed i tuoi sacramenti, donagli d'esultare per sempre nella liturgia del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.



REQUIEM AETERNAM
Réquiem aetérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace. Amen.

L'ETERNO RIPOSO
L'eterno riposo dona a don Antonio, o Signore,
e splenda a Lui la luce perpetua.
Riposi in pace. Amen.


24 dicembre, 2020

Natale del Signore


A partire dalle 19 di giovedì 24 dicembre, il Centro Comunicazioni sociali della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla trasmette la Messa della Notte di Natale presieduta dal vescovo Massimo Camisasca.


14 dicembre, 2020

1857: 14 dicembre si fondò l'Odine delle Suore Orsoline in Somasca

 Aiutata da un Padre Somasco, stende la bozza delle Regole attingendo a quelle delle Orsoline di Milano e le presenta al Vescovo di Bergamo, Mons. Speranza, che l'accoglie bruscamente e le nega l'approvazione.

Umiliata ma non abbattuta, Caterina si rimette all'opera, ma non avrà la gioia di vedere compiuto il suo sogno: muore il 5 maggio 1857... Mons. Speranza si recherà a Somasca il 14 dicembre dello stesso anno!

Così è il destino dei santi: gustare nell'aldilà, nella luce di Dio, il premio delle loro fatiche.

Papa Pio IX approva il decreto dell'ordine delle Suore in Somasca



11 dicembre, 2020

Don Antonio: un «Nuovo inizio» che si è compiuto nell’eternità

 Bastava guardarlo durante la consacrazione del pane e del vino, mentre celebrava la santa Messa, per capire che Gesù è vero. Così era don Antonio Maffucci: l’intensità della sua partecipazione al mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo era così profonda da stupire quanti lo incontravano. Un’appartenenza totale a Gesù che riverberava nella passione per il bene dei moltissimi amici che aveva in ogni parte d’Italia. Di questa passione è testimonianza l’ultimo messaggio che ci ha inviato il 7 ottobre scorso. Un testo in cui ripercorre tutti i passi della sua vita, dal giorno della nascita, e che contiene quasi un annuncio profetico della sua chiamata al cielo, il 27 novembre, dopo quasi un mese di ricovero in terapia intensiva. Don Antonio anelava a “un nuovo inizio, in un profondo silenzio, senza clamore, potente e discreto”. Quel “nuovo inizio” che si è compiuto nell’eterno.




02 dicembre, 2020

Funerale di don Antonio Maffucci F S C B


Omelia per il funerale di don Antonio Maffucci, FSCB


Cattedrale di Reggio Emilia, 2 dicembre 2020


Cari fratelli e sorelle,

questa liturgia di comminato, che celebriamo con commozione e abbandono filiale alla volontà di Dio, si colloca all’inizio del periodo di Avvento. Non possiamo vedere in ciò se non un segno misterioso e provvidente di Dio che ci richiama a considerare non soltanto la venuta di Gesù nella storia – nella capanna di Betlemme –, non soltanto la sua venuta di ogni istante nel nostro cuore – attraverso il dono dello Spirito –, ma anche la sua venuta nella gloria quando, compiuto il tempo e riconosciuto che tutto è ormai nelle sue mani, consegnerà al Padre l’universo (cfr. 1Cor 15, 24). Da allora in poi sarà definitivamente concluso il tempo del dolore e della morte come abbiamo sentito profetizzare con chiarezza da Isaia nella lettura che la Chiesa oggi ci ha proposto.

Non solo: ogni nostra lacrima sarà asciugata, ogni menzogna apparirà come tale perché Dio strapperà il velo che copre il destino di tutti i popoli (cfr. Is 25,7). La nostra vita sarà soltanto gioia e comunione. Nella comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito appariranno in trasparenza le nostre esistenze completamente purificate: il banchetto ricco di vivande grasse e di vini eccellenti – a cui ci hanno preparato non solo l’Antico Testamento, ma anche le parole stesse di Gesù – rivela per noi, poveri uomini, attraverso un’immagine seppur sbiadita e lontana, ciò che ci attende.

In questa luce il mistero della morte ci appare come uno strappo dolorosissimo, ma insieme anche come il giorno della nascita: dies natalis, secondo l’espressione bellissima già in uso nelle origini cristiane. Abbiamo passato tutta la vita nel buio verso la luce. Il genio di Platone aveva già compreso tutto: viviamo in una caverna[1], come il bambino nella placenta della madre durante i mesi di gravidanza, ma questa non è ancora la vita piena, anche se è già vita, anche se è già illuminata e conquistata dalla grazia di Dio. È vita in attesa del suo compimento definitivo. Così come dolorosamente il bambino esce dal seno della madre, allo stesso modo noi usciamo dolorosamente da questa esistenza per entrare nella vita definitiva. Come sapientemente e semplicemente ha scritto Teresa di Lisieux: «Non muoio. Entro nella vita»[2].

 

Questa liturgia di commiato mi richiede, con dolce obbligazione, di parlare di don Antonio affinché il segno così luminoso della sua vita non sia dimenticato. Don Antonio è stato il primo giovane che ho incontrato fra coloro che sarebbero poi entrati nella Fraternità san Carlo. Io avevo 21 anni, lui 18. È stato subito un avvenimento di amicizia, che non si è mai interrotto per più di 50 anni. Nessuno di noi due allora poteva immaginare, neppur lontanamente, dove ci avrebbe portato la vita. Eravamo due giovani entusiasti di Cristo e della Chiesa, conquistati dall’ardore missionario di don Giussani, desiderosi di fare conoscere la ragione della nostra gioia a tutti i nostri coetanei. Dopo un po’ di anni ci siamo trovati assieme in seminario a Bergamo e lì, con Umberto Fantoni, è nato il primo seme, assolutamente inconsapevole, di quello che sarebbe stata poi la Fraternità san Carlo. Non abbiamo mai fatto progetti. Ci lasciavamo semplicemente portare da ciò che lo Spirito ci dettava attraverso le richieste degli amici e della Chiesa. Antonio era mosso da una generosità senza limiti, che ai miei occhi appariva anche un po’ folle. Già da giovanissimo stringeva rapporti con un’infinità di persone che non sarebbero più svanite dalla sua memoria e che avrebbe rivisitato dopo anni e decenni come fosse la prima volta, arrivando naturalmente sempre in ritardo perché il suo cuore lo portava a programmare più di quanto poi potesse realizzare. L’automobile era la sua casa e io tremavo pensando ai pericoli che correva ogni giorno senza assolutamente riuscire a farlo demordere. Attraverso di lui, centinaia di giovani – prima a Pescara, poi a Roma e poi a Grosseto, dove ha insegnato nelle scuole superiori per più di 20 anni – hanno conosciuto Cristo per la prima volta o l’hanno incontrato di nuovo secondo una modalità affascinante che non avrebbero più dimenticato. Decine di questi ragazzi avrebbero poi scoperto una vocazione di dedizione totale a Dio nelle diverse forme che la Chiesa offriva loro. Per tutti questi ragazzi don Antonio è stato un padre.

Mi ha commosso leggere in questi giorni alcune loro lettere. «Con lui muore una parte di me, muore perché sento strapparmi l’esperienza di un affetto e di una paternità che ha segnato la mia adolescenza e giovinezza. Mi ha insegnato che tutto ciò che di bello abbiamo vissuto sarà per l’eternità»: così mi ha scritto un suo scolaro, ora sacerdote nei cappellani militari. Aggiunge anche: «Era confusionario, macinatore di chilometri, sbadato, stralunato, non aveva il senso del tempo, te lo trovavi a casa a qualunque ora, proveniente da ogni parte d’Italia». Un altro mi scrive: «Entrò in classe al liceo classico di Grosseto con un accento del Nord. Ci chiedeva di proporre delle canzoni o delle poesie per parlarne assieme. Le sue lezioni avevano sempre un taglio esistenziale che era per me totalmente nuovo. Iniziò un cammino nel quale io e don Antonio ci vedevamo quasi ogni giorno. Il più grande amore che mi ha trasmesso è stato quello per l’Eucaristia. Ho imparato da lui la passione missionaria. Il suo essere perennemente in ritardo ci faceva proprio arrabbiare». E conclude in modo commovente: «Non poteva arrivare in ritardo anche stavolta?».

Col tempo don Antonio è cambiato. Sono entrati nella sua vita un’infinità di persone malate nel corpo e nello spirito. È cresciuta così la sua devozione a Maria, i pellegrinaggi a Međugorje, le preghiere di liberazione. Talvolta mi sono trovato a correggerlo su alcuni aspetti della sua pastorale che mi sembravano esagerati. Ma egli, come sempre, non conosceva se non una regola: la dedizione senza risparmio alle persone che si rivolgevano a lui.

Quando è arrivato a Reggio come rettore del santuario di san Valentino, don Antonio era visibilmente invecchiato. Anche se il calendario diceva che avrebbe potuto avere ancora molti anni davanti a sé, il suo volto e la sua voce mi parlavano di una stanchezza interiore che mi rattristava. Aveva chiaramente dato tutto se stesso.

 

Questa morte per me non è come le altre, come la morte di altri amici che ormai, molto numerosi, mi hanno preceduto nella casa del Padre. Si tratta di un fratello con cui ho condiviso un’infinità di momenti. È strano: dopo aver firmato con me e altri fratelli la fondazione della Fraternità, non è entrato nel governo di essa, non gliel’ho chiesto e non si è mai lamentato. Progressivamente ha preferito una vita solitaria. Non perché rifuggisse la compagnia, ma perché questo era il suo modo di essere nella Chiesa. Anche in una Società di vita apostolica si può vivere da solitari. Benché questa sia un’eccezione, dobbiamo ricordarci che lo Spirito ha sempre la prevalenza su ogni nostro schema, anche quello più motivato.

La scomparsa di don Antonio, avvenuta in questo modo strano e terribile che ci ha impedito di salutarci, richiama la mia vita con molta semplicità e serenità all’approssimarsi del suo compimento. Come ci invita san Paolo, dobbiamo aspirare alle cose di lassù e pensare alle cose di lassù (cfr. Col 3, 1-4), non assolutamente per sottrarci alla vita presente, ma per assaporarne con più profondità e intelligenza l’eterno che già cova in essa come la brace sotto la cenere.

 

Grazie don Antonio della tua vita donata, non solo e non tanto senza risparmio, ma senza vanagloria, quasi senza pensarci! Grazie della tua gioia, della tua freschezza infantile, del tuo amore per Cristo e per la Chiesa!

 Amen.

 ✝ Mons. Massimo Camisasca FSCB

Vescovo Reggio Emilia - Guastalla


[1] Cfr. Platone, La Repubblica, Libro VII, 514b-520°.

[2] Teresa di Lisieux, Lettera 244.


L' intervento di don Paolo Sottopietra al funerale di Padre Antonio Maffucci F S C B

Mercoledì 2 dicembre 2020: Perfetti nell'amore amando i nemici


La parola del vescovo Massimo di Mercoledì 2 dicembre 2020


Lettera a Don Antonio Maffucci FSCB

 Lettera a Don Antonio Maffucci FSCB

mercoledì 2 dicembre 2020

Autore: Amato, Avv. Gianfranco Curatore: don Gabriele 




Il Signore lo ha chiamato a sé. La sua vita è ora nella gioia

Caro Antonio,
avrei voluto vedere
il tuo sorriso
quando hai sentito
accarezzarti la fronte
dalla mano del piccolo Rolando.
Era lì,
accanto al tuo letto
col suo cappello da seminarista.
Sapevi già
che sarebbe stato proprio lui
a venirti a prendere
per accompagnarti
verso la Bellezza
di quel Mistero Infinto
cui ha anelato
ogni singolo istante
della tua irrequieta esistenza.
Erano in tanti
ad attenderti lassù.
Ma soprattutto Lei.
Solo la sua materna carezza
è riuscita a farti commuovere
fino alle lacrime.
Hai portato con te
tutte le sofferenze, le angosce,
i dolori, le ansie, i problemi, le necessità,
i bisogni materiali e spirituali
delle migliaia di persone
che hai incontrato sulla Terra
e che ti hanno chiesto aiuto.
Hai portato con te
questo pesante fardello
nel tuo cuore,
talmente grande
da riuscire a contenere tutto.
Pensavano di farti riposare,
ma non ti conoscevano.
Ignoravano
che aspettavi proprio
di giungere in Paradiso
per poter aiutare finalmente
tutti gli amici che hai lasciato
e tutti quelli che nel mondo
hanno bussato alla tua porta.
Lassù, oramai, ti conoscono tutti.
Sei quello dell’Alfa 75 rossa,
che sfreccia di nuvola in nuvola,
perché c’è sempre qualcuno
da incontrare, qualcuno a cui chiedere
un consiglio o un favore,
un Santo da andare a trovare per risolvere
un problema.
Continui a correre anche lassù.
Ora che hai un’autostrada
tutta per te, e non hai più paura di cadere
nell’agguato del colpo di sonno.
O nella trappola dell’Autovelox.
A nulla sono valse
le rimostranze di San Pietro.
Dio ti ha guardato,
ha scosso la testa,
e ha sorriso compiaciuto.
Neppure Lui ha il potere di fermarti.
Ormai, sono certo, hai già girato
tutto il Paradiso.
Non c’è un angolo,
neppure il più remoto e nascosto,
che tu non abbia già visto
o dove tu non sia già stato.
Se un giorno avrò la grazia
di raggiungerti, caro Antonio,
mi piacerebbe visitare il Paradiso
insieme a te.
Magari a bordo della tua 75 rossa.
Un abbraccio.

Gianfranco

Mangiarotti Fonte:CulturaCattolica.it