Quattro barellieri portano un povero paralitico allettato. Gesù vede la loro fede; non sappiamo se ce l’avesse anche il paralitico, ma questa è la nostra missione, portare il mondo malato di fronte a Cristo. Qui la fede indica la fiducia, una fiducia cieca e intraprendente, che porta a non scoraggiarsi e a superare ogni difficoltà. Non é questa fede la causa del miracolo, ma la sua condizione di possibilità. Il primo dono che Gesù fa al paralitico è il perdono: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”: la redenzione viene prima della guarigione! Per Cristo il vero male è il peccato. Noi invece siamo più preoccupati della guarigione fisica, del cambiamento esteriore più che della conversione del cuore. Il peccato é una paralisi della relazione tra Dio e l’uomo; non è un problema fra gli uomini, o tra l’uomo e il creato, ma innanzitutto tra l’uomo e Dio! È incontrando Gesù che si guarisce. Ma l’intervento di Gesù non finisce qui; qui si aggiunge che la guarigione spirituale è più difficile della guarigione fisica, ma è più facile dirla, perché non si può verificare esternamente. Matteo conclude con l’entusiasmo della folla per il potere dato non solo al Figlio dell’uomo, ma agli uomini; è chiara l’allusione al potere ecclesiale di rimettere i peccati, conferito da Gesù ai ministri della Chiesa. La missione di Gesù é essenzialmente spirituale; la guarigione fisica che Egli accorda non é che un segno a misura della debolezza degli uomini, incapaci di credere al rinnovamento da Lui suscitato. Gli specialisti della Bibbia (gli scribi) non possono mandare giù la Parola di Gesù che ha rimesso i peccati ad un malato, che – per essere in quella situazione, essi pensavano – era un peccatore. Considerandosi rappresentanti della vera religione, reagiscono interiormente alla “pretesa” di Gesù, che ad essi pare blasfema. Invece la folla delle persone semplici capisce il senso del segno e rende gloria a Dio. La guarigione del cuore, attraverso il perdono dei peccati, è il dono più grande che Gesù ci possa portare; più grande e più importante anche della guarigione fisica. E la conversione del cuore il Signore la dona a tutti, anche a coloro a cui non restituisce la salute del corpo. Ma perché il dono diventi effettivamente mio, occorre che io creda in Gesù e mi assuma la mia responsabilità, come quel paralitico a cui il Maestro ha ordinato di caricarsi il suo letto e di tornarsene a casa. L’incontro con Gesù cambia la vita; una volta che ti ha rimesso in piedi, non devi più farti “portare”: puoi camminare con le tue gambe. Per andare a dire a tutti le meraviglie del suo amore. Alzati e va’!
Siamo di fronte alla pagina densissima del sacrificio di Abramo. Dio gli domanda una cosa terribile: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va ... e offrilo in olocausto". Abramo non rifiuta, non risparmia il proprio figlio. Egli ha il vero senso del sacrificio, sa che è un atto di unione a Dio, sa che è un atto più di Dio che dell'uomo, perché solo Dio può santificare e ciò che è offerto in sacrificio è santificato. E parte. Non capisce, non sa come Dio farà, ma ha fiducia in lui, "cammina nella fede", come dice san Paolo: "Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti" (Eb 11,19). Un sacrificio è sempre una risurrezione, perché è azione divina; se fosse un'azione umana sarebbe semplice distruzione, ma è azione di Dio.
È bellissimo, nel racconto biblico di Gn 22, il dialogo fra Abramo e Isacco. "Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: Padre mio! Rispose: Eccomi, figlio mio. Riprese: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?". Il racconto dice che l'agnello è lui, Isacco, ma egli non lo sa e chiede dove sia l'agnello. "Abramo rispose: Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!". Non è un modo per sfuggire alla domanda: veramente egli stesso non sa dove sia l'agnello. Egli fa quello che pensa di dover fare per adempiere il comando di Dio, ma intuisce che qualcosa dovrà succedere, che Dio procurerà la vittima per l'olocausto. E la fiducia, la fede di Abramo sono ricompensate. Al momento estremo, Dio interviene:
"Abramo, Abramo! Non stendere la mano contro il ragazzo... Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio". Non Isacco viene sacrificato, ma un ariete che Abramo vede con le corna impigliate in un cespuglio. "Poi l'Angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: Perché tu hai fatto questo... io ti benedirò con ogni benedizione... Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce".
Adesso noi sappiamo che questa pagina è profezia del sacrificio di Gesù, che realmente Dio ha provveduto l'agnello per l'olocausto. L'agnello non è Isacco, non è l'ariete, è l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo di cui parla il Vangelo. Quando vediamo Isacco caricato della legna per il sacrificio, è Gesù che vediamo, caricato della croce, Gesù che sale al Calvario, offerto da Dio stesso. "Dio scrive san Paolo non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi". L'unico sacrificio gradito al Padre è quello di Gesù, il grande dono del Padre agli uomini. Noi dobbiamo inserirci in questo sacrificio, per crescere nell'unione con Dio. Chiediamo la grazia di capire il vero significato del sacrificio nella nostra vita e di riconoscere, con la fede e la fiducia di Abramo che è Dio stesso che lo realizza: "Sul monte Dio provvede". Noi offriamo, Dio santifica. Quando Dio ci chiama ad un sacrificio, sovente non vediamo bene, ci sembra che la strada non abbia sbocchi. Allora è il momento della massima fiducia: "Dio provvederà". Dio provvede l'agnello per l'olocausto e Dio realizza in noi il sacrificio alla sua maniera divina, sempre positiva.
Giovedì 06 Luglio
S. Maria Goretti (mf); S. Maria Teresa Ledochowska
13.a del Tempo Ordinario
Gen 22,1-19; Sal 114; Mt 9,1-8
Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione.
(II Corinzi 5,19)
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 114)
Rit: Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.
Amo il Signore, perché ascolta
il grido della mia preghiera.
Verso di me ha teso l’orecchio
nel giorno in cui lo invocavo.
Mi stringevano funi di morte,
ero preso nei lacci degli inferi,
ero preso da tristezza e angoscia.
Allora ho invocato il nome del Signore:
«Ti prego, liberami, Signore».
Pietoso e giusto è il Signore,
il nostro Dio è misericordioso.
Il Signore protegge i piccoli:
ero misero ed egli mi ha salvato.
Sì, hai liberato la mia vita dalla morte,
i miei occhi dalle lacrime,
i miei piedi dalla caduta.
Io camminerò alla presenza del Signore
nella terra dei viventi.
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione.
(II Corinzi 5,19)
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