Meditazione sul Vangelo di Mc 12,18-27
Non conoscete né le Scritture né la potenza di Dio.
Nel brano evangelico di oggi compaiono sulla scena i sadducei i quali interpretavano la Torah in modo letterale e ritenevano ispirati solo i primi cinque libri della Bibbia. In questo brano li vediamo presentare a Gesù un caso paradossale per mettere in ridicolo la fede nella risurrezione, che essi negavano dal momento che non se ne parla nel Pentateuco. Secondo loro il cognato (levìr, in latino) era tenuto a sposare la moglie del fratello morto senza figli per garantirgli una discendenza, dando alla prole il nome del defunto. In questo modo era garantita la trasmissione dell’eredità all’interno del medesimo gruppo familiare.
Gesù risponde, anche in questo caso, alla maniera dei rabbini del tempo, con una controdomanda che rimprovera ai suoi interlocutori di non conoscere le Scritture di cui si fanno autorevoli interpreti e, perciò, di non conoscere neppure la potenza di Dio che esse rivelano. I sadducei dicono di credere in Dio, ma dimostrano di non conoscerlo e nemmeno di conoscere chi sono loro agli occhi di Dio. Il loro sguardo è “basso”, totalmente chiuso nella sfera materiale delle cose che si vedono e si possiedono (la donna è qualcosa che “appartiene” all’uomo), incapaci di aprirsi alla potenza di Dio che li oltrepassa. La legge del levirato a cui si appellano rientra in questa prospettiva: e un tentativo umano di realizzare il desiderio di vita senza fine, oltre la morte, che l’uomo porta in sé, attraverso la generazione di figli e la sopravvivenza del proprio nome. Quello che l’uomo desidera ma non può darsi da sé gli è rivelato e donato dall’alto: Gesù apre uno squarcio nel loro e nostro piccolo e angusto orizzonte e con la sua parola prima e la sua stessa persona il mattino di Pasqua, ci annuncia che la vita da risorti, a cui aneliamo, c’è e comporta una trasformazione completa dell’uomo, della sua corporeità («saranno come angeli») e perciò anche dei rapporti che ha vissuto. E’ una nuova creazione che solo Dio può operare. A fondamento del proprio discorso pone proprio la Torah, citando il passo dell’Esodo (3,6) che narra l’episodio di Mosè e il roveto: «Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe». Si tratta di una teofania in cui Dio si rivela a Mosè come il “Dio dei padri”: a loro appartiene e loro appartengono a lui. Come può il Vivente legarsi per sempre a uomini che non sono più? Non farà piuttosto vivere per sempre coloro ai quali per sempre si è legato in alleanza?
02 Giugno
A te, Signore, io mi rivolgo, in te confidoIo sono la risurrezione e la vita, dice il Signore;
chiunque crede in me non morirà in eterno.
(Giovanni 11:25)
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 24)
Rit: A te, Signore, elevo l'anima mia.
Mio Dio, in te confido:
che io non resti deluso!
Non trionfino su di me i miei nemici!
Chiunque in te spera non resti deluso.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricordati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricordati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.
Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù.
(Marco 15,43)
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