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16 novembre, 2021

Pensiero del 16 novembre 2021

 La voce, della coscienza spinge Zaccheo, a salire sull'albero, dal quale il Signore, lo fa scendere, per farne un uomo nuovo. Per ciascuno di noi, c'è sempre un sicomoro, dove Gesù c'attende.

Meditazione sul Vangelo di Lc 19,10

Zaccheo, il risorto

All’inizio della sua predicazione, Gesù entrò a Nazareth, la città dove era stato allevato. I nazareni volevano vedere miracoli, ma la loro fede era superficiale: non ne videro! Per questo tentarono di uccidere Gesù, che, «passando in mezzo a loro se ne andò» (Lc 4,30). Quasi al termine della sua missione, Gesù entra in un’altra città, Gerico che, un tempo fortezza inespugnabile, ora si lascia attraversare dal suo Signore e Salvatore. La città è simbolo della nostra anima; sta a noi essere docili alla sua Parola e permettere che essa ci attraversi: Zaccheo ne è un esempio.

Il Vangelo narra la vicenda di un’anima, che si è lasciata espugnare da Gesù e delle meraviglie compiute da questa sua pacifica conquista. Si tratta di un uomo, Zaccheo, capo dei pubblicani esattore delle tasse per conto dei Romani, ricco, a causa della sua disonestà nell’esigere le imposte, dunque disprezzato da tutti. Ma chi è veramente? «Cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura». In mezzo alla “folla” dei suoi peccati e del rancore della gente, tuttavia, la mente ed il cuore di questo omuncolo sono già nella Luce, Gesù lo sta già chiamando. Egli corre, s’arrampica, si libera di ogni pudore, pur di giungere in fretta all’appuntamento con l’Unico che lo ama perché è suo figlio, da troppo tempo lontano. Ed ecco, lo sguardo di Gesù incrocia quello di Zaccheo, il male che era nel suo cuore si sgretola come le mura di Gerico! L’usuraio Zaccheo è morto. Risorge Zaccheo il generoso, che dà la metà dei suoi beni ai poveri; il giusto, che applica al suo prossimo il tasso di interesse prima preteso per sé, restituendo quattro volte quello che ha frodato. L’Amore ha stravinto, ma Gesù vuole la piena riabilitazione dell’ex pubblicano e chiede di essere ospitato da lui. Delicatezza di Dio! Non umilia il peccatore, ma lo solleva dalla polvere, facendosi Lui stesso mendicante d’amore. Ad ognuno dice: ho bisogno di te, della casa di Zaccheo, degli amici al Getsemani… (Mt 26,33).

16 Novembre 

Il Signore mi sostiene

Dio ha amato noi e ha mandato il suo Figlio, come vittima d'espiazione per i nostri peccati.

(I Giovanni 4,10)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 3)
Rit: Il Signore mi sostiene.

Signore, quanti sono i miei avversari!
Molti contro di me insorgono.
Molti dicono della mia vita:
«Per lui non c’è salvezza in Dio!».

Ma tu sei mio scudo, Signore,
sei la mia gloria e tieni alta la mia testa.
A gran voce grido al Signore
ed egli mi risponde dalla sua santa montagna.

Io mi corico, mi addormento e mi risveglio:

«Il Signore mi sostiene. Non temo la folla numerosa, che intorno a me si è accampata».

Dio ha amato noi e ha mandato il suo Figlio, come vittima d'espiazione per i nostri peccati.

(I Giovanni 4,10)

15 novembre, 2021

PREGHIERA DEGLI ARTISTI per Lando Buzzanca

 PREGHIERA DEGLI ARTISTI, per Lando Buzzanca.

O Signore della bellezza, Onnipotente Creatore d'ogni cosa, Tu che hai plasmato le creature imprimendo in loro l’impronta mirabile della tua gloria, Tu che hai illuminato l’intimo di ogni uomo con la luce del tuo volto, volgi su noi lo sguardo e abbi pietà di noi, della nostra debolezza, della nostra povertà, volgi i tuoi occhi sul nostro lavoro, sulle nostre fatiche di ogni giorno, guardaci, siamo gli artisti, i tuoi artisti. Siamo pittori, scultori, musicisti, attori, poeti, danzatori, siamo i tuoi piccoli che amano vivere sulle ali della poesia per poterti stare più vicino, e per aiutare i fratelli a guardare più in alto nel tuo cielo e più in profondità, nel loro cuore. Perdonaci se siamo fragili e incostanti, ma siano uomini, donaci la tua forza, quella che scopriamo nella tua Parola, quella che sentiamo nella tua grazia, quella che riceviamo dalla tua Eucaristia, da quel pane spezzato che è comunione, fraternità e gioia. Ti preghiamo per noi, per tutti gli artisti, per il mondo distratto, fa che possiamo aiutare tutti gli uomini a scoprire qualcosa di Te, attraverso la nostra arte. La nostra vita sia un canto di lode alla tua bellezza e le nostre opere i raggi luminosi che illuminano le strade degli uomini. Donaci il tuo perdono e la tua benevolenza, donaci il tuo Spirito di sapienza e di bellezza, ispiraci con il tuo amore e la tua grazia, e donaci ali stupende affinché con l’arte ci innalziamo fino a te. Te lo chiediamo per Gesù Cristo, Signore e fratello nostro. Amen






Sant'Alberto Magno

 Sant'Alberto Magno


Nome: Sant'Alberto Magno
Titolo: Vescovo e dottore della Chiesa
Nascita: 1206, Lauingen, Germania
Morte: 15 novembre 1280, Colonia, Germania
Ricorrenza: 15 novembre
Tipologia: Memoria facoltativa
Protettore:degli scienziati
Alberto Magno, canonizzato e decorato del titolo di Dottore dal Sommo Pontefice Pio XI, nacque verso la metà del secolo XII dai conti di Bolstldt a Lauingen in Svevia (Germania), dove passò la giovinezza. Recatosi all'Università di Padova per una formazione intellettuale più elevata, fu dal beato Giordano di Sassonia guadagnato all'Ordine Domenicano.

Terminati gli studi ed emessi i voti religiosi, fu designato come professore a Colonia, Ratisbona, Strasburgo e poco dopo all'Università di Parigi. Tra i suoi discepoli il più illustre fu S. Tommaso d'Aquino, la cui elevatezza di mente egli per primo conobbe ed esaltò.

Nel 1254 fu tolto dall'insegnamento ed eletto provinciale dei Domenicani in Germania. Due armi dopo si portò a Roma. e nel Concistoro di Anagni, alla presenza del Sommo Pontefice difese vittoriosamente, contro alcuni avversari, i diritti della Santa Sede e dei Religiosi Mendicanti. Il Papa ne fu così entusiasta che lo tenne a corte e gli assegnò una cattedra all'Università Pontificia. Rinunziò allora alla carica di provinciale, ma dovette nuovamente portarsi in patria, prima come arbitro a Colonia, poi come mediatore di pace politica e sociale in un'infinità di contese.

Al principio dell'anno 1260 lo sorprese la notizia che il Papa l'aveva eletto vescovo di Ratisbona. Lo stato della diocesi non era lusinghiero : decaduta spiritualmente e finanziariamente, aveva bisogno di uno zelante riformatore. Alberto ubbidì alla chiamata pontificia e divenne, colla sua vita santa ed apostolica, modello dei sacerdoti e dei vescovi. Visitava chiese, predicava, confessava, lavorava in tutti i modi al miglioramento spirituale della diocesi, a cui, allorché fu ristabilito l'ori dine, la disciplina e le finanze, decise di rinunziare. i Dietro sue insistenze quindi, Urbano IV lo esonorò dall'ufficio pastorale, ed egli ritornò lieto nel suo convento di Colonia, spendendo il resto della sua vita tra la preghiera. la direzione spirituale, la composizione di opere scientifiche ed ascetiche ed esplicando una vasta azione di pacificazione sociale. Meritò il titolo di dottore universale.

Mentre un giorno, già più che ottantenne. teneva una lezione, perdette improvvisamente la memoria; piangendo scese dalla cattedra. Si preparò alla morte che lo colpì poco dopo, al 15 di novembre 1280, fra il compianto di tutta la cristianità.

PRATICA. Leggiamo o ascoltiamo una istruzione

PREGHIERA. O Dio, che hai reso grande il tuo beat vescovo e dottore Alberto nel far servire la sapienza umana alla fede divina, deh! concedici di seguire le 0;ne del suo insegnamento onde godere della luce perfetta nei cieli.

MARTIROLOGIO ROMANO. Sant'Alberto, detto Magno, vescovo e dottore della Chiesa, che, entrato nell'Ordine dei Predicatori, insegnò a Parigi con la parola e con gli scritti filosofia e teologia. Maestro di san Tommaso d'Aquino, riuscì ad unire in mirabile sintesi la sapienza dei santi con il sapere umano e la scienza della natura. Ricevette suo malgrado la sede di Ratisbona, dove si adoperò assiduamente per rafforzare la pace tra i popoli, ma dopo un anno preferì la povertà dell'Ordine a ogni onore e a Colonia in Germania si addormentò piamente nel Signore.



Pensiero del 15 novembre 2021

Meditazione sul Vangelo di Lc 18,35-43

Portatore di speranza.

 È ora! La salvezza dell’umanità è vicina, Gesù ne conosce il prezzo. Come Luca ci narra nel capitolo 18 del suo vangelo – nel brano che precede quello odierno – Egli, risoluto, si dirige verso Gerusalemme, il luogo della sua immolazione. Chiama a sé i Dodici: nuovamente, li prepara ad accogliere la sua morte, ma soprattutto la sua Risurrezione. Tuttavia, in Gesù, forse, c’è anche il desiderio di avere vicini i suoi amici in questo momento tremendo ed insieme splendido. Essi non comprendono nulla, perché il suo parlare rimane oscuro per loro. Intanto, come abbiamo visto oggi, giungono a Gerico, e la fede di un mendicante cieco porta molti alla Luce.

Gesù e i suoi giungono a Gerico, luogo altamente simbolico. Secondo la fede del popolo ebraico, infatti, le mura di questa imprendibile fortezza caddero (Gs 6,5) e Israele prese possesso della Terra Promessa. Gli apostoli, forse, sperano in un’altra vittoria, ma le parole di Gesù li hanno confusi, sono al buio. Entrando in Gerico, tuttavia, si accende una piccola luce grazie ad un mendicante cieco. Per la mentalità del tempo, la sua invalidità era causata dai suoi gravi peccati. Gesù, in occasione della guarigione di un altro cieco, confuterà questo pregiudizio che condannava all’esclusione chi già soffriva (cfr. Gv 9,2). Nel corso del Giubileo dell’anno 2000, Giovanni Paolo II definì i disabili portatori di un’abilità diversa, «perché portano nei loro corpi e nelle loro vita un’acuta speranza della liberazione che Cristo ci ha acquistato con la sua morte e risurrezione». In questo episodio evangelico, ne abbiamo un esempio. Il cieco è immobile, mentre tutti camminano. Non vede con gli occhi, ma, sentinella di Dio, sente che intorno c’è uno strano movimento, fa domande. «Passa Gesù il Nazareno», rispondono. Il cieco è abituato a tendere la mano, non si vergogna, grida: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Riconosce in Gesù il Messia, lo zittiscono, ma lui grida più forte, come gridò il popolo ebraico; allora, crollarono le mura di Gerico, ora, è la sua cecità fisica a crollare. E tutto il popolo, grazie alla sua fede ottiene la vista e dà lode Dio.

15 Novembre 

Dammi vita, Signore, ed osserverò la tua parola

Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me avrà la luce della vita.

 (Giovanni 8,12)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 118)
Rit: Dammi vita, Signore, ed osserverò la tua parola.

Mi ha invaso il furore contro i malvagi
che abbandonano la tua legge.
I lacci dei malvagi mi hanno avvolto:
non ho dimenticato la tua legge.

Riscattami dall’oppressione dell’uomo
e osserverò i tuoi precetti.
Si avvicinano quelli che seguono il male:
sono lontani dalla tua legge.

Lontana dai malvagi è la salvezza,
perché essi non ricercano i tuoi decreti.
Ho visto i traditori e ne ho provato ribrezzo,
perché non osservano la tua promessa.

Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me avrà la luce della vita.

 (Giovanni 8,12)

14 novembre, 2021

Pensiero del 14 Novembre 2021

 Meditazione sul Vangelo di Mc 13,24-32

Vieni, Signore!

Al termine dell’anno liturgico ci si presenta il tema della speranza. Daniele, con toni di accesa speranza per il futuro nella vita eterna, ci dice che tutto il popolo si salverà. Gesù, da parte sua, nel discorso escatologico mostra come le profezie dell’Antico Testamento si stanno compiendo. Così nella Lettera agli Ebrei, ci viene presentata la figura di Cristo assiso alla destra di Dio nel momento del giudizio per i suoi nemici. Abbiamo ascoltato un linguaggio a tratti misterioso, carico di simbolismo, ma che ci aiuta ad entrare nel clima di vigilanza nell’attesa della fine dei tempi.

Il mondo non è eterno. Ha conosciuto un inizio e conoscerà una fine. L’attesa del suo Regno sarà il filo conduttore di questa settimana. Alle costanti richieste di aumentare la fede che ci sono state rivolte finora, si aggiunge adesso l’invito ad avere una salda speranza e una profonda fiducia nel Signore. I primi cristiani vivevano questa attesa invocando continuamente “maranatha”, “vieni Signore”. L’immagine del fico mette in risalto il tempo intermedio tra l’oggi storico e la fine della storia. Esiste, dunque, un rapporto tra il tempo e l’eternità. Abbiamo, infatti, la certezza della fine della vita e, quindi, della storia. Ma l’attesa di questa fine, che è certa, può essere vissuta con atteggiamenti differenti. Esiste, infatti, in ogni essere umano un senso di speranza e fiducia per il futuro che fonda tutta la sua esistenza: ma dalla qualità della nostra speranza dipende anche il modo in cui guardiamo alla vita e ai nostri affetti. Quando Gesù parla dell’ora finale fa cenno solo agli eletti, senza riferirsi a dei condannati, seppur ce ne fossero: l’ultimo giorno si chiude con un lieto fine. La sorte finale di ciascuno è avvolta nel mistero, ma quanto ascoltiamo nel vangelo di oggi infonde un grande conforto ed una straordinaria fiducia nel potere e nella misericordia di Dio.

14 Novembre 

Proteggimi, o Dio: «In te mi rifugio».

Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo.

(Luca 21,36)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 15)
Rit: Proteggimi, o Dio: «In te mi rifugio».

Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: «Nelle tue mani è la mia vita».

Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo.

(Luca 21,36)

14 novembre 1951, l'alluvione del Polesine: cento vittime e 180mila senza una casa

 Il #14novembre 1951 il Po esonda dopo giorni di pioggia.

L'alluvione devasta il Polesine.

14 novembre 1951, l'alluvione del Polesine: cento vittime e 180mila senza una casa





13 novembre, 2021

Pensiero del 13 novembre 2021

 Meditazione sul Vangelo di Lc 18,1-8

La verità sulla preghiera.

Gesù ha parlato più volte della preghiera, non solo con le sue parole ma anche con il suo esempio. Oggi la liturgia ci presenta una delle parabole più note su questo argomento, nella quale il Signore sottolinea un aspetto importante: essa è efficace e tocca il cuore di Dio.

Dai brevi versetti della parabola narrata da Gesù, possiamo apprendere alcune verità sulla preghiera. La prima: l’evangelista Luca, introducendo la parabola, scrive: «Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi». Poche parole, che però dicono molto: pregare è una necessità che richiede costanza e che deve superare lo scoraggiamento. La vedova del Vangelo, infatti, non smette di bussare alla porta del giudice, insiste senza sosta e ottiene alla fine risposta. La seconda: nella preghiera è importante presentare al Signore la propria situazione personale, senza timori. Farlo significa prendere sempre più coscienza di ciò che attraversa la nostra esistenza, dei no stri bisogni, dei nostri limiti e chiedere a Dio di aiutarci a leggere dentro tutto ciò per discernere. In questo modo si crea una relazione profonda con il Signore, che facciamo entrare nella nostra vita dalla porta principale. La terza: la preghiera non può essere separata dal cammino di fede. Gesù alla fine della parabola pone, infatti, una domanda: “Ma il Figlio dell’uomo quando verrà troverà la fede sulla terra?”. Spesso ci domandiamo se la nostra preghiera sia stata ascoltata e abbiamo dubbi sul fatto che le nostre richieste possano essere esaudite. Una cosa non va mai dimenticata: la preghiera, quando è sincera, cambia il cuore di chi prega, lo rende più docile, più attento alla voce di Dio. Questa è la sua prima efficacia. E così “tocca” la nostra fede, l’aiuta a crescere, a consolidarsi. Ma è poi la nostra fede che ci fa percepire nell’intimo l’efficacia della preghiera. Più la nostra vita interiore è profonda più ci accorgiamo, con un istinto spirituale, che pregare dà frutto, anche se non sappiamo dare un nome a questo frutto. Capiamo che «la preghiera è la nostra azione più potente e più intensa perché è nella preghiera che noi operiamo maggiormente con Dio. E sarà la nostra ultima azione nell’ora della nostra morte» (M. Legaut).

13 Novembre

Ricordate le meraviglie che il Signore ha compiuto

Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo, per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.

(II Tessalonicesi 2,14)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 104)
Rit: Ricordate le meraviglie che il Signore ha compiuto.

A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.
Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.

Colpì ogni primogenito nella loro terra,
la primizia di ogni loro vigore.
Allora li fece uscire con argento e oro;
nelle tribù nessuno vacillava.

Così si è ricordato della sua parola santa,
data ad Abramo suo servo.
Ha fatto uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.

Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo, per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.

(II Tessalonicesi 2,14)

12 novembre, 2021

Pensiero del 12 novembre 2021

 Il rischio, di dimenticare e non vigilare, è presente in tutti, come accadde a quelle persone, che Noè avvertì prima del diluvio. Ogni giorno, impariamo, a vivere come se fosse l'ultimo, ed allora vivremo una vita in pienezza e gioia.

Meditazione sul Vangelo di Lc 17,26-37

La misura dell’amore.

La liturgia della Parola quest’oggi ci parla dell’amore. Nel Vangelo leggiamo un insegnamento di Gesù che invita a non legarsi alle cose, a non pensare a se stessi con egoismo, perché nel giudizio finale Egli userà criteri diversi.

Nel Vangelo leggiamo di due persone che, pur facendo la stessa cosa, avranno un destino differente: «Due donne si troveranno a macinare nello stesso luogo, l’una verrà presa e l’altra lasciata». Perché questa diversità di “trattamento”, perché una salirà al cielo e l’altra no? Dipende da cosa c’era dietro e dentro la loro vita. Una persona fa le stesse cose di tutti, ma ogni suo atto può scaturire dall’amore che custodisce in cuore. Allora ogni azione assume un sapore diverso perché essa non è fatta per “salvare la propria vita”, ma con lo sguardo rivolto fuori, verso il prossimo, verso il bene comune. I nostri pensieri, i nostri progetti, i nostri desideri come i nostri atti, rivelano quale scelta abbiamo fatto a monte: salvare la nostra vita o perderla. Dobbiamo deciderlo e non trascinarci giorno per giorno senza sapere da che parte pendere. I santi sono coloro che ad un certo punto hanno scelto tra il vivere per se stessi e il consumarsi per gli altri, come candele che danno luce a chi è nel buio. E hanno deciso di consumarsi per amore. La loro decisione non gli ha evitato sbagli o ritardi ma è rimasta ferma. Dio ci ha messo la sua grazia (senza la quale non possiamo fare nulla) ed essi il loro impegno. Questo vale sempre: noi non sappiamo quanto durerà la nostra esistenza, ogni giorno è un dono che ci prepara per l’eternità. Ogni giorno dobbiamo ricordare a noi stessi cosa abbiamo scelto. Ho deciso di non vivere per me stesso? Allora quanto penserò e farò dovrà avere il sapore, il marchio di questa decisione. Nasce così un modo di essere, di esprimersi, di agire diverso, forse incomprensibile per molti, ma così ricco! E un modo di vivere che dilata il cuore, tanto da non avere più misura perché, come alcuni hanno detto: “la misura dell’amore è amare senza misura”.

12 Novembre 

I cieli narrano la gloria di Dio

Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

(Luca 21,28)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 18)
Rit: I cieli narrano la gloria di Dio.

I cieli narrano la gloria di Dio,
l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il racconto
e la notte alla notte ne trasmette notizia.

Senza linguaggio, senza parole,
senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
e ai confini del mondo il loro messaggio.

Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

(Luca 21,28)

11 novembre, 2021

Storia Tutti scontenti: 11 novembre 1918, come finì la Prima guerra mondiale

 Storia Tutti scontenti: 11 novembre 1918, come finì la Prima guerra mondiale

Ecco come gli accordi di pace stipulati alla fine della Prima guerra mondiale hanno preparato il terreno alla Seconda guerra mondiale.



 

Prima guerra mondiale - Leader Pace Versailles

I leader politici che trattarono alla conferenza di pace di Versailles del 1919. Da sinistra: il generale francese Ferdinand Foch, il Primo ministro francese Georges Clemenceau, il Primo ministro britannico Lloyd George, il Premier italiano Vittorio Emanuele Orlando e il Ministro degli esteri del Regno d'Italia Sidney Costantino Sonnino. Everett Collection / Shutterstock

Alle 11 del mattino dell'11 novembre 1918 finiva la Prima guerra mondiale: la Germania, infatti, stava firmando in quel momento un umiliante armistizio, su un vagone ferroviario vicino a Compiègne. Ma la Grande guerra aveva seminato morte e devastazione in tutta Europa, e gli accordi di pace, mal gestiti, prepararono il terreno a un nuovo conflitto ancora più cruento. La pace del 1918, i trattati e le promesse furono solo una tregua nel corso di uno scontro che sarebbe durato fino alla fine della Seconda guerra mondiale.


MAI UMILIARE IL NEMICO. Può un trattato di pace alimentare un conflitto peggiore di quello a cui pone fine? Certo: qualsiasi accordo postbellico tende d'altronde a lasciare molti scontenti, soprattutto tra gli sconfitti. Quel che avvenne nel 1919, però, è una specie di record. Il trattato di pace che sancì la fine della Grande guerra lasciò infatti amareggiati sia i vinti sia i vincitori, ponendo addirittura le basi per l'ascesa del nazismo e lo scoppio della Seconda guerra mondiale. L'errore più grave commesso nella stesura del documento? Dimenticare l'antico suggerimento di non umiliare mai il nemico – in questo caso la Germania – che non si è in grado di annientare del tutto.


I "QUATTRO GRANDI". Il conflitto si era chiuso l'11 novembre 1918, con la firma dell'armistizio da parte della Germania, e il 18 gennaio 1919 si aprì a Parigi la conferenza di pace che doveva ridisegnare la geografia politica mondiale, regolando i rapporti tra vincitori e vinti. A tal fine, si diedero appuntamento i portavoce di decine di nazioni con in prima fila i "quattro grandi", ossia i delegati delle maggiori potenze vincitrici: Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti. In rappresentanza dei primi tre Paesi vi erano i premier Georges Clemenceau, David Lloyd George e Vittorio Emanuele Orlando, mentre per gli statunitensi partecipava il presidente Woodrow Wilson.


I lavori terminarono il 21 gennaio 1920, ma il giorno "clou" fu il 28 giugno 1919, data della firma del cosiddetto Trattato di Versailles, composto da 440 articoli divisi in 16 parti e così chiamato poiché siglato nella celebre reggia francese. Prima di vedere la luce, il documento fu anticipato da aspre discussioni tra i quattro grandi, che dibatterono a lungo sui confini da assegnare alle varie nazioni e, soprattutto, sulla punizione da riservare alla Germania, considerata responsabile assoluta del conflitto. A scontrarsi furono in particolare Clemenceau, animato da pura sete di vendetta, e Wilson, che sembrava avere visioni più equilibrate.



Prima guerra mondiale - Wilson

Il presidente Usa Woodrow Wilson (a sinistra) e il presidente francese Raymond Poincare, fotografati a Parigi nel 1919. © Everett Collection / Shutterstock

UNA PACE SENZA VINCITORI. Il premier francese avrebbe voluto smembrare l'Impero tedesco, quello austro-ungarico e quello ottomano – l'Impero russo era invece stato abbattuto dalla Rivoluzione d'ottobre del 1917 – per spartirsene i territori con la Gran Bretagna. Il presidente statunitense mirava invece a una "pace senza vincitori" che si basasse sul principio di autodeterminazione dei popoli. In breve, ogni popolazione sottomessa a una forza straniera avrebbe dovuto scegliere, su base prevalentemente etnica, la propria identità nazionale e le proprie forme di governo. Così, si pensava, sarebbe evaporato ogni motivo di tensione internazionale.


Queste idee erano state riassunte da Wilson nei celebri "quattordici punti", serie di propositi snocciolati in un discorso tenuto nel gennaio 1918, a guerra in corso, davanti al senato statunitense. In proposito, Clemenceau commentò caustico: "Mi dà ai nervi coi suoi 14 punti, quando lo stesso buon Dio si è contentato di dieci". Tra le altre cose, Wilson proponeva di annullare ogni trattato segreto prebellico (caldeggiando una nuova diplomazia "trasparente"), garantire la libera navigazione, favorire gli scambi commerciali, ridurre gli armamenti, liberare ogni territorio occupato con la forza, rettificare le frontiere secondo criteri per l'appunto etnici anziché politici e, in ultimo, creare una "Lega delle Nazioni" per promuovere la cooperazione tra Stati in vista di una pace il più duratura possibile.


UMILIAZIONE TEDESCA. Alla fine prevalsero molte delle idee wilsoniane, ma se la pace fu teoricamente senza vincitori, i "vinti" ci furono eccome. La Germania subì infatti la temuta vendetta della Francia, nazione che più di altre aveva patito gli effetti del conflitto. L'idea era quella di annientare i tedeschi e infliggere loro anche un sonoro schiaffo morale, intenzione evidente fin dalla scelta del luogo per la firma del trattato di pace: la Galleria degli Specchi di Versailles, già sede nel 1871 della proclamazione dell'Impero tedesco dopo la sconfitta subita dai francesi nella guerra franco-prussiana. Per completare la rivincita, la Francia si riprese l'Alsazia e la Lorena, regioni che aveva perso proprio in quel conflitto.


Alla Germania, costretta a sottoscrivere il trattato finale, fu inoltre tolto ogni possedimento coloniale e furono imposte grosse restrizioni in ambito militare: la leva obbligatoria fu sospesa, l'esercito fu ridotto a centomila unità (altre limitazioni riguardarono la marina, mentre l'aviazione fu eliminata) e furono messi al bando gli armamenti pesanti. Non solo: la Germania dovette demilitarizzare la Renania, territorio al confine con la Francia, e concedere a quest'ultima l'occupazione della Ruhr, regione ricca di miniere di carbone. I tedeschi furono infine obbligati a lasciare alla Polonia il territorio della città di Danzica, con relativo sbocco sul Mar Baltico (il "corridoio polacco"). Il capitolo più pesante fu, tuttavia, quello delle riparazioni di guerra: lo Stato tedesco fu obbligato al pagamento di ben 132 miliardi di marchi oro, cifra smodata la cui entità gettò il Paese in uno stato di angoscia e inquietudine, alimentando una profonda crisi economica e i peggiori propositi di vendetta.



Prima guerra mondiale - Trattato di Versailles

L'affollata conferenza di pace di Versailles, in una foto del 28 giugno 1919. © Everett Collection / Shutterstock

TUTTI SCONTENTI. La colpa della guerra, oltre che sui tedeschi, ricadde naturalmente sui loro alleati, in primis l'Austria-Ungheria e l'Impero ottomano, con i quali i trattati di pace furono firmati rispettivamente nel settembre 1919 e nell'agosto 1920. A rappresentare la realtà ottomana, già moribonda, rimase solo la Turchia, che dal 1923 sarà peraltro guidata e "de-ottomanizzata" dal leader nazionalista Mustafa Kemal. Il resto dei territori passò invece sotto l'amministrazione di francesi e inglesi.


Allo stesso modo, la pace firmata con gli austriaci portò allo smembramento del loro impero, alla creazione di nuovi Stati autonomi e alla concessione all'Italia di molteplici territori. Tra questi non c'era però la Dalmazia, nonostante fosse stata promessa agli italiani alla vigilia dell'ingresso in guerra (1915). Il motivo? Gli Stati Uniti di Wilson non ritennero valido il trattato segreto che aveva sancito tale accordo (Patto di Londra), proprio in virtù della sua "segretezza". Caddero inoltre nel vuoto le rivendicazioni italiane sulla città di Fiume (oggi in Croazia), e così il malcontento investì anche il Belpaese, pur uscito vincitore dal conflitto.


A masticare amaro furono però anche i trionfatori francesi e inglesi: i primi non gradivano di essersi dovuti in parte piegare ai dettami di Wilson, mentre i secondi si sentivano messi in secondo piano dagli stessi francesi. Molti britannici criticarono inoltre le condizioni imposte ai vinti e l'assenza di un piano di ripresa economica. Tra le voci di dissenso spicca quella dell'economista John Maynard Keynes, che nel volume Le conseguenze economiche della pace (1919) parlò di "pace cartaginese", rievocando i duri obblighi postbellici imposti dai Romani ai Cartaginesi al termine della Seconda guerra punica (III secolo a.C.). Se all'epoca la forza di Roma era bastata a garantire la pace, il timore era che in questo caso le potenze occidentali stessero invece gettando i semi di nuove guerre. Su questo punto risultò profetica l'affermazione di Ferdinand Foch, generale francese che nel 1920, commentando il Trattato di Versailles, affermò: "Questa non è una pace, è un armistizio per vent'anni".


UN'EREDITÀ LETALE. Neanche gli americani, entrati tra l'altro in guerra solo nel 1917, ne uscirono soddisfatti, tanto che il senato a stelle e strisce, pervaso da un latente desiderio "isolazionista", rifiutò l'adesione alla neonata Società delle Nazioni prevista dai quattordici punti di Wilson. A ogni modo, la nuova organizzazione intergovernativa, che avviò i lavori già nel 1920, con sede a Londra e poi a Ginevra, vide l'immediata partecipazione di oltre 40 nazioni e, pur non riuscendo a garantire la pace (anche perché dotata di limitati poteri di arbitrato), pose le basi della futura Organizzazione delle Nazioni Unite (che ne prese il posto nel 1945), oltre a valere a Wilson il Nobel per la Pace 1919.


Tra le ambivalenti eredità del Trattato di Versailles, un notevole impatto lo ebbe il controverso principio di autodeterminazione dei popoli, che portò sia a un arricchimento nel campo del diritto internazionale sia alla nascita di pericolosi sentimenti ultranazionalisti. Oltre a non assicurare la pace (negli anni dopo il conflitto molti Stati europei conobbero rivoluzioni e nuove guerre), il trattato ebbe inoltre il demerito di nutrire il mostro nazista. Nella sua ascesa al potere, Hitler cavalcò infatti la voglia di rivalsa popolare per le condizioni inflitte dai vincitori, invocando dapprima la nascita di una Grande Germania che riunisse ogni popolo tedesco (in base proprio al principio di autodeterminazione) e scatenando poi, dal 1939, un nuovo conflitto di portata mondiale. Prima vittima illustre fu la Francia, alla quale la Germania rese pan per focaccia: i francesi dovettero infatti firmare la resa, nel 1940, nello stesso vagone ferroviario in cui i rappresentanti dell'Impero tedesco si erano arresi nel novembre 1918. Un altro frutto avvelenato della pace di Versailles.



San Martino di Tours

 San Martino di Tours

autore: S. Tosi anno: 1945 titolo: San Martino a cavallo e il povero luogo: Chiesa di San Martino Vescovo, Ferno

Nome: San Martino di Tours
Titolo: Vescovo
Nascita: 316 , Sabaria, Pannonia
Morte: 8 novembre 397, Candes
Ricorrenza: 11 novembre
Tipologia: Memoria liturgica




Uno dei più illustri ornamenti della Chiesa nel secolo IV fu certamente S. Martino, vescovo di Tours e fondatore del monachismo in Francia.

Nato nel 316 in Sabaria, città della Pannonia, l'odierna Ungheria, da genitori nobili ma pagani, ancor bambino si trasferì a Pavia, ove conobbe la religione cristiana. A 10 anni all'insaputa dei genitori si fece catecumeno, e prese a frequentare le assemblee cristiane. Appena dodicenne deliberò di ritirarsi nel deserto; essendo però figlio d'un tribuno, dovette presto seguire il padre nella cavalleria e per tre anni militare sotto gli imperatori Costanzo e Giuliano.

Umile e caritatevole, aveva per attendente uno schiavo, al quale però egli puliva i calzari e che trattava come fratello. Un giorno nel rigore dell'inverno era in marcia per Amiens, incontrò un povero seminudo: sprovvisto di denaro, tagliò colla spada metà del suo mantello e lo copri. La notte seguente, Gesù, in sembianza di povero, gli apparve e mostrandogli il mantello disse: « Martino ancor catecumeno m'ha coperto con questo mantello ». Allora bramoso di militare solo più sotto la bandiera di Cristo, chiese e ottenne dall'imperatore stesso l'esenzione dalle armi.

Si portò a Poitiers presso il vescovo S. Ilario da cui fu istruito, battezzato e in seguito ordinato sacerdote. Visitò ancora una volta i genitori per convertirli; poi, fatto ritorno presso il maestro, in breve divenne la gloria delle Gallie e della Chiesa.

Desideroso di vita austera e raccolta, si ritirò dapprima in una solitudine montana, poi eresse la celebre e tuttora esistente abbazia di Marmontier (la più antica della Francia) ove fu per parecchi anni pddre di oltre 80 monaci. Però i suoi numerosissimi miracoli, le sue eccelse virtù e profezie lo resero così famoso, che, appena vacante la sede di Tours, per unanime consenso del popolo fu eletto vescovo di quella città. La vita di San Martino fu compendiata in questo epigramma: "Soldato per forza, vescovo per dovere, monaco per scelta".

Il nuovo Pastore non cambiò appunto tenore di vita, ma raccoltosi a meditare i gravi doveri che assumeva, si diede con sollecitudine ad eseguirli. Sedò contese, stabilì la pace tra i popoli, fu il padre dei poveri e più che tutto zelantissimo nel dissipare ogni resto di idolatria dalla sua diocesi e dalle Gallie.

Formidabile lottatore, instancabile missionario, grandissimo vescovo. sempre vicino ai bisognosi, ai poveri. ai perseguitati. Disprezzato dai nobili, irriso dai fatui, malvisto anche da una parte del clero, che trovava scomodo un vescovo troppo esigente, resse la diocesi di Tours per 27 anni. in mezzo a contrasti e persecuzioni.

Tormentato con querele e false accuse da un suo prete di nome Brizio. diceva: "Se Cristo ha sopportato Giuda, perché non dovrei sopportare Brzio?" Stremato di forze, malato, pregava: "Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non mi rifiuto di soffrire. Altrimenti, venga la morte".

Morte di San Martino
autore Simone Martini anno 1322-1326 titolo Morte di San Martino


Nell'anno 397 udì che a Candate (Candes-Saint-Martin) era sorto un grave scisma: benchè ottantenne, si portò colà, convocò clero e popolo e ricompose gli animi nella pace. Ma stando per tornare alla sua sede, fu assalito da febbri mortali. Volle essere adagiato sulla nuda terra e cosparso di cenere, per morire, come sempre aveva vissuto, da penitente.

Il volto del santo rimase nella morte splendente come se fosse avvolto da una luce di gloria e da molti fu udito un coro di angeli cantare intorno alla sua salma. Alle sue esequie si riunirono gli abitanti di Poitou e di Tours e così cominciarono ad altercare. Dicevano gli uni: " È un monaco della nostra città e noi ne vogliamo il corpo". E gli altri di rimando: "Dio ve l'ha tolto per darlo a noi". La notte seguente, mentre gli abitanti di Poitou dormivano, gli abitanti di Tours si impadronirono del corpo di Martino, lo gettarono da una finestra su di un battello e lo portarono seguendo il corso della Loira fino a Tours con gran gioia e venerazione.

Fu così sepolto a Tours, ove gli fu dedicata la cattedrale e dove egli compi innumerevoli miracoli. Gli Ugonotti violarono quelle sacre spoglie, e dopo averle bruciate, ne dispersero le ceneri.

PRATICA. Facciamo qualche atto di carità verso il prossimo.

PREGHIERA. O Dio, che vedi che noi non possiamo sussistere per nostra virtù, concedi, propizio, per intercessione del tuo beato confessore e vescovo Martino, che siamo difesi contro ogni avversità.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di san Martino, vescovo, nel giorno della sua deposizione: nato da genitori pagani in Pannonia, nel territorio dell'odierna Ungheria, e chiamato al servizio militare in Francia, quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso celato nelle sembianze di un povero. Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di sant'Ilario di Poitiers. Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes fece ritorno al Signore.

Approfondimento



Tutti gli alunni delle scuole leggono sul loro libro di lettura l'episodio di San Martino, che, cavalcando avvolto nel suo mantello di guardia imperiale, incontra un povero, tremante al primo brivido dell'autunno. A quella vista, il generoso cavaliere sguaina la spada e fa due pezzi del suo mantello, donandone la metà al povero. La notte, in sogno, vede Gesù avvolto in quel mezzo mantello, che gli sorride riconoscente. Tutti i contadini, poi, alzando gli occhi al cielo, dove, tra strappi di nuvole, il sole si fa ancora sentire tiepido e dolce, ricorderanno l'antico proverbio

L'estate di San Martino
dura tre giorni e un pochino.



In Piemonte, il giorno di San Martino era, almeno una volta, dedicato agli sgomberi. E "fare San Martino", significava mutare d'alloggio. Pare infatti che Vittorio Emanuele II, prima della battaglia di San Martino, dicesse, in piemontese, ai suoi soldati: "Coraggio figlioli, altrimenti gli austriaci ci faranno fare San Martino". Voleva dire: " Ci faranno sgombrare dalle nostre posizioni".

E di paesi col nome di San Martino, oltre quello della battaglia, ce ne sono, in Italia, a centinaia. In Francia sono addirittura migliaia. Non parliamo delle chiese a lui intitolate e dei monasteri che portano il suo nome. Forse nessun nome di santo ha avuto nel medioevo tanta diffusione, e anche nell'arte non si contano i San Martino a cavallo, con la spada sguainata, che dividono il bel mantello di guardia imperiale.

E questo forse perché, molto prima di San Francesco, quel gesto indicava il dovere che i cristiani hanno verso i poveri, nei quali è la figura dello stesso Gesù. Ma la storia di San Martino non si ferma a quel gesto notissimo. La storia di San Martino è molto più lunga e complessa. Ed è storia, non leggenda.

La sua fama di santità era tale che fu il primo e per molto tempo l'unico Patrono della Francia. Ciò spiega la straordinaria diffusione del suo culto e del suo nome, mentre la sua figura sembrava ringiovanire, e da vescovo logorato e perseguitato ritornava, nella fantasia popolare, il giovane cavaliere, che in un giorno di primo novembre, divideva il proprio mantello con un povero, rabbrividente, come una foglia ingiallita, al primo vento autunnale. P. B.


Il beato Severino, vescovo di Colonia, la mattina in cui San Martino venne a morte, aggirandosi secondo il solito nella chiesa dopo il mattutino, udì gli angeli cantare in cielo. Chiamò l'arcidiacono e gli domandò se non udisse niente: quegli rispose che non udiva nulla; allora il vescovo lo esortò a concentrare tutta la sua. attenzione.. Ma per quanto l'arcidiacono tendesse il collo, drizzasse le orecchie, si alzasse sulla punta di piedi appoggiandosi al bastone, non riusciva a sentire niente. Infine il vescovo pregò per lui e allora cominciò a udire il suono delle angeliche voci. E il vescovo: "Il signore mio, Martino, se ne è andato da questo mondo e gli angioli stanno portandolo in cielo. I demoni volevano trattenerlo ma se ne sono dovuti andare coperti di confusione perché non hanno trovato in lui alcunché di impuro". L'arcidiacono annotò il giorno e l'ora in cui il suddetto fatto era avvenuto e trovò poi. che corrispondeva al giorno e all'ora in cui Martino era morto.

Anche il monaco Severo, che scrisse poi la vita di San Martino, essendosi addormentato dopo il mattutino, vide il santo biancovestito, col volto fiammeggiante e gli occhi simili a stelle. Lo vide anche salire al cielo dopo averlo benedetto. Subito dopo apprese che in quella notte il beato Martino era morto.

In quello stesso giorno Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, mentre celebrava la Messa si addormentò fra la Profezia e l'Epistola. Poiché nessuno osava svegliarlo, il Santo rimase addormentato per due o tre ore. Infine i diaconi lo scossero dicendo: "Il tempo passa e il popolo è stanco di aspettare; signor nostro comanda che il chierico legga l'Epistola". E Ambrab "il fratello mio Martino è morto e io ho assistito ai suoi funerali, voi mi avete impedito di recitare le ultime preghiere!"

Narra il maestro Giovanni Beleth che i re di Francia usano portare in battaglia il mantello di San Martino, Sessant'anni dopo la morte del Santo, il beato Perpetuo volle costruire una magnifica chiesa in onore di San Martino e trasportarvi il sacro corpo. Ma invano il clero e Perpetuo stesso rimasero per tre giorni in preghiera e in digiuno: in nessun modo la bara poteva essere rimossa. Quando già stavano per rinunciare all'impresa gli apparve un bellissimo vecchio e gli disse: «Cosa aspettate? Non vedete che il beato Martino è pronto ad aiutarvi?" Infatti il Santo li aiutò con una mano e la bara fu sollevata con estrema facilità e deposta là dove ora è venerata. Questa traslazione avvenne nel mese di luglio.

C'erano a quel tempo due amici di cui l'uno era cieco, l'altro paralitico. Il cieco portava il paralitico e il paralitico insegnava la via al cieco. In tal modo chiedevano l'elemosina e si procuravano abbondantemente il necessario per vivere. Essendo venuti a sapere che molti infermi avevano trovato la salute sulla tomba del beato Martino e che il corpo del santo era portato in processione nella chiesa nuova, cominciarono a temere che la processione passasse dinanzi alla casa in cui si trovavano e che il Santo li risanasse. Infatti non volevano riacquistare la salute per non perdere il guadagno delle elemosine. Per la qual cosa si nascosero in una strada per cui pensavano che la processione non dovesse passare. Ma ecco che mentre camminavano, si imbatterono nel corpo del Santo e subito si trovarono, contro la loro volontà, risanati; di che molto si rattristarono. Così il Signore a volte accorda i suoi benefici anche a chi non li desidera. Così scrive Ambrogio del beato Martino: "San Martino distrusse i templi dell'errore, inalzò i vessilli della pietà; resuscitò i morti; scacciò i demoni dai corpi degli ossessi; risanò molti infermi e tanto grande fu la sua perfezione da essere ritenuto degno di vestire Cristo nella persona di un povero...". (* Dalla Leggenda Aurea).

fonte:Le Grandi Religioni

L'estate di San Martino



L'estate di San Martino


L'estate di San Martino è un periodo dove venivano rinnovati i contratti agricoli, tradizionalmente durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino nuovo abbinato alle prime castagne. Questa tradizione è celebrata anche in una famosa poesia di Giosuè Carducci, San Martino:


La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.



L'Estate di San Martino è legata alla leggenda del Santo, che divise in due un mantello per coprire un povero mendicante nudo e freddoloso. Il Signore "ricompensò" il Santo inviando un clima mite e temperato quando oramai esso volgeva al freddo dell'Inverno incipiente.

Preghiera a San Martino Tours
"Ottieni per noi tutti la grazia d'essere sempre egualmente virtuosi e santi nelle prosperità e nelle traversie"
Oggi si conclude la novena dedicata al santo di Tours
O glorioso s. Martino, che interamente consacrato all'acquisto della perfezione evangelica, pur in mezzo alle occasioni di peccato dell’esercizio delle armi mettesti in pratica quegli atti di pietà e di penitenza che ti erano diventati familiari nella solitudine in cui ti rifugiasti spontaneamente fin dall'età di dodici anni, quindi rifiutasti con generosità le distinzioni e gli onori di questo secolo per assicurarti i beni duraturi ed immancabili del paradiso, ottieni per noi tutti la grazia di conservarci sempre senza macchia fra le seduzioni del mondo corrotto e seduttore e di non attendere mai ad altro che ad assicurarci con le buone opere la nostra salvezza eterna. Gloria.
O glorioso s. Martino, che per la tua generosa carità, che ti mosse a tagliare con la spada il tuo mantello militare per ricoprire un povero mezzo nudo, meritasti di essere personalmente da Gesù Cristo visitato, elogiato ed ammaestrato in tutto quello che Egli voleva da te, e preservato ancora dalla morte quando, mentre tornavi nella tua patria per la conversione dei tuoi genitori, cadesti nelle mani dei ladri, e quando, rinchiuso nel deserto, ti cibasti di erba avvelenata senza conoscerla, ottieni per noi tutti la grazia di impiegare sempre in soccorso dei nostri fratelli bisognosi la nostra mente, i nostri averi e tutte quante le nostre forze, in modo da meritarci la divina assistenza in tutte le nostre necessità spirituali e corporali. Gloria.
O glorioso s. Martino, che favorito del dono dei miracoli, fino a risuscitare più morti, innalzato tuo malgrado alla dignità vescovile, onorato da re e da regine che ti invitavano alla loro mensa e ti servivano personalmente, sopportasti con eroica mansuetudine le maldicenze e le calunnie di tutti i tuoi nemici, anzi rispondesti coi benefici all’insolenza dei tuoi persecutori, quindi giungesti a spogliarti di tutto e a coricarti sopra la cenere nelle ultime ore della tua vita, onde rassomigliare perfettamente al Redentore crocifisso, ottieni per noi tutti la grazia di essere sempre egualmente virtuosi e santi nelle prosperità e nelle traversie, nell'avvilimento e nella gloria, in modo da partecipare con sicurezza alla tua tranquillità nella morte ed alla tua beatitudine nel cielo. Gloria.