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22 aprile, 2017

Omelia per l’anniversario del martirio del beato Rolando Rivi

Omelia per l’anniversario del martirio del beato Rolando Rivi

San Valentino
22-04-2017


Cari fratelli e sorelle, 

sono molto contento di trovarmi con voi anche quest’anno per godere assieme di ciò che il beato Rolando sta generando in questi luoghi e in tantissime vite. Guardando a questa bellissima Pieve, alle strutture di accoglienza che sono sorte e che stanno sorgendo, ai pellegrinaggi che stanno via via crescendo, comprendiamo che l’uccisione di Rolando non è stata la vittoria del male, dell’ingiustizia, della morte. Il suo martirio è in realtà il trionfo della vita. La sua giovane esistenza infatti non è stata strappata via dalla terra, ma vi è stata deposta come un seme silenzioso. E ora, a distanza di tanti anni, non smette di crescere e benedirci con tanti frutti. Ecco dunque il primo motivo di gioia per essere qui assieme.

 

Questa seconda domenica del tempo pasquale è chiamata dalla tradizione della Chiesa domenica in albis. Perché questo nome? Anticamente, i fedeli che ricevevano il battesimo nella notte di Pasqua indossavano una tunica bianca per i successivi otto giorni, fino alla domenica seguente. La veste rappresentava la loro vita rinata dalle acque del peccato, la loro anima ripulita dai peccati precedenti, i loro corpi rivestiti dalla luce di Cristo. Essa era il simbolo di un passaggio a una vita nuova e più vera, di un’appartenenza definitiva a Cristo. Ritengo che anche questo fatto sia significativo oggi. Conosciamo bene l’attaccamento di Rolando alla sua veste talare. Anche per lui, la tunica ha rappresentato il passaggio a una nuova vita. Un passaggio cruento, feroce, brutale. Eppure un passaggio a una vita di luce. Il martirio è stato il momento in cui la sua veste è stata lavata con il sangue dell’agnello ed è diventata candida e splendente (cfr. Ap 7,14).

 

Questa seconda domenica di Pasqua, inoltre, è significativa anche perché Giovanni Paolo II ha voluto che fosse dedicata alla Divina Misericordia. Vorrei leggere assieme a voi le parole con cui Gesù stesso descrive a suor Faustina le grazie che elargirà in questa festa: «In quel giorno sono aperte le viscere della mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione e alla santa comunione riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine» (Diario di santa Maria Faustina Kowalska, 699). Sotto le usuali condizioni, oggi è dunque possibile ottenere l’indulgenza plenaria. In questa giornata, pertanto, ci sono poste innanzi un’infinità di grazie, segno dell’inesauribile abbondanza che sprigiona dall’evento pasquale.

 

E ora uno sguardo alle letture che abbiamo appena ascoltato. Tutte ci parlano del sorgere di una nuova vita dopo la resurrezione di Cristo. Gli Atti ci raccontano la vita di comunione della prima comunità. Nella lettera di san Pietro i fedeli sono confermati nella speranza viva e incorruttibile della partecipazione alla resurrezione di Cristo. Nel brano di Giovanni, Gesù dona agli apostoli il suo Spirito e li invia nel mondo a portare il suo perdono. Ma quali sono le caratteristiche della nuova vita inaugurata dalla resurrezione di Cristo?

 

Ritengo che ci siano due tratti che scaturiscono l’uno dall’altro vicendevolmente: la pace e la gioia. Pace a voi (Gv 20,19) sono le prime parole di Gesù agli apostoli dopo essere risorto. E dopo avere ripetuto lo stesso saluto una seconda volta, soffia lo Spirito su di loro (cfr. Gv 20,22). È lo stesso soffio che Dio ha insufflato nella terra per dare vita ad Adamo (cfr. Gen 2,7); lo stesso soffio che rigenera e infonde vita alle ossa inaridite della distesa di Ezechiele (cfr. Ez 37). La prima creazione è stata separata da Dio per il peccato, è stata dispersa, ridotta in polvere, dilaniata dalle divisioni del male.

 

Ora il Cristo risorto inaugura una creazione nuova che è riconciliata nell’unità. Tale unità si fonda sulla presenza viva di Cristo in mezzo ai suoi – stette nel mezzo (Gv 20,19) – ed è ottenuta e continuamente rinvigorita dal Suo perdono. La potenza di Cristo risorto distrugge il nostro male, il nostro peccato, le nostre divisioni, ci riavvicina a sé e così ci ristabilisce in unità con gli altri e con l’universo. La comunione pertanto è definitivamente ristabilita e diventa la sorgente della pace che Cristo aveva promesso. Una pace che il mondo non può costruire né offrire. Essa può solo essere ricevuta come grazia dall’azione di Cristo: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14,26-27).

Cari amici, invochiamo l’intercessione del beato Rolando. Possa rendere i nostri cuori sempre disponibili a ricevere la pace di Cristo risorto; possa condurre le nostre comunità alla scoperta dell’unità che Gesù ha inaugurato e della misericordia con cui continuamente le rigenera; possa mostrarci la gioia e il giubilo che si sperimentano nella comunione vissuta. Gli affidiamo inoltre gli ordinandi della nostra Diocesi che saranno consacrati il 27 maggio, nella prossimità della sua festa liturgica.

 

Amen.

 ✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla




18 aprile, 2017

La gioia della Pasqua nell’omelia del Vescovo

 Carissimi fratelli e sorelle,

è una grande gioia celebrare la santa Pasqua con voi in questa splendida e rinnovata Concattedrale. Essere oggi assieme in questo luogo, ricostruito e riaperto dopo il terribile sisma del 2012, è già un segno eloquente che ci introduce al significato della Resurrezione: la rinascita, la vittoria sui sepolcri delle nostre fragilità, delle nostre ferite, dei nostri peccati, il risollevarsi dalle macerie.

Tutta la liturgia oggi è circonfusa di luce, meraviglia, potenza, canto, vita. Realmente il cielo ha invaso la terra, la luce ha dissolto ogni tenebra, Dio si è inscindibilmente legato all’uomo e l’ha portato con sé nella vita eterna, scardinando con il suo amore le porte dell’inferno.

Ora è il tempo del giubilo. Ora si è compiuto il lieto annuncio, la buona novella che l’angelo ha portato a Maria: Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te (Lc 1,28). Ora quella gioia annunciata nella casa di Nazaret è realizzata e manifesta. Questo giorno ci annuncia che le promesse di Dio sono irrevocabili. L’alleanza tra Dio e l’uomo è stata sigillata in un nuovo patto inscindibile. Oggi la morte, il nemico invincibile, ha subito la sconfitta definitiva.


Cari fratelli e sorelle, la resurrezione è un evento che non smetterà mai di stupirci, un evento in cui non termineremo mai di immergerci, un evento che sempre ci sovrasterà. Lasciamoci guidare dal vangelo appena ascoltato per comprendere un raggio di questa infinita luce. Cosa ci indica san Giovanni in questo breve racconto? Quale accento, quale prospettiva ci suggerisce per contemplare il mistero della Resurrezione?

L’evangelista introduce l’evento della resurrezione con queste parole: il primo giorno della settimana (Gv 20,1). Questa collocazione temporale è fondamentale. Appare infatti anche negli altri tre vangeli (cfr. Mt 28,1;Mc 16,2; Lc 23,56). Quale significato assume? Perché tutti i racconti della resurrezione ne fanno cenno? Evidentemente si trova qui un’indicazione importante. San Giovanni ci dice inoltre che era mattino presto, quando il cielo è ancora buio (cfr. Gv 20,1). C’è qualcosa che si sta preparando all’alba del primo giorno. Una luce sta per nascere. Una luce da tanto tempo attesa eppure nuova.


Siamo così rimandati a un altro momento saliente della storia dell’uomo. Quando nel primo giorno era ancora tutto buio e ricoperto dalle tenebre. Quando la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gen 1,2). Fu proprio nel primo giorno che Dio creò con la sua parola la luce e la separò dalle tenebre (cfr. Gen 1,3-4).

Scopriamo così che l’evento della resurrezione è stato a lungo predisposto. Si pone oggi il compimento di un disegno che Dio ha desiderato dall’inizio dei tempi. Oggi le figure cedono il posto alle realtà. Il primo giorno della creazione ci introduce nel primo e ultimo giorno definitivo, quello della resurrezione, della nuova creazione, della creazione restaurata, redenta e glorificata. La luce dell’universo creata nel primo giorno richiama la manifestazione dello splendore di Cristo risorto, l’instaurazione nel mondo della luce di Dio. Io sono la luce del mondo aveva detto Gesù (Gv 8,12). Ecco il sole che non conosce tramonto, il sole invincibile, il sole di fronte al quale ogni male si dilegua.

Quindi la resurrezione inaugura una nuova creazione, un nuovo ordine. Un nuovo Adamo è generato dalle mani del creatore. In Cristo si compiono tutte le promesse della storia della salvezza: il tempio definitivo è stabilito tra gli uomini; un nuovo popolo prende vita: oggi «mirabilmente nasce e si edifica la Chiesa», recita la preghiera sulle offerte (Preghiera sulle offerte della domenica di Pasqua). Nella resurrezione di Cristo, le tenebre sono definitivamente separate dalla luce (cfr. Gen 1,4). Dio ha distrutto il giogo di Satana, l’uomo è ricostituito nel suo rapporto confidente con il Signore.

Come siamo resi partecipi di questa nuova creazione? Ce lo suggerisce san Paolo nella seconda lettura: attraverso il battesimo (cfr. Col 3,1-4). Nel battesimo siamo stati definitivamente incorporati a Cristo, siamo morti e risorti con lui. La nostra vita già partecipa della vittoria sulla morte e sul peccato, della luce del Risorto. Certo, rimane ancora il tempo della lotta terrena, il tempo perché la vittoria di Cristo si estenda ai nostri cuori, il tempo che ci divide dalla manifestazione definitiva di Gesù. Tuttavia la vittoria di Dio sul male è già stata sancita.

Non lasciamo perciò che la paura e la sfiducia guidino i nostri giorni. Fissiamo lo sguardo sulle cose di lassù (Col 3,1), sulla luce che nel silenzio di quel mattino ha smosso il macigno del sepolcro. Lasciamo che i raggi luminosi di quell’aurora scaldino i nostri cuori. Lasciamo che il seme piantato nel profondo del nostro essere il giorno del battesimo cresca e porti il frutto di santità e felicità che Dio ci ha promesso. Nutriamoci continuamente dei sacramenti, della preghiera, della comunione fraterna. È questa la fonte della vera letizia, della vera gioia e della baldanza che caratterizzano questa festa.

Infine, affidiamo la nostra speranza alla Madonna. Oggi si ricorda santa Bernadette Soubirous, una figura che nella sua semplicità ci rimanda all’abbandono tenero e filiale alla Madre. Se i nostri occhi e il nostro animo possono subire il peso delle fatiche, dei dolori e dell’insicurezza, quelli di Maria non si staccano mai dalla gloria di suo Figlio risorto. Chiediamo dunque a lei di introdurci continuamente nella nuova creazione che Cristo ha inaugurato per noi.

Un saluto particolare a tutti coloro che non hanno potuto partecipare a questo momento. Portate la mia benedizione e il mio augurio a quanti sono costretti a casa a causa della malattia e della solitudine.

Buona Pasqua!

 


✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla



04 aprile, 2017

Muore a 89 anni Guido Rivi Era fratello del Beato Rolando

 Muore a 89 anni Guido Rivi Era fratello del Beato Rolando



CASTELLARANO. È morto ad 89 anni, dopo una lunga malattia, Guido Rivi. Era nato nel 1928 a San Valentino di Castellarano ed era il fratello maggiore del Beato Rolando Rivi, il giovane seminarista...

CASTELLARANO. È morto ad 89 anni, dopo una lunga malattia, Guido Rivi. Era nato nel 1928 a San Valentino di Castellarano ed era il fratello maggiore del Beato Rolando Rivi, il giovane seminarista rapito ed ucciso a pochi giorni dalla fine della seconda guerra mondiale.

I funerali di Guido si terranno oggi, mercoledì 5 aprile, alle ore 15,00 partendo dalla camera ardente dell’ospedale di Sassuolo per la chiesa parrocchiale di Rometta, dove alle 15,30 sarà celebrata la Santa Messa. Il corpo sarà tumulato nel cimitero Nuovo Urbano. Guido lascia oltre alla sorella Rossana, la moglie Maria Parisi, i figli Lina , Pia, Rolando, Daniela e Luca. Cordoglio anche tra i tantissimi amici che lo ricordano come una persona molto colta e disponibile sempre pronta al dialogo.

Prima di raggiungere la pensione per una vita intera ha lavorato come tecnico alla ceramica Marazzi di Sassuolo. La figlia Lina lo ricorda per il suo grande impegno nel sorreggere il padre Roberto nella ricerca della verità per la morta di suo fratello quando era ancora un ragazzino. «La morte di Rolando quando erano ancora giovani lo aveva molto segnato – ricorda Lina –. Per questo ne parlava poco e, quando lo faceva, con molta sofferenza. Noi lo ricordiamo come un grandissimo papà che ha sempre dato il massimo alla sua famiglia».

Ora ad aver vissuto quei tristi eventi storici restano ancora in vita la sorella e alcuni cugini. Rolando venne ucciso da un gruppo di partigiani comunisti che poi furono processati e condannati per l’uccisione di un ragazzino di 14 anni che era un seminarista e sognava di fare da grande il parroco.

Quando avvenne l’omicidio Guido non aveva neanche 18 anni e, secondo le testimonianze di alcuni amici, ha sempre cercato di rimuovere quel tragico evento che lo aveva segnato profondamente nonostante le differenze caratteriali col fratello. Rolando, dichiarato Beato dalla chiesa il 5 ottobre del 2013, era molto vivace mentre Guido era molto riflessivo e calmo. Sicuramente dentro di sé ha portato per tanti anni la tragedia che ha vissuto senza voler coinvolgere i suoi cari. 


04 settembre, 2016

Omelia nella santa Messa per la collocazione di una reliquia di Rolando Rivi nella Chiesa di Marola

 Omelia nella santa Messa per la collocazione di una reliquia di Rolando Rivi nella Chiesa di Marola

Marola
04-09-2016


Carissimi fratelli e sorelle,

siamo riuniti per riconsegnare solennemente a questo luogo un segno del passaggio del beato Rolando che qui ha vissuto i suoi anni di seminario.

I luoghi e le cose che hanno fatto parte della vita di una persona ci rivelano la concretezza storica della sua esistenza, sono il primo baluardo contro ogni oleografia, mitizzazione o idealizzazione che spesso, dietro il pretesto di onorare una persona, la allontanano da noi e dalla realtà concreta nella quale tutti viviamo.

 

Le reliquie di un santo, in particolare, non rappresentano solo il segno visibile della sua vita terrena, ma anche una strada di conoscenza e di accesso alla luce della sua testimonianza. Attraverso le reliquie viene in un certo senso custodita e trasmessa alle generazioni future un po’ della santità di colui a cui sono appartenute. Come è possibile questo?

 

Non possiamo comprendere il significato profondo delle reliquie, che tanta parte hanno avuto e hanno nella Chiesa Cattolica e nella fede del popolo cristiano, se non entriamo nella realtà dell’Incarnazione.

Perché, infatti, si venera il frammento di un corpo o di un vestito che ha ricoperto quel corpo? Perché si crede che l’uomo o la donna ai quali appartenevano siano stati abitati in modo particolare da Dio e siano oggi, perciò, per coloro che li accostano con fede e cuore aperto, tramite di grazia. Senza entrare in questa materialità sacramentale del cristianesimo non si può comprendere la venerazione delle reliquie ed essa finisce per essere confusa con riti pagani, magici, espressione di una religiosità superstiziosa e ignorante. Laddove viene meno l’idea e l’esperienza del sacramento, si toglie ogni fondamento alla possibilità che la santità trasfiguri la nostra vita nel tempo presente. Veneriamo il corpo dei santi perché essi per noi sono come dei sacramenti di Cristo, non nel senso stretto dei sette sacramenti, ma nel senso lato per cui tutto ciò che è stato trasformato interiormente da Dio, ha una forza particolare di comunicazione del divino.

 

I corpi dei santi – cioè di tutti i battezzati, che rispettiamo e seppelliamo con onore – sono stati incorporati a Cristo mediante il battesimo e si sono nutriti del suo Corpo eucaristico. La loro vita e i loro corpi, soprattutto quando – come nel caso di Rolando – sono stati consumati per Cristo, sono una testimonianza vivente della Sua presenza vittoriosa, che un giorno si manifesterà nella resurrezione dei corpi. Questa è la ragione profonda per cui la Chiesa, nella sua lunga Tradizione, ha preferito la sepoltura dei corpi alla loro cremazione. Ancor oggi, benché non si opponga alla cremazione, vuole che le ceneri siano onorate e non disperse.

 

La reliquia, se guardata in profondità, rivela un nesso profondo tra il battesimo, l’eucarestia e il martirio. Come il battesimo e l’eucarestia, attraverso dei segni materiali, l’acqua, l’olio, il pane e il vino, comunicano la vita di Dio, per analogia il corpo del santo che da essi è stato trasformato è una realtà santa, comunicatrice di grazia.

 

Nel martirio di Rolando vediamo risplendere il compimento di un cammino iniziato nel battesimo e continuato nella comunione eucaristica.

Il martirio, fin dalle origini, è stato ritenuto dalla Chiesa come un secondo battesimo, come una partecipazione straordinaria alla passione redentrice di Gesù, concessa da Dio ad alcuni suoi figli prediletti.

Tutti, ognuno nella forma che Dio stabilisce, siamo chiamati a partecipare alla passione di Cristo, ma il martire vi partecipa in modo fisico, vive una sponsalità particolare che fa del suo corpo una realtà carnale unita in modo speciale all’umanità risorta di Cristo. Per questo è fonte di una grazia potente per coloro che lo accostano con fede.

 

Quest’ultima considerazione è molto importante: occorre accostare con fede le reliquie. A seconda di come le si accosta, esse possono risultare insignificanti o fonte di un profondo cambiamento di vita. La reliquia non agisce di sua iniziativa, ma sollecita la fede di chi la accosta. Senza fede non c’è operazione di Dio. Certamente è Dio stesso che suscita la fede, ma contestualmente è la disponibilità del nostro cuore a farla fiorire.

 

Il primo scopo di una reliquia, quindi, è di suscitare la preghiera. È questo il miracolo più grande che possiamo chiedere. È questo il primo desiderio che esprimo davanti alla reliquia di Rolando che oggi collochiamo in questa chiesa. Ancor prima delle grazie particolari che qui verremo a chiedere per intercessione del nostro beato – grazie che dipenderanno dal disegno misterioso di Dio che solo conosce qual è il nostro bene – il miracolo che oggi chiediamo per tutti noi sono la fede, la speranza e la carità, la rinascita del nostro dialogo con Dio, uno sguardo capace di vedere, oltre la “banalità del male”, per usare un’espressione di Hannah Arendt, la presenza del bene destinato a trionfare su tutte le apparenti brutture e fatiche della nostra vita presente.

 

Amen

✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla




16 aprile, 2016

Omelia per l’anniversario del martirio del beato Rolando Rivi – IV domenica di Pasqua (anno C)

Omelia per l’anniversario del martirio del beato Rolando Rivi – IV domenica di Pasqua (anno C)

Pieve di San Valentino
16-04-2016


Carissimi fratelli e sorelle,

siamo qui per commemorare assieme a voi il nostro Rolando, nel 71° anniversario del suo martirio. Ho desiderato essere presente in quest’occasione poiché il prossimo 29 maggio, data in cui ricorre la sua memoria liturgica, sarò a Roma per un impegno che mi ha chiesto la Santa Sede.

 

Le letture che sono state proclamate in questa IV domenica di Pasqua sembrano proprio scelte per aiutarci a entrare nel mistero della vita di Rolando. In particolare la seconda lettura, tratta dall’Apocalisse di san Giovanni, ci presenta la schiera dei martiri, di coloro che sono passati dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello (Ap 7,14). L’apostolo ci parla di una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani (Ap 7,9).

 

L’immagine di questi uomini che hanno reso candida la loro veste lavandola nel sangue di Cristo ci potrebbe far chiedere, come fa lo scrittore greco Ecumenio nel suo Commento all’Apocalisse: «Sarebbe stato logico che le vesti lavate nel sangue diventassero rosse piuttosto che bianche; come dunque sono diventate bianche?» (Ecumenio, Commento all’Apocalisse 5, 3). Evidentemente dietro questa immagine si nasconde un significato simbolico nel quale desidero addentrarmi questa sera assieme a voi.

Paolo e Barnaba, nella prima lettura che abbiamo ascoltato, ci aiutano a comprendere il significato di queste parole quando, citando il profeta Isaia, annunciano ai Giudei di Antiochia: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra (At 13,47; cfr. Is 49,6). Il biancore delle vesti dei martiri è la luce che proviene dalla croce di Cristo dalla quale sgorga un fiume di salvezza che, attraverso i suoi testimoni, raggiunge ogni angolo della terra.

Io sono la luce del mondo (Gv 8,12; 9,5), ha detto Gesù, Io sono la salvezza. Eppure lo stesso Signore ha detto ai suoi discepoli: voi siete la luce del mondo (Mt 5,14), la mia luce splende davanti agli uomini attraverso di voi, nella misura in cui vi lasciate abitare dalla mia luce.

 

Non solo, quindi, coloro che, come il nostro Rolando, sono chiamati dal Signore a rendere la suprema testimonianza del sangue, fanno parte dell’immensa moltitudine attorno al trono dell’Agnello descritta da san Giovanni nell’Apocalisse. Ogni discepolo di Cristo, ognuno di noi, è parte di questa schiera festante. Il sacramento del battesimo ci ha introdotti in essa. Nel battesimo, infatti, ognuno di noi ha lavato le sue vesti nel sangue dell’Agnello, ed ognuno di noi è emerso da quelle acque con una veste candida, segno della nuova vita che Gesù, attraverso la sua morte e resurrezione, ci ha donato. Una vita per la quale ogni cristiano può affermare con san Paolo: Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). «Il vestito dell’anima, infatti, – scrive Tertulliano – è la carne. Le sue sozzure sono lavate dal battesimo, le sue macchie sono rese candide dal martirio» (Tertulliano, Scorpiace 12,10).

 

L’unico vero martirio è quello di Cristo, egli è il testimone verace (cfr. Ap 3,14). Ogni nostro martirio, ogni nostra testimonianza è relativa a lui, trae della sua passione e resurrezione la sua luce, la sua possibilità e la sua fecondità. Per questo il battesimo rappresenta l’atto supremo della nostra partecipazione alla sua vita: nel battesimo è evidente che non siamo noi a meritare la salvezza, a procurarci, con i nostri meriti, una veste di luce, ma è la sua grazia che ci rende un solo corpo con Gesù perché nessuno, come abbiamo ascoltato nel vangelo, possa mai strapparci dalla sua mano (cfr. Gv 10,28). Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30), continua Gesù. In questa unità anche noi siamo introdotti attraverso il battesimo.

 

Cari amici,

ringraziamo il Signore per il grande dono che ci ha fatto e chiediamogli, per l’intercessione del beato Rolando, di essere sempre più uniti a lui per poter godere della sua luce e di trasmetterla a tutti gli uomini e le donne della nostra terra.

 

Amen.

✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla




25 luglio, 2015

COMMOSSO RICORDO DI SUOR MARTA RIVI

COMMOSSO RICORDO DI SUOR MARTA RIVI

ZIA DEL BEATO ROLANDO

Era Appartenente all’Istituto del ordine delle Dorotee di Montecchio



È con commozione carica di affetto che il Comitato Amici di Rolando Rivi ricorda Suor Marta Rivi, zia del Beato Rolando Rivi Martire, che il Signore ha chiamato al cielo oggi, sabato 25 luglio, all’età di quasi 95 anni. Suor Marta è stata protagonista, come testimone, al Processo Diocesano per la Causa di Beatificazione svoltosi a Modena nell’anno 2006.

Il suo ricordo del nipote martire era indissolubilmente legato a una lettera ricevuta da Rolando poco tempo dopo il suo ingresso nel Seminario di Marola, nell’autunno del 1942, in cui il ragazzo le raccontava della gioia provata nel vestire per la prima volta l’abito talare. Quella veste, segno della sua appartenenza al Signore, che Rolando non avrebbe più lasciato sino al martirio. 
Entrata a 18 anni nell’ordine delle Suore Dorotee, Suor Marta ricevette in convento la notizia di come Rolando fosse stato ucciso in odio alla sua fede cristiana. Il profondo dolore si trasformò in preghiera e nel desiderio di veder salire all’onore degli altari il giovane nipote che aveva donato la vita a Gesù. Questo desiderio ha trovato risposta nel 2013 quando Papa Francesco ha proclamato Rolando Beato perché Martire.

Di lei ricordiamo la gratitudine con cui ha sempre seguito tutti i passi della causa di Beatificazione e la sua fede semplice e certa che generava una letizia e un’operosità instancabile per il vero bene degli altri. 
Ora siamo certi che il Beato Rolando Rivi Martire l’ha accolta nella gloria del Cristo Risorto, dove è la gioia che non finisce.

La telefonata arriva, il nome è in memoria, suor Marta; intuisco subito, non stava bene e lei, di persona, non chiamava più. Suor Margherita mi dà la notizia con molta semplicità: “La Madonna ha chiamato suor Marta, lei l’ha presa: oggi è sabato e le campane suonavano l’Angelus”.
Sento le lacrime pungermi gli occhi ovviamente, ma rispondo: “Ora è insieme a Rolando”.
E il pensiero della zia che incontra il nipotino mi fa sorridere, così come credo abbia sorriso Gesù.
Chi era suor Marta? Una suora, sorella per tanti, educatrice per una vita intera, ma, per me, era la zia di Rolando. Così l’ho conosciuta e incontrata.
Aveva letto della vittoria del Concorso scolastico nazionale bandito dalla Cei in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale “Ancona 2011” con i nostri ragazzini delle 4 classi quinte della Primaria di Cadelbosco Sopra, vittoria ottenuta proprio presentando come testimone della fede Rolando, frutto della nostra terra e della nostra Chiesa reggiano-guastallese, visto da bambini come lui, raccogliendo il materiale prodotto (disegni, testi, intervista…) in un dvd che è poi diventato un sussidio per parrocchie e scuole.

Quella talare che i preti si vergognano d'indossare

 Se ne vedono di tutti i colori, e non soltanto ovviamente per quel che riguarda il decoro dell’abito… evidentemente con licenza del vescovo o del superiore dell’ordine religioso di appartenenza… se la disciplina non esiste più, le regole si possono eludere senza alcun problema.

Ognuno nella vita segue, o per lo meno cerca di farlo, la sua vocazione, fra le quali esiste (anche) il sacerdozio. Non è stata la mia. Nel caso lo fosse stata avrei cercato certamente di fare il mio dovere, esercitando il ministero non come un mestiere, una professione, bensì come una missione, cioè, in primis, di portare con orgoglio e di onorare la “divisa” del prete, che era e resta (non mi risulta sia stata abolita) la veste talare.

Mi sovviene che indossava quella “divisa” il mio concittadino don Giovanni Minzoni, medaglia d’argento al valor militare nella Grande Guerra, quando venne ucciso dai fascisti il 23 agosto 1923 ad Argenta, dove era parroco, e che ugualmente la indossavano il seminarista Rolando Rivi e don Umberto Pessina quando restarono vittime dell’odio dei partigiani comunisti nell’Emilia insanguinata della e dalla guerra civile.

Ancora, ricordo che quella tale veste talare non la smise mai don Primo Mazzolari. E quando incontrai don Piero Piazza, suo successore nella parrocchia di Bozzolo nei primi anni Novanta del secolo scorso, alla mia domanda-considerazione scherzosa: ma don Piero, non indossa il clergyman?; la risposta fu: questa veste talare me l’ha abbottonata don Primo sull’altare quando venni ordinato sacerdote e io non l’ho mai abbandonata…

Romanticherie clericali – potrà dire qualcuno ligio al detto che l’abito non fa il monaco, ma al quale si potrà sempre rispondere che se non fa il monaco, certamente potrebbe aiutare a farlo!!!…

Ora, queste figure di sacerdoti, ma potrei ovviamente indicarne altre, mi sono venute alla mente considerando l’anarchia esistente fra i preti, e non soltanto ovviamente per quel che riguarda quello che un tempo veniva definitivo il decoro dell’abito.

Se ne vedono di tutti i colori, evidentemente con licenza del vescovo o del superiore dell’ordine religioso di appartenenza, se così vanno le cose: se la disciplina non esiste più, le regole si possono eludere senza alcun problema.

Vestono come metalmeccanici (con tutto il rispetto per quei lavoratori, sia chiaro), o come fighetti borghesi (senza rispetto per i fighetti medesimi), spessissimo senza avere un segno distintivo che li qualifichi, e se c’è, comunque (una crocetta, meglio una TAU che va tanto di moda) poco visibile.

La sensazione diffusa è che si vergognino di indossare abiti da… prete.

L’ultima è di sere fa, vista in un telegiornale regionale – veneto. Un servizio su un carcere e due parole dette da un giovanotto che si è scoperto essere cappellano del carcere medesimo; visto dalla cintola in su (non si sa quindi se indossasse braghe corte o pantaloni lunghi): sgargiante maglietta alla moda, a strisce orizzontali bianche e rosse, su un lato una patacca, un ricamo, non si distingueva bene; di certo non era una croce!!! In compenso. Maggiore sobrietà nel vestire dimostravano i detenuti inquadrati…

Avanti così… Potranno atei, musulmani e altri di varia estrazione avere stima di una Chiesa cattolica in cui ministri già dal vestire dimostrano di volersi… mimetizzare e non apparire per quello che sono?

Meditate, preti, meditate. E voi vescovi che fate? Non vi muovete? A, già, dimenticavo che non volete noie. Anche in presenza di vostri preti che dal vestire alla liturgia ignorano quelle regole che pure il tanto citato Concilio Vaticano II non ha eliminato.

Giovanni Lugaresi






29 maggio, 2015

Omelia nella santa Messa per la solennità del beato Rolando Rivi

 Omelia nella santa Messa per la solennità del beato Rolando Rivi

- Pieve di San Valentino
29-05-2015

Cari fratelli e sorelle,
 
abbiamo la gioia di celebrare per la seconda volta la festa liturgica del beato Rolando Rivi.
La consapevolezza del dono che ci è stato fatto attraverso la vita e la testimonianza di Rolando è ancora molto acerba. Ogni dono di Dio, infatti, esige un cammino lungo per poter essere compreso in modo sempre più profondo e accolto in tutta la sua portata.
 
Cosa vuol dire Dio alla nostra Chiesa e alla Chiesa universale indicando in Rolando un punto luminoso a cui guardare?
 
Rispondere a questa domanda è una responsabilità a cui non possiamo sottrarci, un compito che ci impegnerà per molti anni. Nel Vangelo che è stato proclamato troviamo già alcune strade per iniziare a rispondere a questa domanda.
 
1. Dio chiama ogni cristiano ad essere testimone della Resurrezione. Il martirio è una testimonianza della Resurrezione.
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12, 24). Qual è questo frutto di cui parla Gesù? Ce lo dice lui stesso: il Padre mio lo onorerà (Gv 12, 26). Lo renderà partecipe della mia Resurrezione e lo renderà testimone di essa nei secoli.
 
Dio è presente e mostra continuamente, sotto i nostri occhi, la Resurrezione del Figlio. Molto spesso, come nel caso di Rolando, lo fa servendosi di strumenti umili, piccoli, deboli. Il primo insegnamento che possiamo cogliere dalla vicenda del nostro seminarista martire è proprio l’ordinarietà dell’azione di Dio nella nostra vita. Egli si nasconde dentro le pieghe quotidiane delle nostre giornate e ci chiede di guardare a ciò che Lui fa in noi e attorno a noi.
 
2. Ma per poterci accorgere dell’opera di Dio è necessaria la preghiera, l’apertura al dialogo con Lui. Abbiamo bisogno di uno sguardo profondo per vedere la luce e questo sguardo può donarcelo solo Dio. È questo il secondo insegnamento che ci viene da Rolando. Egli era un ragazzo di preghiera. Dentro tutte le occupazioni della sua giornata aveva sempre il cuore aperto a ciò che Dio gli suggeriva. La partecipazione alla Messa quotidiana, lo sguardo rivolto ai suoi genitori e al suo parroco, l’esperienza del servizio in parrocchia e dello studio in seminario, lo aiutavano a mantenere un rapporto stabile con Dio, che continuava anche durante i giochi, gli scherzi, le partite di pallone. Guardando la vita semplice di Rolando comprendiamo che per vivere in dialogo con Dio non occorrono grandi eventi o doni straordinari. Basta guardare e mettersi in gioco in quello che ci è dato chiedendo nella preghiera di poter essere suoi in tutto.
 
3. Se rimaniamo fedeli alla vocazione che il Signore ci dona – ed è l’ultimo aspetto che questa sera vorrei sottolineare guardando al nostro beato – il Signore opererà attraverso di noi, secondo strade e disegni che Lui solo conosce. La fedeltà di Rolando al cammino che aveva intrapreso non lo ha portato a diventare sacerdote come lui avrebbe desiderato, ma ha permesso al Signore di servirsi di lui per manifestare a tutti noi la vittoria della fede. E oggi la voce di Rolando si alza per raggiungere un numero infinito di uomini e di donne a cui difficilmente sarebbe potuta arrivare se, per poter diventare sacerdote, egli si fosse sottratto a ciò che Dio gli chiedeva. E in questo modo egli ci svela anche il senso più profondo del sacerdozio: l’immedesimazione con Gesù fino a donare la propria vita per lui e per la sua Chiesa.
Ciò che rende feconda la nostra vita non è, dunque, la realizzazione dei desideri, anche buoni e santi che abitano in noi – come quelli che abitavano il cuore di Rolando –, ma l’obbedienza lieta e quotidiana a ciò che Dio ci chiede.
 
Domandiamo che per l’intercessione del beato Rolando Rivi una nuova stagione della fede possa sorgere sulla nostra terra. A lui affidiamo ancora una volta le nostre persone, quelle dei nostri cari, soprattutto dei poveri e dei malati, e chiediamo il dono di nuove e sante vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata e al matrimonio cristiano.
 
Amen.

✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla




19 maggio, 2015

Riccardo Rampi

 “Voglio pensare che Alfredino che non ha mai potuto giocare col fratello, l’abbia voluto con sé in Paradiso e quando l’ha chiesto al Signore, è stato accontentato. Ora sono lì in Paradiso, abbracciati, due angeli custodi”.







12 ottobre, 2014

Cinquantesimo di sacerdozio (1964 - 2014) di Mons. Ubaldo Nava nella mia ex parrocchia San Fermo e Rustico

 Nella mia ex Parrocchia San Fermo e Rustico di Presezzo (Bg) 



Mons. Ubaldo Nava ripercorrendo i suoi cinquant'anni di sacerdozio 1964 - 2014

I miei ringraziamenti più sinceri vanno ad Isabella Menghini, per la fotografia.


Tanti auguri di cuore, caro Padre, ancora per un buon cammino sacerdotale 

Dio, lo benedica e la Vergine Maria proteggano sotto al loro mantello. conservandolo a lungo su questa Terra.  

Canzano Barbara 

10 settembre, 2014

Il Bacio del Papa alla Reliquia di Rolando Maria Beato

Il Bacio del Papa alla Reliquia di Rolando Maria Beato






Papa Francesco mi ha dato un bel bacio sulla frontemi ha abbracciato e mi ha detto che ho un sorriso splendido. Ho provato una gioia immensa...». Tra i seicento della spedizione reggiano- modenese all’udienza generale in Vaticano dedicata anche al Beato Rolando Rivi, il martire di San Valentino di Castellarano, la più felice è lei. Velia Gallinari, 43 anni, diversamente abile di Albinea, il Papa lo ha proprio incontrato, toccato e abbracciato. E ci ha persino parlato. Con quella tenera innocenza da fare invidia a un bambino. «Pregherà per i miei amici e per la Croce Verde di Reggio e Albinea?», gli ha domandato Velia. Papa Francesco l’ha guardata con dolcezza: «Hai un sorriso bellissimo. Certo che pregherò. Prego per tutti e lo farò anche per i tuoi amici».

Velia è una delle seicento persone che assieme all’associazione «Amici di Rolando Rivi» e alla Croce Verde reggiana è andata a Roma dal Papa. Due giorni che rimarranno un ricordo indelebile per tutti quanti. Nel segno del martire seminarista, gli Amici di Rolando hanno accolto il Papa in Piazza San Pietro sventolando il foulard rosso con la scritta Io sono di Gesù.

Papa Francesco durante il suo giro sulla Papa-Mobile si è fermato proprio dal gruppo di pellegrini vicino alle transenne. Li ha salutati e si è fermato ad ascoltare il reggiano Emilio Bonicelli, segretario dell’associazione dedicata al Beato. «È stata un’emozione fortissima — racconta — Gli ho spiegato il motivo per cui eravamo tutti lì. Gli abbiamo regalato uno dei nostri foulard rossi e prima di donargli la reliquia di Rolando Rivi l’ha baciata. È stato un gesto stupendo che corona tutto il nostro cammino fatto finora. È come aver affidato Rolando alla chiesa universale». Un cammino però che non è finito. Ora si aspetta la santificazione di don Rivi col processo che è già partito.

«Prima che andasse via, ho detto al Papa che aspettiamo la canonizzazione. Lui si è girato, mi ha guardato e ha sorriso. Poi ha fatto un cenno come a dire: continuate così e vedrete che Rolando diventerà santo. È stata un’espressione di incitamento. Il Santo Padre ha questa grande capacità di accoglienza; trovarmi di fronte a lui è stato come essere davanti a un papà o a uno zio. Una persona familiare che sembra di conoscere da sempre. È stato un sogno».

Dopo il giro nella piazza del Vaticano gremita di 60mila persone, Papa Francesco ha parlato alla folla per l’omelia dell’udienza. Al suo fianco il vescovo di Reggio Massimo Camisasca con cui si è intrattenuto a lungo successivamente, con abbracci e sorrisi, e l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri (presidente dell’associazione Amici di Rolando). E anche qui la sorpresa: il Papa ha salutato i pellegrini reggiani ricordando che quell’udienza fosse in onore del Beato. «Rolando è un eroico testimone della Fede», ha detto Papa Bergoglio.

Una gioia immensa lo è stata anche per la Croce Verde di Reggio e Albinea. Ottanta volontari si sono aggregati alla spedizione voluta in occasione del centenario.

«È stata una giornata incredibile — racconta Cristiano Cucchi, organizzatore del viaggio — E il momento più emozionante, soprattutto per me, è stato quando il Papa ha benedetto il nostro vessillo che portavo in mano io. E poi, quando Velia ci ha detto che il Papa ha promesso che pregherà per noi siamo stati davvero felici».

Al pomeriggio poi, la spedizione ha concluso il pellegrinaggio con l’ultima messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. A presiederla è stato il vescovo Massimo Camisasca che nonostante un blackout e quindi impianto audio spento, ha fatto l’omelia a «voce naturale», con i fedeli che hanno osservato tutti un rigoroso silenzio. Un momento di preghiera molto sentito da tutti. Infine, la partenza da Roma per il ritorno a casa. Tutti stremati, anche per l’incessante traffico incontrato sul Grande Raccordo Anulare e per un incidente stradale lungo la A1 che li ha lasciati imbottigliati per ore. Tutti stanchi, ma felici. Con la gioia nel cuore.

24 agosto, 2014

Adelaide Roncalli in Bissola

 Nel 1944, al Torchio, sottofrazione delle Ghiaie di Bonate Sopra, abitava la famiglia Roncalli composta da un figlio Luigi e da sette figlie: Caterina, Vittoria, Maria, Adelaide, Palmina, Annunziata e Romana (e Federica morta in tenera età). Papà Enrico aveva rinunciato alla vita del contadino e prestava servizio come operaio in uno stabilimento locale. La mamma Anna Gamba, casalinga, doveva crescere con pazienza certosina la numerosa prole.

Adelaide aveva allora sette anni. Era nata il 23 aprile 1937 alle ore 11 al Torchio e battezzata il 25 aprile dal parroco Don Cesare Vitale. Frequentava la classe prima elementare; era una bambina comune, piena di salute e di vivacità, le piaceva giocare.

Nulla faceva presagire fino a quel pomeriggio del 13 maggio 1944 quando le apparve la Sacra Famiglia, che il suo nome avrebbe varcato non solo i confini d'Italia, ma quelli d'Europa.

Mentre il mondo bruciava tra le fiamme dell'odio e delle armi e la guerra sembrava non finire mai, la Madonna, madre di unità e regina della pace, scelse una fanciulla di Bonate, Adelaide Roncalli, per lanciare i suoi messaggi al mondo. Le apparve per tredici giorni in due cicli: il primo dal 13 al 21 maggio, il secondo dal 28 al 31 maggio.

La Madonna le predisse:
"Soffrirai molto, ma non piangere perché dopo verrai con me in paradiso." "In questa valle di veri dolori sarai una piccola martire…" Ma Adelaide era troppo bambina per valutare subito la gravità di queste parole. Dopo le apparizioni, fu isolata, intimorita, spaventata e tormentata psicologicamente, tanto che alla fine qualcuno, il 15 settembre 1945, riuscì a strapparle uno scritto di ritrattazione che peserà come un macigno sul processo di riconoscimento delle apparizioni.

Il 12 luglio 1946, smentì la ritrattazione che le era stata dettata, riaffermando per iscritto la veridicità delle apparizioni, ma purtroppo non ebbe l'esito sperato poiché il 30 aprile 1948, il vescovo di Bergamo mons. Bernareggi emise il decreto di "non consta" proibendo ogni forma di devozione alla Madonna, venerata come apparsa a Ghiaie di Bonate.

Spostata di qua e di là, contro il suo volere e all'insaputa dei suoi genitori, contrastata, derisa e calunniata, Adelaide portò la sua croce, lontano da casa.

Al compimento del suo quindicesimo anno, ottenne dal vescovo di entrare tra le suore Sacramentine di Bergamo. Morto il vescovo, qualcuno riuscì a strappare l'ordine di farla uscire dal convento costringendola a rinunciare al disegno vocazionale che Maria aveva manifestato su di lei. Questa rinunzia le portò molta sofferenza e le costò una lunga malattia.

Qualunque adolescente sarebbe uscita distrutta da una vicenda come la sua, ma Adelaide era forte e si riprese. Stanca di aspettare che le si riaprisse la porta del convento, decise di sposarsi ed andò a vivere a Milano dove si dedicò con sacrificio alla cura degli ammalati. Passarono gli anni e Adelaide rimase chiusa nel silenzio impostole dai superiori.

Finalmente, avvalendosi dei decreti del Concilio Vaticano II in materia di diritto all'informazione, Adelaide si sentì sgravata dalle proibizioni che le erano state imposte e decise di riaffermare solennemente e ufficialmente, davanti a notaio, la veridicità delle apparizioni.

Ora, Adelaide Roncalli, la veggente di Ghiaie, non c'è più. Colpita da un male incurabile, si è spenta alle tre di domenica mattina 24 agosto 2014. Visse nell'assoluto riserbo, lontana dai riflettori, in obbedienza alla Chiesa e soprattutto senza rancori per coloro che le hanno inflitto dolori e grandi dispiaceri.

 


 

22 giugno, 2014

Festa Anniversari mons. Ubaldo, Don Costantino, Don Elio.



Festa d'Anniversario 50^ anni di Sacerdozio
Parrocchia di Sant'Alessandro in Prezzate di Mapello (Bg)
Mons. Ubaldo Nava, Don Costantino Amedeo, e Don Elio Artifoni
Domenica 22 giugno 2014, Solennità del Corpus Domini. Festa d'Anniversario di Sacerdozio
I RINGRAZIAMENTI VANNO A Renato Mazzoleni ed a tutti i suoi collaboratori per questo bellissimo video



10 giugno, 2014

Daniele Massaro, nipote del cugino del seminarista ucciso, racconta la sua storia

 

Castellarano: Daniele Massaro, nipote del cugino del seminarista ucciso, racconta la sua storia


CASTELLARANO. A Castellarano, tra i discendenti di Rolando Rivi, c’è chi è diventato catechista ed è affascinato dalla sua storia particolarmente breve ma intensa.


«Quando ero bambino – dichiara Daniele Massaro – mio nonno Alfonsino Rivi mi raccontava sempre di suo cugino Rolando, della sua passione per la religione, di quando giocavano assieme e anche del momento della sua tragica morte».


Quando hai iniziato a interessarti alla storia di Rolando?


«Fino a 16 anni, nonostante in famiglia se ne parlasse spesso, non era un argomento che mi attirava. Ma dopo ho iniziato a leggere e ad approfondire la vita di quel mio giovane parente e ho capito che vi era qualcosa di eccezionale in lui, tanto che da tre anni lo porto come esempio ai ragazzi a cui insegno catechismo».

Agli adolescenti interessa la figura di Rolando?


«Sembra strano ma l’idea di questo ragazzo che, giovanissimo, ha seguito la sua fede fino alla morte affascina e coinvolge molto i giovani. Basta pensare al fatto che quando organizziamo la camminata da Castellarano fino alla chiesa di San Valentino, dove Rolando è sepolto, sono tantissimi i ragazzi che partecipano».


Che cosa ti ha colpito di Rolando Rivi?


«Il fatto che lui dicesse sempre “Sono di Gesù”. Uno dei modi per dimostrarlo era quello di portare sempre la veste talare. Non se ne separava mai, era come una seconda pelle: mio nonno mi raccontava che la portava anche quando giocava a calcio con gli amici. Non se la tolse nemmeno quando tutti in paese gli consigliarono di toglierla perché sul finire della guerra i partigiani comunisti erano a caccia anche dei religiosi».


Dopo quasi settanta anni dalla fine delle guerra, che idea ti sei fatto sulla morte di Rolando?


«Della sua morte sono sempre state date due versioni. Una era quella che fosse una spia dei tedeschi e per questo venne preso e ucciso dai partigiani. La seconda, invece, si basa sulla politica attuata dai partigiani comunisti, ossia quella di eliminare il più alto numero di preti e di religiosi. E Rolando, visto che portava la veste talare, era sicuramente un buon obiettivo. In ogni caso si è trattato di un atto disumano ed è inconcepibile pensare, ancora oggi, che un ragazzo di poco più di 14 anni sia stato preso, torturato per tre giorni e poi giustiziato solo perché non ha mai rinnegato la sua fede in Gesù».


E a proposito delle accuse di collaborazionismo con i nazisti cosa dici?


«Su queste accuse si basava la difesa degli assassini di Rolando. Una difesa che non resse in tribunale: in ben tre processi non fu mai ritenuta valida e nemmeno accolta. Alla fine i giudici diedero delle pene particolarmente alte, oltre 25 anni di galera, ai responsabili di quell’omicidio. Ma, a rigor di logica, come poteva fare la spia un ragazzino che andava sempre vestito da prete? Sinceramente non credo abbia senso, anche perché Rolando considerava la sua vita come una missione per diffondere il Vangelo e le idee di Gesù».


Cosa vuole dire avere un beato in famiglia?


«Sono felicissimo e spero di seguire i suoi insegnamenti. Il fatto che papa Francesco abbia nominato Rolando Rivi beato è stato un risultato eccezionale. E se la sua memoria non è stata persa, un grande merito lo si deve dare ai padri della Consolata, che hanno retto negli scorsi anni la parrocchia di San Valentino e che si sono impegnati a ricordarne la memoria. Insieme agli altri familiari di Rolando, ovviamente».


Adesso che cosa manca secondo te?


«Manca solo la proclamazione a santo, ma per questo è necessario il miracolo».


(Paolo Ruini)