Il 12 maggio 2008, moriva Irena Sendler.
Ⓒ Blog Site official di Canzano Barbara sono una ragazza disabile, dalla nascita. Sono devota a Maria Regina della Famiglia apparsa nel maggio 1944 a Ghiaie di Bonate (Bg) ad Adelaide Roncalli a soli sette anni. Scopo mantenere viva la Memoria. Sono devota al GIUDICE ROSARIO ANGELO LIVATINO UOMO MARTIRE PER LA GIUSTIZIA INDIRETTAMENTE ANCHE DELLA FEDE
Testimonianze dei compagni di seminario di Rolando Maria Rivi
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12 maggio, 2008
12 maggio 2008, moriva Irena Sendler
15 agosto, 2003
Benedizione irlandese
Benedizione irlandese
Possa la fortuna essere tua
e possano le tue gioie non avere mai
fine.
Possa la strada venirti incontro,
il vento essere
sempre alle tue spalle
il sole riscaldarti il viso
e la
pioggia cadere dolcemente sui tuoi campi
e fino a quando ci
rincontreremo
possa Dio tenerti nel palmo della sua mano.
Possano le
gocce di pioggia cadere dolcemente sulla tua fronte
i dolci
venti rinfrescarti l’animo
il sole illuminare il tuo cuore
i
pesi della giornata essere leggeri su di te
e possa Dio
circondarti con il mantello del suo amore.
Ci sia sempre
lavoro da fare per le tue mani
possa il tuo borsellino contenere
sempre una o due monete
il sole risplendere sempre sul vetro
della tua finestra
un arcobaleno seguire sempre ogni pioggia
la
mano di un amico essere sempre vicino a te
possa Dio colmarti il
cuore di gioia per rallegrarti.
Possa tu sempre avere…
un
raggio di sole per riscaldarti
buona fortuna per deliziarti
un
angelo protettore
così che niente ti possa far male
riso
per rallegrarti
ed amici fedeli accanto a te
ed, ogni volta
che pregherai,
possa il cielo ascoltarti.
Possa essere tua memoria sempre una benedizione per tutti noi.
21 giugno, 2003
È morta la Signora Corbo Rosalia in Livatino
È morta venerdì notte, dopo una lunga malattia, Rosalia Corbo, l'anziana madre del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre del ' 90. Soffriva da tempo di insufficienza renale, per questo era in dialisi, aveva 78 anni Dopo l'assassinio del figlio, la donna era diventata uno dei simboli del movimento antimafia, i Livatino avevano incontrato anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giovanni Paolo II, che avevano lodato l'impegno civile della donna e dell'anziano marito, Vincenzo. Per una singolare coincidenza, la donna è morta poche ore dopo la trasmissione "Miracoli", di Rete 4, che proprio sabato sera aveva parlato a lungo della storia del magistrato e di un presunto miracolo che gli viene attribuito. Già da qualche anno, la curia di Agrigento ha iniziato l'istruttoria per avviare il processo di beatificazione del giudice assassinato dalla mafia.
16 maggio, 2000
Mamma Rosalia Corbo, la radice campobellese del Beato Rosario Livatino
Il 21 Settembre 1990 veniva barbaramente assassinato dalla mafia Rosario Livatino, il Giudice Rosario Angelo, per il suo alto senso del dovere e del ruolo che ricopriva quale funzionario dello Stato! Ho visto per la prima volta Rosario Livatino mentre ero in campagna con mio padre, a Serra Vicie’, contrada a pochi passi dal centro abitato di Campobello di Licata (AG), nel terreno di nostra proprietà. Lui, quasi giovinetto, accompagnava il padre Vincenzo, che aveva l’abitudine di tanto in tanto di ispezionare il fondo agricolo percorrendo a piedi il confine, la finalità, per constatarne l’integrità del bene della moglie! Avevamo il terreno a confinare anche se lo avevano dato a terraggio ad un certo Caizza; quel giorno si fermò una Fiat 1100 bianca (almeno così ricordo) nella parte carrabile della stradella in battuto e scesero entrambi, l’avvocato Livatino e il figlio Rosario, che forse fu coinvolto a prendere consapevolezza delle proprietà di famiglia. Ci salutarono educatamente procedendo nel loro intento. Appena allontanati, mio padre mi disse chi erano e qui le spiegazioni, integrate con le mie attuali conoscenze! L’avv. Vincenzo Livatino padre di Rosario aveva sposato Rosalia, figlia di Maria Bella di Campobello e del colonnello dott. Angelo Corbo oriundo di Canicattì, nel periodo Direttore del Banco di Credito Canicattinese di Campobello. Marietta Bella, come veniva appellata, nonna del Giudice Rosario, era appartenente alla nota famiglia benestante locale dei Bella, figlia del Cav. Vincenzo Bella (1962-1955) podestà di Campobello (1927-1932) e di Sillitti Carmela, che aveva portato in dote cospicue proprietà terriere del nostro territorio, specie in contrada Serravincenzo, che per la loro estensione furono attraversate negli anni ’70 del Novecento dalla variante esterna della SS.123. Abitavano in Via Dante n. 7, vicino la Chiesa Madre, con l’appartamento prospiciente sulla Via Umberto e sotto quella casa c’era una specie di stanza, che era più una grotta che una stanza e lì vi abitava la “sciampuliddra”, per gentile concessione della signora Bella che in grazia di questa locazione Le faceva da governante (nota del sig. Renato Cammarata). Sembra che il Colonnello Corbo nella sua qualità di Direttore di Banca abitasse anche nello stesso piano dell’istituto di credito, accanto alla Tabaccheria di don Angelo Gallo, ereditata dal nipote Angelo Capizzi, recentemente scomparso, attività poi trasferita nei pressi del Comune, dov’è tuttora. Ciò, fino alla richiamata alle armi del dott. Angelo. Difatti, da una nota del 23 Febbraio 1940 (XVIII) di P. Di Prima, Direttore della Società Banco Di Credito Canicattinese, con sede a Canicattì, indirizzata alla filiale di Campobello e al sig. Sebastiano Bella, azionista della Società, si evince l’invito alla sostituzione temporanea per la chiamata alle armi del dott. Corbo con il cassiere dell’istituto avv. Giovanni Ciotta (1909-1969).
Dunque, la figlia Rosalia Corbo madre del Giudice Rosario, come da atto di battesimo n. 24 del 1926 presso l’Archivio della parrocchia San Giovanni Battista di Campobello, nacque a Campobello di Licata il 16 Maggio 1925 e fu battezzata in chiesa dal sacerdote Salvatore Lo Vasco giorno 23 Marzo 1926, essendo padrino il nonno don Vincenzo Bella (1862 -1955) figlio di Stefano (1829-1907) e Sillitti Maria, quest’ultimo figlio di don Giuseppe Bella (1795-1831) e La Lomia Rosaria (1808-1848) andata in sposa a soli 13 anni il 16 Febbraio 1822 (da una nota del compianto Ugo Bella). Ritornando, dell’infanzia, dell’adolescenza e della giovinezza di Rosalia non sappiamo quasi nulla ma benissimo possiamo immaginare l’ambiente agiato della sua famiglia d’origine, l’istruzione collegiale e la formazione sotto sani principi morali e cristiani che connoteranno tutta la sua vita e che trasferirà nell’educazione al figlio Rosario. Contrasse matrimonio all’età di 25 anni, il 13 Ottobre 1951, appunto con Livatino dott. Vincenzo dell’avv. Rosario che fu sindaco di Canicattì (1920-1922) e il rito nuziale fu celebrato nella casa del Sig. Palumbo Pietro, Via Palestro n. 4, a Canicattì, alle ore 9,30; l’anno successivo il 3 Ottobre 1952 la signora diede alla luce il nostro nuovo Beato Rosario Angelo al quale com’è evidente gli furono imposti i nomi dei nonni, paterno e materno, il battesimo fu celebrato il 7 Dicembre successivo nella Chiesa Madre di Canicattì dall’arciprete mons. Vincenzo Restivo, mentre padrini furono la zia Alfonsa Livatino sorella del papà di Rosario e Angelo Corbo, papà di Rosalia. Il bambino crebbe alla luce degli insegnamenti familiari dove la formazione cristiana ebbe un ruolo importante specie dalla figura materna che, come da molteplici testimonianze e di vivi ricordi, spesso andava a trovare mamma Marietta con il figlio Rosario, arrivava da Canicattì col pullman facente capolinea davanti il sagrato della Matrice a due passi dall’abitazione degli anziani genitori che per una forma di schizofrenia della madre erano costretti a convivere in stanze e appartamenti separati, ciò per la fobia ripetuta della donna di sequestrare il marito, forse dovuta a gelosia, da ciò il detto locale “ncucciasti Cuorbu!”, riferito alla riuscita dell’intento. Ma nonostante tutto l’anziana e aristocratica signora era affabile e manteneva rapporti di buon vicinato. Per la profonda devozione campobellese verso la Madonna dell’Aiuto non è artificioso immaginare il sostare di Rosalia all’altare della Vergine, appena il tempo di una preghiera, specie nel giorno di solennità, magari tenendo per mano il figlio Rosario e soffermandosi a scambiare due parole con l’anziano arciprete Cascio Bosco o qualche amica e conoscente. Spesso Rosario, inventandosi mille modi ludici, rimaneva a giocare da solo nella piazzetta della Vasca, allora piazza Ciano ed ora Aldo Moro, anche se frequentata da molti bambini suoi coetanei. Ed ancora, molti ricordano la sua figura adulta e smilza, impeccabile nell’abbigliamento, ma profondamente addolorata e composta alle esequie della nonna Marietta, mentre in silenzio procedeva il corteo funebre. Questo, il mio modesto contributo alla riscoperta delle radici di Rosario Angelo Livatino, Beato della Chiesa Cattolica, che in parte è figlio della comunità campobellese. Il resto della vita di mamma Rosalia, come affettuosamente viene ricordata, la conosciamo, specie per l’atroce dolore sopportato con quanta dignità per la morte del figlio unigenito, forse mitigato dall’incontro del Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento che nel 1993 gli aveva preannunciato le virtù eroiche e cristiane di Rosario con l’avvio del processo canonico, oggi concluso positivamente, perciò accolto con entusiasmo dalla Chiesa universale e con grande gioia da quella agrigentina che esulta, non a caso nella ricorrenza dell’anatema contro la mafia lanciato dal Pontefice Wojtyla a Piano San Gregorio. Ringrazio Piera Accascio per avermi sollecitato questo contributo che sarà accolto nelle pagine del Bollettino Voce Nostra dell’Unità Pastorale Parrocchiale “Maria Madre della Chiesa” di Campobello di Licata, dove sono state effettuate le ricerche d’archivio coadiuvato dall’amica Piera.
11 febbraio, 2000
Riccardo Cocciante & Scarlett Wollenmann - Io vivo per te
Riccardo Cocciante & Scarlett Wollenmann - Io vivo per te
30 maggio, 1994
L' AMORE PER IL L'ALTRO FILM RITRATTO DI PADRE MASSIMILIANO MARIA KOLBE FRATE CAPUCCINO
– rispose –. La mia vita non può più servire granché…».
«E per chi vuoi morire?», boccheggiò Fritsch, sempre più interdetto.
preti, dicevo, occupavano la penultima bolgia; l’ultima essendo riservata, per diritto
di razza, agli ebrei. Ma dopo i «porci
ebrei» venivano subito i «porci preti»,
die schweinerische pfaffen, e ad essi erano imposti i lavori più sfibranti, e su di essi cadevano con maggior predilezione i colpi di staffile.
«Un pfaffe» (un prete), disse con un ghigno livido il Lagerführer, rivolgendosi a Palitsch. E in quel ghigno padre Kolbe lesse ormai la certezza che la sua richiesta sarebbe stata esaudita.
Franciszek Gajowniczek
Nel 1994, Gajowniczek visitò la Chiesa cattolica di St. Maximilian Kolbe a Houston, texas, dove disse al suo traduttore Cappellano Thaddeus Horbowy che "Finché ... ha respiro nei polmoni, avrebbe chiamato il suo dovere di raccontare alla gente l'eroico atto d'amore di Massimilliano Maria Kolbe.
10 maggio, 1993
Teleacras - Papa Wojtyla ad Agrigento nel 1993
09 maggio, 1993
VISITA APOSTOLICA DI GIOVANNI PAOLO II AD AGRIGENTO
09 MAGGIO 1993: VISITA APOSTOLICA DI GIOVANNI PAOLO II AD AGRIGENTO. "CONVERTITEVI! UN GIORNO VERRÀ IL GIUDIZIO DI DIO!"...
22 ottobre, 1992
Roberto Rivi Padre di Rolando Maria Rivi
Roberto Rivi Padre di Rolando Maria Rivi
Testimoni
San Valentino di Castellana, Reggio Emilia, 30 ottobre 1903 - 22 ottobre 1992
Si
chiamava Roberto Rivi ed era nato a San Valentino di Castellana
(Reggio Emilia), il 30 ottobre 1903, primo di numerosi fratelli, in
una famiglia in cui la fede animava la vita e le opere di tutti i
giorni.
Crebbe imparando, alla scuola di mamma Anna, una donna
dalla vita cristiana splendida, a pregare quotidianamente la Madonna
con il Rosario e a incontrare tutte le domeniche e poi ancor più
sovente, Gesù, nella Messa e nella Comunione. Ben presto, il
parroco, don Jemmi, divenne la sua guida spirituale.
Dopo le
scuole elementari, Roberto rimase a casa a lavorare la campagna e a
testimoniare la sua fede cristiana tra la sua gente. Era puro e leale
come un cavaliere antico. A 20 anni, prestò servizio militare,
passando anche alcuni mesi a Zara, nell’Istria, assai lontano da
casa. Un tempo, questo del militare, lungo e duro, vissuto in
ambienti difficili, ma sempre in fedeltà a Gesù, anche a costo di
qualche sacrificio.
Rientrò in famiglia a San Valentino, a metà
degli anni ’20, nel periodo in cui la Chiesa era guidata da Pio XI
che cercava di organizzare la gioventù nell’Azione Cattolica.
Roberto fece parte di quei giovani cattolici, appassionati, che si
ispiravano anche ai martiri del Messico, i quali, proprio in quegli
anni, cadevano sotto il piombo dei persecutori, gridando: “Viva
Cristo re!”.
Ventiquattrenne, Roberto incontrò Albertina e la
sposò, deciso a farsi una famiglia che avesse come centro Gesù
quale Luce, Amore e Guida. Dopo un po’ vennero i figli che furono
la sua più grande gioia. Il 7 gennaio 1931, gli nacque Rolando che
si dimostrò subito un figlio speciale. Vivace, allegro, un vero
spasso. A cinque anni, già serviva la Messa al parroco, don Olinto
Marocchini e si vedeva che gli piaceva proprio stare in chiesa a
pregare e a cantare le lodi del Signore.
Un uomo appassionato
Seppi
che il suo papà si chiamava Roberto Rivi ed era nato a S. Valentino
di Castellarano (Reggio Emilia), il 30 ottobre 1903, primo di
numerosi fratelli. Crebbe, alla scuola di mamma Anna, una donna di
fede ardente, a pregare ogni giorno la Madonna con il Rosario e a
incontrare tutte le domeniche Gesù nella S. Messa e Comunione. La
sua guida era il parroco don Jemmi.
Dopo le elementari, Roberto
rimase a casa a lavorare la campagna e a testimoniare la fede
cristiana tra la sua gente. A 20 anni, prestò servizio militare,
passando anche alcuni mesi a Zara, nell’Istria, assai lontano da
casa, vivendo in ambienti difficili, sempre in fedeltà a Gesù, a
costo di qualsiasi sacrificio.
A metà degli anni ’20, era
rientrato in famiglia a S. Valentino, proprio nel periodo in cui la
Chiesa, guidata da Papa Pio XI, organizzava la gioventù nell’Azione
Cattolica: anche Roberto fece parte di quei giovani appassionati.
Ogni giorno, con la mamma Anna, partecipava alla Messa con la
Comunione. Lo farà sino all’ultimo giorno della sua vita,
preparandosi alla Comunione quotidiana con la Confessione settimanale
e la preghiera personale.
Ventiquattrenne, Roberto aveva
incontrato Albertina e la sposò, deciso a farsi una famiglia, che
avesse come centro Gesù, Luce, Amore e Guida.
Quindi erano
venuti i figli che furono la sua più grande gioia.
Un piccolo eroe
Quando
a sette anni appena, il 16 luglio 1938, nella festa della Madonna del
Carmelo, venerata in parrocchia, Rolandino ricevette la prima
Comunione, fu davvero per lui una festa umile e solenne. Gesù
diventava finalmente il suo intimo amico.
A scuola, guidato
dalla maestra Clotilde Selmi, seppe dare buoni risultati, sostenuto
da una vivace intelligenza, imparava con facilità e aiutava
volentieri i compagni.
Era generosissimo con i poveri di
passaggio, ai quali donava con larghezza, dicendo: “La carità non
rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù”.
Papà
Roberto era felice di un bambino così, proprio come lui voleva. Il
24 giugno 1940, dal Vescovo, Mons. Eduardo Bretoni, Rolando ricevette
la Cresima. Si sentì ancora più impegnato per Cristo, un “soldato
di Cristo”, come si diceva allora, e prese forti impegni con il
Signore: la Messa e la Comunione quotidiana, la Confessione
settimanale, il Rosario alla Madonna ogni giorno da solo o con la
famiglia.
I suoi piccoli amici del borgo, Rolando cercava di
portarli in chiesa, davanti al Tabernacolo e di condurli al
catechismo, per crescere nella fede. Papà Roberto tra sé, si
chiedeva: “Chi mai diventerà questo bambino?”. A 11 anni, dopo
la V elementare, il ragazzino decise: “Voglio farmi prete. Papà,
mamma, vado in Seminario”. Così, all’inizio dell’ottobre 1942,
entrò in Seminario a Marola (Reggio Emilia) e vestì subito l’abito
da prete, come allora s’usava.
Studiava con serietà, con la
sua bella voce faceva parte del coro. Nei momenti liberi stava
volentieri davanti all’Eucaristia, appassionato com’era della sua
vocazione sentendosi un prediletto da Dio. A casa, in vacanza,
durante l’estate, continuava a vivere da seminarista con fedeltà
ai suoi impegni e facendo apostolato tra i suoi compagni.
Il
papà era contento e orgoglioso che il buon Dio gli avesse donato un
figlio così e già pregustava la gioia di vederlo sacerdote. Era
felice di cantare in chiesa, quando Rolando suonava l’armonium e
accompagnava i cantori durante le celebrazioni, la Messa e i
Vespri.
Nel 1944, il Seminario, a causa della guerra, fu chiuso.
Rolando tornò a casa e viveva, nonostante le difficoltà, la sua
stessa vita, ardente e luminosa, sulle colline di San Valentino. A
chi gli chiedeva di vestire come gli altri ragazzi, rispondeva: “Non
posso lasciare la mia veste: è il segno che io appartengo al
Signore”.
Il 10 aprile 1945, finì in mano ai comunisti a
Monchio, in provincia di Modena. Lo portarono nella loro base e lo
processarono. Lo schiaffeggiarono, lo percossero con la cinghia e gli
tolsero l’abito religioso. Poi emisero la sentenza: “Uccidiamolo,
avremo un prete in meno”. Lo portarono in un bosco presso Piane di
Monchio. Qui scavata la fossa, mentre Rolando, in ginocchio pregava
il suo Gesù per sé, per i genitori, per gli stessi aguzzini, questi
lo presero a calci, poi con due colpi di pistola, uno al cuore e uno
alla fronte, gli tolsero la vita. Era il 13 aprile 1945, quando
Rolando Rivi, a 14 anni appena, fu freddato da due colpi di
rivoltella, nel clima di odio contro la Chiesa e i sacerdoti. Era un
venerdì, giorno dedicato alla morte di Gesù in croce. La veste da
prete diventò, nelle mani dei comunisti, un trofeo che fu appeso
sotto il porticato di una fattoria vicina.
Al di là dell’odio
Il
papà, su quella immane tragedia, disse soltanto: “Perdono”. Era
straziato, ma con la sua fede grandissima, riprese a vivere
infondendo coraggio ai suoi e illuminando il dolore con la preghiera
incessante, sentendosi quasi chiamato a compiere lui il bene al posto
di Rolando.
Il martirio del figlio seminarista lo spinse ad
impegnarsi a fondo, in prima persona, per costruire, negli anni del
dopoguerra, una società cristiana. Nel tempo dell’immane
conflitto, gli erano morti al fronte, lontanissimo da casa i due
fratelli Rino e Adolfo, e in casa, la sorella Lina. Negli anni che
verranno, altri lutti e dolori provarono la forte tempra e la fede
invincibile di papà Roberto.
La sua vita stupiva chi lo
avvicinava, perfino i sacerdoti, che lo stimavano e ne amavano la
compagnia, e la sorella suora: “Con tutto quanto ha patito, come
può essere così forte e sereno?”. La sua risposta era la Croce di
Cristo.
Così papà Roberto portava la sua fede davanti a
chiunque, sempre “uno con Gesù”: nella famiglia, nel lavoro, nei
rapporti sociali, nel modo di intendere le cose e nelle scelte
quotidiane. Una vera mentalità di fede, la sua, tradotta in
semplicità interiore e letizia.
Gli anni passavano e la sua
esistenza si faceva sempre traboccante di preghiera: molto spesso,
forse ogni giorno, la Messa e la Comunione, in un colloquio lungo con
Gesù per la Chiesa, per il mondo, per i sacerdoti, fino al punto di
riconoscere con semplicità: “Io starei sempre davanti al Signore
vivo, nel Tabernacolo”.
Nel cuore, una capacità grande di
amare e di donare, sempre pronto ad aiutare chiunque come un
fratello.
La Via Crucis diventò la sua preghiera preferita: la
ripeteva anche più volte al giorno, tenendo la foto di suo figlio
Rolando, tra le mani, ricordando al Divin Sofferente i suoi
familiari, gli amici i sacerdoti e coloro che gli avevano fatto del
male.
Si illuminava tutto quando parlava di Rolando e commuoveva
chi lo ascoltava quando diceva: “Forse il Signore ha permesso così,
perché Rolando non avesse a prendere una cattiva strada... l’ha
voluto con Sé, tra i santi. Ho sofferto tanto, ma non sono
arrabbiato con il Signore. Siamo sulla terra per compiere la sua
volontà”.
Il 22 ottobre 1992, a 89 anni, papà Roberto
rivedeva il suo Rolando e i suoi cari che lo avevano preceduto in
Paradiso. Chi lo ha conosciuto di persona o chi semplicemente lo ha
solo ascoltato poche volte al telefono, è rimasto incantato dalla
sua fede granitica e dolce. Gesù solo, il Redentore dell’uomo,
forma uomini così, Lui che ha assicurato: “Abbiate pace in me. Nel
mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo”
(Giovanni 16:33).Con Gesù, vincitore del peccato, del dolore e della
morte, anche papà Roberto, con il suo piccolo figlio martire, appare
un vincitore.
19 luglio, 1992
Biografia di Paolo Borsellino
Biografia di Paolo Borsellino
Paolo Emanuele Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio 1940. Il padre Diego era farmacista e dalla moglie Maria Pia avrebbe avuto, oltre a Paolo, i figli Salvatore, Adele e Rita. Fin da giovanissimo, per le strade del quartiere La Kalsa, Paolo comincia a frequentare il coetaneo Giovanni Falcone con cui da principio “gioca a pallone con gli altri ragazzi” e che ritroverà più tardi – dopo il diploma Classico – alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo.
Borsellino è studente irrequieto e attivo politicamente, tanto da far parte dei gruppi legati alla destra (Fronte Universitario di Azione Nazionale, MSI) con ruoli anche importanti. Ma per lui più della politica sono importanti gli studi. Si laurea in breve tempo e – vincendo il primo concorso di Magistratura nel 1963 – a soli 23 anni, diviene il giudice più giovane d’Italia.
Nel 1968 sposa Agnese Piraino Leto e da lei ha tre figli: Lucia, nata nel 1969, Manfredi, classe 1971, e nel 1973 Fiammetta. Descritto spesso come padre amorevole e sempre presente, nonostante gli impegni di lavoro, Borsellino soffrì molto quando capì di essere il prossimo bersaglio dei boss. Il figlio Manfredi ricorda che divenne scostante, severo, freddo … come se volesse preparare la famiglia al distacco.
Dopo l’omicidio del collega e amico di una vita, Giovanni Falcone, il giudice Borsellino intensificò la propria attività di lotta contro la mafia ben sapendo di essere in pericolo ogni giorno. La vendetta dei boss arrivò, tuttavia, a sorpresa in un luogo che il giudice non poteva immaginare: davanti alla casa della sua anziana madre. Il tritolo devastò via D’Amelio nel pomeriggio del 19 luglio 1992. Borsellino e cinque agenti di scorta, tra cui la giovanissima Emanuela Loi, morirono per le gravi ferite riportate.
Misure di Paolo Borsellino
Di quest’uomo attivo e schivo si sa davvero poco, per cui scendere nel personale è difficilissimo. Ma si intuisce dalle foto che fosse di statura media, 175 cm circa, per un peso equilibrato di 75 kg. Portava con fierezza e attenta cura i baffi e spesso tra le labbra la immancabile sigaretta.
L’attentato del 19 luglio 1992
Mentre il giudice si recava a trovare l’anziana madre a casa sua in via D’Amelio, a Palermo, un’auto imbottita di esplosivo fu fatta saltare in aria alle 16:58. L’esplosione violentissima devastò l’intera strada, ruppe i vetri di quasi tutte le finestre del condominio di fronte. Sull’asfalto rimasero i corpi di Borsellino, degli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina. L’agente Agostino Vullo si salvò solo perché stava parcheggiando l’auto blindata poco lontano.
I funerali di Borsellino furono svolti in forma privata, in una chiesetta di periferia che il giudice amava tanto, mentre le esequie della scorta si tennero nella Cattedrale di Palermo. Tra feroci proteste, il popolo presente cercò di cacciare dalla chiesa i rappresentanti dello Stato, considerati dalla vedova del giudice e da molti parenti degli agenti di scorta come responsabili della “solitudine” di Borsellino.
La carriera
Il più giovane magistrato italiano, Paolo Borsellino, iniziò la propria carriera nel 1963. Lavorò presso i tribunali di Mazara del Vallo e di Monreale. Trasferito nuovamente a Palermo nel 1980, dovette seguire una delle indagini lasciate incomplete dal commissario Boris Giuliano ucciso pochi anni prima. La forte amicizia con Rocco Chinnici,con Antonino Caponnetto e con il collega Giovanni Falcone portò alla nascita del Pool Antimafia, che mirava a riunire i giudici istruttori che fino ad allora avevano sempre lavorato da soli, e più esposti.
Grazie al lavoro del Pool finirono sotto inchiesta 476 esponenti della mafia e questo aumentò il rischio per i giudici, specialmente per Falcone e Borsellino che lo guidavano. I due magistrati furono trasferiti all’Asinara per tenerli al riparo da possibili attentati. Subito dopo Borsellino fu trasferito alla Procura di Marsala. Nel 1987 però il Pool venne smantellato – ufficialmente per problemi di salute di Caponnetto – e da allora il lavoro divenne più a rischio per Borsellino e i colleghi.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, i giudici furono “lasciati soli” , o almeno così loro percepirono il silenzio delle istituzioni intorno al loro lavoro. E mentre la mafia progettava attentati, Borsellino “rischiò” di essere eletto a Presidente della Repubblica: il partito MSI fece il suo nome, durante gli scrutini, e ottenne anche dei voti! Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone fu ucciso in un gravissimo attentato sull’autostrada nei pressi di Capaci e da allora, fino al giorno della morte, Borsellino lavorò da solo e consapevole che il prossimo a cadere sarebbe stato lui e morì a cinquantasette giorni dopo Giovanni Falcone.