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19 maggio, 2015

Riccardo Rampi

 “Voglio pensare che Alfredino che non ha mai potuto giocare col fratello, l’abbia voluto con sé in Paradiso e quando l’ha chiesto al Signore, è stato accontentato. Ora sono lì in Paradiso, abbracciati, due angeli custodi”.







12 ottobre, 2014

Cinquantesimo di sacerdozio (1964 - 2014) di Mons. Ubaldo Nava nella mia ex parrocchia San Fermo e Rustico

 Nella mia ex Parrocchia San Fermo e Rustico di Presezzo (Bg) 



Mons. Ubaldo Nava ripercorrendo i suoi cinquant'anni di sacerdozio 1964 - 2014

I miei ringraziamenti più sinceri vanno ad Isabella Menghini, per la fotografia.


Tanti auguri di cuore, caro Padre, ancora per un buon cammino sacerdotale 

Dio, lo benedica e la Vergine Maria proteggano sotto al loro mantello. conservandolo a lungo su questa Terra.  

Canzano Barbara 

10 settembre, 2014

Il Bacio del Papa alla Reliquia di Rolando Maria Beato

Il Bacio del Papa alla Reliquia di Rolando Maria Beato






Papa Francesco mi ha dato un bel bacio sulla frontemi ha abbracciato e mi ha detto che ho un sorriso splendido. Ho provato una gioia immensa...». Tra i seicento della spedizione reggiano- modenese all’udienza generale in Vaticano dedicata anche al Beato Rolando Rivi, il martire di San Valentino di Castellarano, la più felice è lei. Velia Gallinari, 43 anni, diversamente abile di Albinea, il Papa lo ha proprio incontrato, toccato e abbracciato. E ci ha persino parlato. Con quella tenera innocenza da fare invidia a un bambino. «Pregherà per i miei amici e per la Croce Verde di Reggio e Albinea?», gli ha domandato Velia. Papa Francesco l’ha guardata con dolcezza: «Hai un sorriso bellissimo. Certo che pregherò. Prego per tutti e lo farò anche per i tuoi amici».

Velia è una delle seicento persone che assieme all’associazione «Amici di Rolando Rivi» e alla Croce Verde reggiana è andata a Roma dal Papa. Due giorni che rimarranno un ricordo indelebile per tutti quanti. Nel segno del martire seminarista, gli Amici di Rolando hanno accolto il Papa in Piazza San Pietro sventolando il foulard rosso con la scritta Io sono di Gesù.

Papa Francesco durante il suo giro sulla Papa-Mobile si è fermato proprio dal gruppo di pellegrini vicino alle transenne. Li ha salutati e si è fermato ad ascoltare il reggiano Emilio Bonicelli, segretario dell’associazione dedicata al Beato. «È stata un’emozione fortissima — racconta — Gli ho spiegato il motivo per cui eravamo tutti lì. Gli abbiamo regalato uno dei nostri foulard rossi e prima di donargli la reliquia di Rolando Rivi l’ha baciata. È stato un gesto stupendo che corona tutto il nostro cammino fatto finora. È come aver affidato Rolando alla chiesa universale». Un cammino però che non è finito. Ora si aspetta la santificazione di don Rivi col processo che è già partito.

«Prima che andasse via, ho detto al Papa che aspettiamo la canonizzazione. Lui si è girato, mi ha guardato e ha sorriso. Poi ha fatto un cenno come a dire: continuate così e vedrete che Rolando diventerà santo. È stata un’espressione di incitamento. Il Santo Padre ha questa grande capacità di accoglienza; trovarmi di fronte a lui è stato come essere davanti a un papà o a uno zio. Una persona familiare che sembra di conoscere da sempre. È stato un sogno».

Dopo il giro nella piazza del Vaticano gremita di 60mila persone, Papa Francesco ha parlato alla folla per l’omelia dell’udienza. Al suo fianco il vescovo di Reggio Massimo Camisasca con cui si è intrattenuto a lungo successivamente, con abbracci e sorrisi, e l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri (presidente dell’associazione Amici di Rolando). E anche qui la sorpresa: il Papa ha salutato i pellegrini reggiani ricordando che quell’udienza fosse in onore del Beato. «Rolando è un eroico testimone della Fede», ha detto Papa Bergoglio.

Una gioia immensa lo è stata anche per la Croce Verde di Reggio e Albinea. Ottanta volontari si sono aggregati alla spedizione voluta in occasione del centenario.

«È stata una giornata incredibile — racconta Cristiano Cucchi, organizzatore del viaggio — E il momento più emozionante, soprattutto per me, è stato quando il Papa ha benedetto il nostro vessillo che portavo in mano io. E poi, quando Velia ci ha detto che il Papa ha promesso che pregherà per noi siamo stati davvero felici».

Al pomeriggio poi, la spedizione ha concluso il pellegrinaggio con l’ultima messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. A presiederla è stato il vescovo Massimo Camisasca che nonostante un blackout e quindi impianto audio spento, ha fatto l’omelia a «voce naturale», con i fedeli che hanno osservato tutti un rigoroso silenzio. Un momento di preghiera molto sentito da tutti. Infine, la partenza da Roma per il ritorno a casa. Tutti stremati, anche per l’incessante traffico incontrato sul Grande Raccordo Anulare e per un incidente stradale lungo la A1 che li ha lasciati imbottigliati per ore. Tutti stanchi, ma felici. Con la gioia nel cuore.

24 agosto, 2014

Adelaide Roncalli in Bissola

 Nel 1944, al Torchio, sottofrazione delle Ghiaie di Bonate Sopra, abitava la famiglia Roncalli composta da un figlio Luigi e da sette figlie: Caterina, Vittoria, Maria, Adelaide, Palmina, Annunziata e Romana (e Federica morta in tenera età). Papà Enrico aveva rinunciato alla vita del contadino e prestava servizio come operaio in uno stabilimento locale. La mamma Anna Gamba, casalinga, doveva crescere con pazienza certosina la numerosa prole.

Adelaide aveva allora sette anni. Era nata il 23 aprile 1937 alle ore 11 al Torchio e battezzata il 25 aprile dal parroco Don Cesare Vitale. Frequentava la classe prima elementare; era una bambina comune, piena di salute e di vivacità, le piaceva giocare.

Nulla faceva presagire fino a quel pomeriggio del 13 maggio 1944 quando le apparve la Sacra Famiglia, che il suo nome avrebbe varcato non solo i confini d'Italia, ma quelli d'Europa.

Mentre il mondo bruciava tra le fiamme dell'odio e delle armi e la guerra sembrava non finire mai, la Madonna, madre di unità e regina della pace, scelse una fanciulla di Bonate, Adelaide Roncalli, per lanciare i suoi messaggi al mondo. Le apparve per tredici giorni in due cicli: il primo dal 13 al 21 maggio, il secondo dal 28 al 31 maggio.

La Madonna le predisse:
"Soffrirai molto, ma non piangere perché dopo verrai con me in paradiso." "In questa valle di veri dolori sarai una piccola martire…" Ma Adelaide era troppo bambina per valutare subito la gravità di queste parole. Dopo le apparizioni, fu isolata, intimorita, spaventata e tormentata psicologicamente, tanto che alla fine qualcuno, il 15 settembre 1945, riuscì a strapparle uno scritto di ritrattazione che peserà come un macigno sul processo di riconoscimento delle apparizioni.

Il 12 luglio 1946, smentì la ritrattazione che le era stata dettata, riaffermando per iscritto la veridicità delle apparizioni, ma purtroppo non ebbe l'esito sperato poiché il 30 aprile 1948, il vescovo di Bergamo mons. Bernareggi emise il decreto di "non consta" proibendo ogni forma di devozione alla Madonna, venerata come apparsa a Ghiaie di Bonate.

Spostata di qua e di là, contro il suo volere e all'insaputa dei suoi genitori, contrastata, derisa e calunniata, Adelaide portò la sua croce, lontano da casa.

Al compimento del suo quindicesimo anno, ottenne dal vescovo di entrare tra le suore Sacramentine di Bergamo. Morto il vescovo, qualcuno riuscì a strappare l'ordine di farla uscire dal convento costringendola a rinunciare al disegno vocazionale che Maria aveva manifestato su di lei. Questa rinunzia le portò molta sofferenza e le costò una lunga malattia.

Qualunque adolescente sarebbe uscita distrutta da una vicenda come la sua, ma Adelaide era forte e si riprese. Stanca di aspettare che le si riaprisse la porta del convento, decise di sposarsi ed andò a vivere a Milano dove si dedicò con sacrificio alla cura degli ammalati. Passarono gli anni e Adelaide rimase chiusa nel silenzio impostole dai superiori.

Finalmente, avvalendosi dei decreti del Concilio Vaticano II in materia di diritto all'informazione, Adelaide si sentì sgravata dalle proibizioni che le erano state imposte e decise di riaffermare solennemente e ufficialmente, davanti a notaio, la veridicità delle apparizioni.

Ora, Adelaide Roncalli, la veggente di Ghiaie, non c'è più. Colpita da un male incurabile, si è spenta alle tre di domenica mattina 24 agosto 2014. Visse nell'assoluto riserbo, lontana dai riflettori, in obbedienza alla Chiesa e soprattutto senza rancori per coloro che le hanno inflitto dolori e grandi dispiaceri.

 


 

22 giugno, 2014

Festa Anniversari mons. Ubaldo, Don Costantino, Don Elio.



Festa d'Anniversario 50^ anni di Sacerdozio
Parrocchia di Sant'Alessandro in Prezzate di Mapello (Bg)
Mons. Ubaldo Nava, Don Costantino Amedeo, e Don Elio Artifoni
Domenica 22 giugno 2014, Solennità del Corpus Domini. Festa d'Anniversario di Sacerdozio
I RINGRAZIAMENTI VANNO A Renato Mazzoleni ed a tutti i suoi collaboratori per questo bellissimo video



10 giugno, 2014

Daniele Massaro, nipote del cugino del seminarista ucciso, racconta la sua storia

 

Castellarano: Daniele Massaro, nipote del cugino del seminarista ucciso, racconta la sua storia


CASTELLARANO. A Castellarano, tra i discendenti di Rolando Rivi, c’è chi è diventato catechista ed è affascinato dalla sua storia particolarmente breve ma intensa.


«Quando ero bambino – dichiara Daniele Massaro – mio nonno Alfonsino Rivi mi raccontava sempre di suo cugino Rolando, della sua passione per la religione, di quando giocavano assieme e anche del momento della sua tragica morte».


Quando hai iniziato a interessarti alla storia di Rolando?


«Fino a 16 anni, nonostante in famiglia se ne parlasse spesso, non era un argomento che mi attirava. Ma dopo ho iniziato a leggere e ad approfondire la vita di quel mio giovane parente e ho capito che vi era qualcosa di eccezionale in lui, tanto che da tre anni lo porto come esempio ai ragazzi a cui insegno catechismo».

Agli adolescenti interessa la figura di Rolando?


«Sembra strano ma l’idea di questo ragazzo che, giovanissimo, ha seguito la sua fede fino alla morte affascina e coinvolge molto i giovani. Basta pensare al fatto che quando organizziamo la camminata da Castellarano fino alla chiesa di San Valentino, dove Rolando è sepolto, sono tantissimi i ragazzi che partecipano».


Che cosa ti ha colpito di Rolando Rivi?


«Il fatto che lui dicesse sempre “Sono di Gesù”. Uno dei modi per dimostrarlo era quello di portare sempre la veste talare. Non se ne separava mai, era come una seconda pelle: mio nonno mi raccontava che la portava anche quando giocava a calcio con gli amici. Non se la tolse nemmeno quando tutti in paese gli consigliarono di toglierla perché sul finire della guerra i partigiani comunisti erano a caccia anche dei religiosi».


Dopo quasi settanta anni dalla fine delle guerra, che idea ti sei fatto sulla morte di Rolando?


«Della sua morte sono sempre state date due versioni. Una era quella che fosse una spia dei tedeschi e per questo venne preso e ucciso dai partigiani. La seconda, invece, si basa sulla politica attuata dai partigiani comunisti, ossia quella di eliminare il più alto numero di preti e di religiosi. E Rolando, visto che portava la veste talare, era sicuramente un buon obiettivo. In ogni caso si è trattato di un atto disumano ed è inconcepibile pensare, ancora oggi, che un ragazzo di poco più di 14 anni sia stato preso, torturato per tre giorni e poi giustiziato solo perché non ha mai rinnegato la sua fede in Gesù».


E a proposito delle accuse di collaborazionismo con i nazisti cosa dici?


«Su queste accuse si basava la difesa degli assassini di Rolando. Una difesa che non resse in tribunale: in ben tre processi non fu mai ritenuta valida e nemmeno accolta. Alla fine i giudici diedero delle pene particolarmente alte, oltre 25 anni di galera, ai responsabili di quell’omicidio. Ma, a rigor di logica, come poteva fare la spia un ragazzino che andava sempre vestito da prete? Sinceramente non credo abbia senso, anche perché Rolando considerava la sua vita come una missione per diffondere il Vangelo e le idee di Gesù».


Cosa vuole dire avere un beato in famiglia?


«Sono felicissimo e spero di seguire i suoi insegnamenti. Il fatto che papa Francesco abbia nominato Rolando Rivi beato è stato un risultato eccezionale. E se la sua memoria non è stata persa, un grande merito lo si deve dare ai padri della Consolata, che hanno retto negli scorsi anni la parrocchia di San Valentino e che si sono impegnati a ricordarne la memoria. Insieme agli altri familiari di Rolando, ovviamente».


Adesso che cosa manca secondo te?


«Manca solo la proclamazione a santo, ma per questo è necessario il miracolo».


(Paolo Ruini)




01 maggio, 2014

Preghiera scritta da Adelaide Roncalli

Preghiera scritta da Adelaide Roncalli 


Cara Madre nostra amatissima, vogliamo tutti ringraziarti per il tuo amorevole intervento nel 1944 in piena seconda guerra mondiale sul nostro suolo bergamasco.

Ci hai sempre seguiti con i tuoi materni insegnamenti, anche davanti alle nostre debolezze, con grande misericordia e il tuo amore non ci manca mai.
Continua o Regina delle Famiglie a stendere il tuo manto su di noi ed elargire le tue generose grazie su tutti.
Donaci sempre il tuo figlio Gesù Eucaristico nostra vita con il Pane e lo Spirito Santo.
Adelaide Roncalli



06 ottobre, 2013

Redazione – Papa Francesco dopo l’Angelus – Osservatore Romano – 6 ottobre 2013

 Redazione – Papa Francesco dopo l’Angelus – Osservatore Romano – 6 ottobre 2013

“Cari fratelli e sorelle, ieri, a Modena, è stato proclamato Beato Rolando Rivi, un seminarista di quella terra, l’Emilia, ucciso nel 1945, quando aveva 14 anni, in odio alla sua fede, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di violenza scatenata contro il clero, che alzava la voce a condannare in nome di Dio gli eccidi dell’immediato dopoguerra. Ma la fede in Gesù vince lo spirito del mondo! Rendiamo grazie a Dio per questo giovane martire, eroico testimone del Vangelo. E quanti giovani di 14 anni, oggi, hanno davanti agli occhi questo esempio: un giovane coraggioso, che sapeva dove doveva andare, conosceva l’amore di Gesù nel suo cuore e ha dato la vita per Lui. Un bell’esempio per i giovani!”



05 ottobre, 2013

Cardinale Angelo Amato – Omelia della Beatificazione – Congregazione delle Cause dei Santi – 5 ottobre 2013

 Cardinale Angelo Amato – Omelia della Beatificazione – Congregazione delle Cause dei Santi – 5 ottobre 2013

“Fratelli e sorelle è con le lacrime agli occhi che mi accingo a parlare del Beato, Rolando Rivi, morto martire per la fede.[2] La commozione sgorga dal mio cuore di vescovo, che piange la morte di questo ragazzo, forte come una quercia per onorare e difendere la sua identità di seminarista. Al lampo di odio dei suoi carnefici egli rispose con la mitezza dei martiri, che inermi offrono la vita perdonando e pregando per i loro persecutori.
Il martirio di Rolando Rivi è una lezione di esistenza evangelica. Era troppo piccolo per avere nemici. Erano gli altri, che lo consideravano un nemico. Per lui tutti erano fratelli e sorelle. Egli non seguiva una ideologia di sangue e di morte, ma professava il Vangelo della vita e della carità.
Obbediva con semplicità e gioia alle parole del Signore Gesù, che un giorno rivelò ai suoi discepoli l’atteggiamento giusto per affrontare i nemici: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra, a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica […]. Amate i vostri nemici» (Lc 6,27-29.35).
Ecco cosa aveva Rolando nel suo cuore di bambino, un amore per tutti: amare non solo i genitori e i fratelli, ma anche i nemici, fare del bene a a chi lo odiava e benedire chi lo malediceva. Era questa – e lo è ancora – una dottrina rivoluzionaria, certo, ma nel senso buono, perché porta ad atteggiamenti di fraternità, di tolleranza e di rispetto della libertà altrui, senza soprusi, senza imposizioni forzate e senza spargimento di sangue.
Cari fratelli, davanti a questa immagine luminosa di bambino, strappato con violenza alla vita e all’amore, noi cristiani non siamo pieni di rancore in cerca di rivincite. No, vogliamo ricordare e celebrare la vicenda martiriale del piccolo Rolando Rivi con un atteggiamento di perdono, di riconciliazione, di fraternità umana. Vogliamo gridare forte: mai più odio fratricida, perché il vero cristiano non odia nessuno, non combatte nessuno, non fa male a nessuno. L’unica legge del cristiano è l’amore di Dio e l’amore del prossimo.
Le ideologie umane crollano, ma il Vangelo dell’amore non tramonta mai perché è una buona notizia. E oggi il nostro piccolo Beato è una buona notizia per tutti. Di fronte alla sua bontà e alla sua gioia di vivere, siamo qui riuniti per piangere sì il suo sacrificio, ma soprattutto per celebrare la vittoria della vita sulla morte, del bene sul male, della carità sull’odio. La sua memoria è di benedizione, mentre la memoria dei suoi carnefici si è persa nelle nebbie del nulla o forse – lo speriamo – nelle lacrime del pentimento.

Il piccolo Rolando, come tutti i bambini, aveva un sogno: diventare sacerdote. A undici anni, entrò in seminario e, come si usava allora, vestì la veste talare, che da quel giorno diventò la sua divisa. La portava con orgoglio. Era il segno visibile del suo amore sconfinato a Gesù e della sua totale appartenenza alla Chiesa. Non si vergognava della sua piccola talare. Ne era fiero. La portava in seminario, in campagna, in casa. Era il suo tesoro da custodire gelosamente. Era il distintivo della sua scelta di vita, che tutti potevano vedere e capire.
Come tutti i bambini della sua età, Rolando era sereno, vivace, buono. Giocava a pallone con passione, imparò a servire messa, a suonare l’organo, a cantare. Davanti al tabernacolo ripeteva continuamente: «Gesù, voglio

farmi prete». Era entusiasta della sua vocazione. Del resto, il sacerdozio è una chiamata a fare del bene a tutti, senza distinzione. Quale pericolo poteva nascondere il suo ideale sacerdotale? Non c’è da meravigliarsi della
fermezza della decisione del piccolo Rolando. Gli studiosi di psicologia infantile concordano sul fatto, che anche i bambini possono fare scelte decisive per la loro vita e mantenerle con fedeltà e coraggio. Nei piccoli è più che mai vivo un proprio progetto di vita in campo artistico, scientifico, professionale, sportivo e anche religioso. Alcuni fanciulli sviluppano fino al virtuosismo i loro talenti di natura e di grazia. Sono molti i bambini prodigio, che primeggiano nell’arte, nella scienza, nell’altruismo. Così, non sono pochi i santi bambini e adolescenti, come sant’Agnese, san Tarcisio, santa Maria Goretti, san Domenico Savio.
A chi gli chiedeva, che – data la situazione di guerra – era pericoloso indossare la veste talare, Rolando rispondeva con fierezza: «Non posso, non devo togliermi la veste. Io non ho paura, io sono orgoglioso di portarla. Non posso nascondermi. Io sono del Signore».
Ma un brutto giorno arrivarono le iene, piene di odio e in cerca di prede da straziare e divorare. E lo spogliarono della sua veste, come fecero i carnefici con Gesù, prima di crocifiggerlo. Non erano stranieri, parlavano la stessa lingua e abitavano nella stessa terra di Rolando. Non erano piccoli delinquenti, ma giovani maturi. Avevano, però, dimenticato i comandamenti del Signore: non nominare il nome di Dio invano, non ammazzare, non dire falsa testimonianza. Anzi, erano stati imbottiti di odio e indottrinati a combattere il
cristianesimo, a umiliare i preti, a uccidere i parroci, a distruggere la morale cattolica. Ma niente di tutto questo era eroico e patriottico. E le iene non si fermarono nemmeno di fronte a un adolescente, annientando la sua vita e i suoi sogni, ma soprattutto macchiando la loro umanità e il loro cosiddetto patriottismo.
Erano veramente tempi duri allora per l’Europa. In quel periodo il nostro continente era avvolto nella nube nera della morte, della guerra e della persecuzione religiosa. Dopo quella spagnola degli anni ’30, arrivò la persecuzione nazista e quella comunista. Il loro lascito di morte furono i milioni di vittime nei gulag, nei lager e nelle mille prigioni delle nostre belle nazioni.
Anche nelle zone comprese nelle diocesi di Modena e Reggio Emilia si era diffuso un profondo spirito di intolleranza verso la religione, la Chiesa, i sacerdoti, i fedeli. Alcuni avevano dimenticato la loro infanzia buona ed erano diventati fanatici, profondamente invasi dall’odio di classe. Abbiamo sentito che, dopo la chiusura del seminario, Rolando era tornato al paese. Un giorno -10 aprile 1945 -dopo aver suonato e cantato alla santa Messa, prese i libri come al solito e si recò a studiare nel boschetto vicino. Fu catturato e rinchiuso in una stalla. Il ragazzo fu spogliato, insultato e seviziato con percosse e cinghiate per ottenere l’ammissione di una improbabile attività spionistica. Ma Rolando – fu accertato al processo penale di qualche anno dopo – non poteva confessare niente, perché le accuse erano totalmente false. Dopo tre giorni di sequestro, con una procedura arbitraria e a insaputa dei capi, il 13 aprile 1945, il ragazzo fu prima barbaramente mutilato e poi assassinato con due colpi di pistola, uno alla tempia sinistra e l’altro al cuore.
In quel momento il sangue del piccolo martire non si sparse per terra, ma fu raccolto da Dio nel calice santo del sacrificio eucaristico. Non c’era nessuna mamma a piangere la morte del suo bambino. Secondo i testimoni oculari di quello scempio, i carnefici gettarono il corpo nella fossa e fecero della veste un macabro bottino di guerra. La talare fu appesa sotto il porticato di una casa vicina. Il carnefice, al padre angosciato in cerca del suo figliolo, disse semplicemente: «L’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo».
Quel 13 aprile, cari fedeli, era venerdì e l’uccisione era avvenuta di pomeriggio. Il richiamo al venerdì santo e alla morte di Gesù è evidente. Un bambino consacrato a Dio in mano a uomini senza Dio.
Quando il ragazzo vide la buca chiese di poter pregare. Si inginocchiò e in quell’istante lo fulminarono. Coprirono il corpo con un po’ di terra e poche foglie.
Le iene aveva sbranato un agnello inerme. Se mai c’era valore nei combattenti, era stato per sempre disonorato da un’azione vile. Avevano umiliato e spento la vita di un loro figlio innocente, che, crescendo, li avrebbe solo benedetti, dando serenità e significato alle loro vite. La mancanza di umana comprensione fa risaltare di più la nobiltà e la fortezza del piccolo seminarista, che, anche nella sofferenza e nella umiliazione, mai aveva rinunciato a proclamarsi amico di Gesù.
Il 15 aprile, domenica del Buon Pastore, ci furono i funerali. Il suo corpo martoriato fu portato in chiesa. C’erano solo poche donne vestite a lutto. Non ci furono canti e suoni. Ma non mancarono certo gli alleluja degli Angeli, che cantando accompagnarono il giovane martire in Paradiso. Cari fratelli, cosa impariamo da questa lezione di vita e di sacrificio del nostro giovane seminarista, Martire della fede?
Il perdono è un gesto che ci avvicina di più a Dio, padre buono e misericordioso. Anche il primo martire cristiano, il giovane Stefano, quando veniva lapidato, pregava Gesù dicendo: «Signore Gesù, accogli il mio spirito […]. Signore,

non imputare loro questo peccato» (At 7,55-60). È lo stesso atteggiamento del nostro piccolo ma grande Beato, che alla ferocia dei suoi aguzzini rispose con la dolcezza della preghiera e del perdono.
Il perdono è la medicina che sana ogni ferita, cancella l’odio, converte i cuori, incoraggia la fraternità. Abbiamo bisogno di perdono, come l’aria che respiriamo. In famiglia, nella società, sul lavoro, nei rapporti umani abbiamo bisogno di essere continuamente perdonati e di perdonare. Così si dimentica il male e si fa il bene. Dobbiamo uscire da questa beatificazione con il cuore e la mente pieni di perdono e sgombri di ogni ombra di contrasto. Nei pochi giorni della nostra vita mortale, il nostro piccolo Beato ci invita a vivere da fratelli e da amici, condividendo solo il bene e mai il male.
La seconda parola che Rolando ci consegna è la fortezza, una virtù fondamentale per la nostra esistenza cristiana. Nel brano della lettera ai Romani, che oggi abbiamo ascoltato, san Paolo ci esorta a essere forti e fermi nella fede, dicendo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8,35).
Niente separò Rolando dall’amore di Cristo. Non fu vinto né dalle percosse, né dalla fame, né dalla nudità, né dalle pallottole. Fu trattato come pecora al macello, ma in ciò fu più che vincitore nella grazia e nell’amore del Signore
Gesù. Perché Rolando nel suo cuore ripeteva le parole dell’Apostolo: «Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).
In questo anno della fede, accresciamo la nostra fortezza per andare controcorrente nei confronti di tutto ciò che viola e umilia la nostra condizione di uomini e di battezzati, rimanendo fedeli a Gesù, alla Chiesa, al magistero del Santo Padre. Il Vangelo sia per noi una roccia di rifugio, un luogo fortificato che ci salva. Il Signore Gesù sia sempre la nostra rupe e la nostra fortezza. La sua grazia ci guidi e ci conduca sulla via della salvezza.
Il nostro martire ci consegna una terza parola: servizio. Gesù, nel vangelo odierno, ci ricorda che il chicco di grano se non muore non produce frutto, ma se muore produce molto frutto. E aggiunge: «Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12,24-26).
Il servizio di Rolando a Gesù e alla sua Chiesa fu l’offerta della giovane vita, come seme fecondo di cristiani autentici e forti. Il suo martirio fu anche un gesto eroico di lealtà umana. Mai tradì la propria identità di figlio di Dio e di seminarista, chiamato a testimoniare nel sacerdozio le parole divine di Gesù.
Oggi, la sua veste talare, macchiata di sangue innocente, è la sua bandiera di gloria. Egli si rivolge ai seminaristi d’Italia e del mondo, esortandoli a rimanere fedeli a Gesù, a essere fieri della loro vocazione sacerdotale e a testimoniarla senza rispetto umano, con gioia, serenità e carità.
d) Perdono, fortezza e servizio faranno progredire la nostra umanità verso il porto della pace, della comprensione reciproca, del bene comune. Papa Francesco ci ripete continuamente di convertirci alla pace. La Chiesa ha sempre una porta aperta per accogliere i suoi figli peccatori. Non importa quanto siano spregevoli i nostri peccati, la misericordia del Signore Gesù è più grande della nostra miseria. Liberiamoci del peso delle nostre cattive azioni ed entriamo in chiesa, la nostra vera casa, dove troviamo accoglienza, conforto e guarigione da tutte le nostre ferite spirituali.
Ora non è tempo di pianto ma di gioia, non è tempo di divisione ma di comunione, non è tempo di inimicizia ma di fraternità. Pace, pace ci grida il nostro piccolo martire. Pace a tutti e con tutti. Riconciliamoci  e perdoniamoci. Diventiamo uomini di pace. Amiamo la pace, costruiamo la pace, viviamo nella pace. Le nostre città e le nostre famiglie siano oasi di pace. Se ci convertiamo alla pace, se diventiamo costruttori di pace, non avremo più nemici da combattere e da annientare, ma solo amici da amare e da perdonare. E noi saremo benedetti dagli uomini e dal Signore. In tal modo il martirio del nostro Rolando non sarà stato invano. Amen.”

Cardinale Angelo Amato – Omelia della Beatificazione – Congregazione delle Cause dei Santi – 5 ottobre 2013













30 maggio, 2013

La storia di Rolando Rivi, seminarista ucciso nel 1945 da partigiani com...



Sergio e Alfonso Rivi, ospiti di Lucia Ascione nello spazio Arancio di Nel cuore dei giorni, sono cugini di Rolando Rivi, il seminarista cattolico picchiato a morte nel '45 all'età di 14 anni dai partigiani. Il 28 marzo 2013 papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgarne il decreto che ne riconosce il martirio.

25 maggio, 2013

Omelia per la solennità della SS. Trinità – Santa Messa di ringraziamento per il riconoscimento del martirio del Servo i Dio Rolando Rivi da parte del Papa

Omelia per la solennità della SS. Trinità – Santa Messa di ringraziamento per il riconoscimento del martirio del Servo i Dio Rolando Rivi da parte del Papa

San Valentino
25-05-2013
Cari fratelli e sorelle,
 
la guerra era finita da poche settimane quando, alla fine di maggio, nel 1945, gli abitanti di San Valentino vissero uno straordinario e intensissimo momento di preghiera in questa antica pieve. Un bambino di questa terra, un chierichetto di questa parrocchia, un giovane seminarista del seminario diocesano di Marola, Rolando Rivi, era stato rapito, barbaramente picchiato e ucciso a soli 14 anni. Uomini, accecati dall’ideologia, lo odiavano, per la sua ardente testimonianza di fede, che suscitava negli altri ragazzi il desiderio di seguirlo e di diventare, come lui, amici di Gesù.
 
Il martirio, come sapete, avvenne il 13 aprile 1945 a Piane di Monchio, in territorio modenese. Oggi penso a lui, in ginocchio nel bosco, umiliato, sfinito, privato a forza della sua veste talare, che tanto amava, come segno della sua appartenenza all’amico Gesù e alla sua Chiesa. Quando capì che i suoi persecutori non avrebbero avuto pietà, chiese, nell’ultimo istante della sua vita terrena, di poter pregare per il suo papà e per la sua mamma. Chi ci separerà dall’amore di Cristo? (Rm 8,35). Né le percosse, né gli insulti, né gli sputi, né le cinghiate, né la paura, né il freddo, né la fame hanno potuto strapparlo dalla mano del suo grande amico: «Io sono di Gesù».
 
In uno degli ultimi giorni di maggio del 1945, quando la guerra finalmente era finita, la salma del giovane seminarista, che provvisoriamente aveva avuto sepoltura cristiana nel cimitero di Monchio, fu riportata qui, a San Valentino, su un biroccio trainato da un cavallo. Gli abitanti del paese gli andarono incontro [in località Montadella] e gli amici portarono a spalla la piccola bara negli ultimi chilometri. Il lungo corteo arrivò in questa Pieve, dove tutti si unirono in preghiera. Fu il primo momento in cui il popolo cristiano accolse spontaneamente Rolando come martire della fede e fu anche una festa della libertà religiosa, perché le campane, silenziate durante la guerra, tornarono a suonare a distesa e le bandiere dell’Azione Cattolica, proibite durante il fascismo, tornarono a sventolare pubblicamente.
 
Oggi, come allora, ci ritroviamo in preghiera per riconoscere Rolando Rivi martire della fede. Lo facciamo con la stessa commozione di allora, ma con una nuova, profonda certezza che ci viene dalla decisione del Santo Padre Francesco che, il 27 marzo scorso, ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei Santi a scrivere il decreto sul martirio di Rolando. Rolando Rivi è martire! Per questo sarà proclamato Beato. [Dono che la misericordia del Signore fa alla nostra vita e al mondo. Ringrazio il “Comitato Amici di Rolando Rivi”, che ne ha promosso e ne sostiene la causa di beatificazione e canonizzazione, per questo grande servizio alla Chiesa.]
 
Oggi celebriamo la festa della Santissima Trinità, festa del Padre creatore e salvatore, festa del Figlio che si è incarnato, è morto e risorto per noi, festa dello Spirito santificatore. Senza guardare alla Trinità non possiamo comprendere nulla del martirio di un cristiano. Non possiamo comprendere che il martire vero non disprezza la vita, non odia nulla e nessuno, ama anzi la luce, i colori, le cose belle e buone di cui è ricco il mondo. Ma un amore più grande occupa il suo cuore: Gesù è amato come il bene primario, l’amico più sicuro, colui che ha dato tutto se stesso per noi. E lo Spirito infonde in lui e in noi la stessa carità di Cristo, ce lo rivela e, assieme a lui, ci rivela anche il cuore dell’uomo.
 
L’incontro con Cristo è avvenuto per Rolando nella sua famiglia che lo ha accolto come dono di Dio e che, per lui, ha chiesto il Battesimo; a scuola, dove brave maestre cristiane lo hanno educato a riconoscere l’impronta del Creatore nella realtà; in parrocchia, dove la fede profonda e la grande umanità di don Olinto Marzocchini hanno suscitato in lui il desiderio di diventare sacerdote. I genitori, le maestre, il sacerdote sono stati per lui il volto visibile di Cristo, vero padre, amico, maestro. Rolando col suo cuore ardente ha detto un sì pieno al grande amico incontrato, desiderando che ogni giorno della vita, per essere bello e vero, fosse insieme a Cristo nella compagnia della Chiesa. «Io sono di Gesù», diceva. Ogni attimo della giornata è utile solo se vissuto in questa appartenenza.
Rolando è stato trasformato da questo incontro. Era il più scatenato nei giochi e il più assorto nella preghiera; desiderava il vero bene degli altri ragazzi e li guidava alla Chiesa; voleva essere sacerdote e missionario per far conoscere il suo grande amico a tutti gli uomini, in particolare ai più poveri e ai più lontani.
 
Ma Rolando ci insegna anche che la strada dell’amicizia con Gesù passa sempre attraverso la croce. Per tornare nel seno del Padre nella gloria della resurrezione, Cristo è salito sulla croce. Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Rolando ha compiuto il più grande gesto di amore dando la vita per il suo grande Amico, e donandola a Cristo l’ha donata per ognuno di noi.
 
Rolando, che ha amato Cristo sopra ogni cosa, è per noi un amico vero. Lo possiamo dire con totale certezza dopo il sì pronunciato dal Santo Padre.
 
Per questo oggi, rendendo grazie al Signore per il dono del nostro martire bambino, ringraziamo Papa Francesco che ha indicato a noi e a tutto il mondo Rolando come compagno sicuro sulla via della santità.
 
Cari fratelli e sorelle, ci diamo tutti appuntamento il 5 ottobre, in Piazza Grande, di fianco al Duomo di Modena, per celebrare la festa della beatificazione. Con la beatificazione le sue preziose reliquie non resteranno più sotto il pavimento di questa chiesa, ma verranno collocate nell’altare della Madonna del Carmelo, qui alla mia sinistra. Maria ci custodisca nel cammino e ci guidi a rimanere ogni giorno nell’amore di Cristo per portare molto frutto, come Rolando.
 
Amen.

✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla



13 maggio, 2013

Biografia del seminarista beato Rolando Maria Rivi - IO SONO DI GESÙ

Rolando Maria Rivi, nasce mercoledì 7 gennaio 1931, figlio di contadini cristiani, nella casa del Poggiolo, a San Valentino, nel Comune di Castellarano (Reggio Emilia). Il padre si chiama Roberto Rivi e la madre Albertina Canovi. Ragazzo intelligente e vivace, “il più scatenato nei giochi, il più assorto nella preghiera”,

lodi del Signore.
Nella festa del Corpus Domini, 16 giugno 1938, Rolandino ricevette la I Comunione e fu davvero per lui festa umile e solenne: Gesù diventava il suo intimo Amico. A scuola, guidato dalla maestra Clotilde Selmi, giovane donne dalla Comunione quotidiana, preparata e tutta dedita alla sua missione di educatrice cristiana, seppe dare buoni risultati: sostenuto da una vivace intelligenza, imparava con facilità e aiutava volentieri i compagni.
Era generosissimo con i poveri di passaggio ai quali donava con larghezza, dicendo: “La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù”. Il 24 giugno 1940, dal Vescovo diocesano di Reggio Emilia, Mons. Edoardo Brettoni, Rolando ricevette la Cresima. Si sentì ancora più obbligato con il Signore Gesù, “un soldato di Cristo”, come allora si diceva, e prese forti impegni con Lui: la Messa e Comunione quotidiana, la Confessione settimanale, il Rosario alla Madonna ogni giorno, da solo e in famiglia.
I suoi piccoli amici del borgo, Rolando cercava di portarli in chiesa, al catechismo, davanti al Tabernacolo, per crescere nella fede e nell’amore al Signore. Papà Roberto si chiedeva: “Chi mai sarà questo bambino?”. Rolando finì le elementari in modo brillante. La maestra ricorderà sempre “i suoi occhi vivi, espressivi al massimo, cui non sfuggiva nulla, la sua intuizione immediata, la logica serrata dei suoi ragionamenti, la sua ottima memoria”.
A lui, però, ciò che più importava, era il rapporto, intenso, sempre più intenso con Gesù. Il sacerdote all’altare – don Narzocchini, sua guida e modello di vita – quando consacrava il Pane e il Vino nella Messa, gli appariva grande da toccare il Cielo: “Perché – si domandava – non avrebbe potuto essere come lui?”.
S. Pio X, il papa dell’Eucaristia ai bambini in giovanissima età, un giorno previde: “Ci saranno tanti ragazzi santi e tanti chiamati al sacerdozio, grazie a Gesù Eucaristico adorato e santamente ricevuto da loro”.
Per tutta la prima metà del secolo XX – e oltre – grazie a una pedagogia davvero eucaristica da parte delle parrocchie e dell’Azione Cattolica, la “profezia” di S. Pio X si è avverata largamente: lo scrivente, ricercatore di “santità giovane”, lo può ampiamente documentare, appoggiandosi anche sulla testimonianza scientifica e teologica di illustri Maestri della psicologia, del dogma e dell’ascetica cristiana, quali P. Agostino Gemelli, P. Garrigou-Lagrange, il Card. Pietro Palazzini (si veda il testo di L. Castano, Santità giovanile, LDC, Torino, 1989).
Ebbene, proprio nell’ambito della profezia di S. Pio XII, Rolando Rivi, decenne, a contatto di Gesù vivo nel Tabernacolo e del suo parroco don Marzocchini, vero “sacerdos propter Eucaristiam”, sentì la voce di Gesù che lo chiamava alla santità e al sacerdozio. A 11 anni, decise: “Voglio farmi prete. Papà, mamma, vado in Seminario”.
Così all’inizio dell’ottobre 1942, entrò in Seminario, a Marola (Reggio Emilia), vestendo subito l’abito talare, come allora si usava. Studiava con serietà e, con la sua bella voce, faceva parte del coro. Stava assai volentieri davanti all’Eucaristia, appassionato sempre di più della sua vocazione, sentendosi un prediletto di Dio.
A casa, in vacanza, durante l’estate, continuava a vivere da seminarista, con fedeltà ai suoi impegni, la Messa e la Comunione quotidiana, la meditazione al mattino, la visita al SS.mo Sacramento e il Rosario alla Madonna, ogni sera, in una vita di studio e di purezza, e facendo apostolato tra i compagni. Portava sempre con orgoglio l’abito religioso, spiegando: “È il segno che io sono di Gesù”.
Suonava in chiesa l’harmonium e accompagnava i cantori, tra i quali il suo ottimo papà, Roberto Rivi, fiero di cantare con il suo “tesoro” che si preparava, più convinto che mai, a diventare “un altro-Gesù” nel sacerdozio. Lo si vedeva spesso circondato da piccoli amici, con i quali il discorso era caldo di luce e di amore: voleva raccoglierli tutti attorno a Gesù, insegnare loro ad amarlo come Lui solo merita di essere amato.


Rolando matura presto un’autentica vocazione al sacerdozio. A soli 11 anni, nel 1942, mentre l’Italia è già in guerra, il ragazzo entra nel seminario di Marola nel Comune di Carpineti (Reggio Emilia) e veste per la prima volta l’abito talare che non lascerà più sino al martirio.

Nella primavera del 1945, a San Valentino, alcuni partigiani aggredirono e umiliarono don Olinto. A causa di questa gravissima aggressione, il parroco fu costretto a rifugiarsi altrove. Intanto nei paesi vicini, alcuni sacerdoti furono addirittura uccisi da bande di partigiani mossi dall’odio verso la Chiesa Cattolica. Rolando era consapevole della gravità della situazione e quanto fosse allora rischioso spostarsi normalmente per il paese, le zone limitrofe, indossando l’abito da prete. Rolando non voleva saperne di togliersi la veste talare. Più volte i genitori cercarono di persuaderlo anche in modo fermo e deciso. Lui fu ancor più fermo e deciso: “Ma no, non posso, non devo togliermi la veste. Io non ho paura, io sono orgoglioso di portarla. Non posso nascondermi. Io sono del Signore”. Non solo, Rolando non mancava perfino di contraddire e contrastare anche pubblicamente chiunque inveisse contro la Chiesa o cercasse di sfotterlo perché indossava la veste talare. Il 10 aprile 1945, martedì dopo la Domenica in Albis, al mattino presto, Rolando era già in chiesa: visse ed animò la Messa suonando l’armonium. uscito dalla chiesa, andò a studiare come ogni mattina nel boschetto a pochi passi da casa. Come sempre indossava l’abito talare; quel mattino un gruppo di partigiani lo sequestrò. Il ragazzo fu in balìa dei suoi rapitori per tre giorni. Per quanto se ne è saputo, probabilmente dagli atti processuali, i suoi aguzzini hanno inveito contro di lui pronunciando ingiurie contro la Chiesa e atroci bestemmie contro Gesù. Poi, occorre dolorosamente riferirlo, lo flagellarono, si scagliarono contro il suo corpo inerme percuotendolo ripetutamente. Infine lo spogliarono della veste talare… Lo condussero in un bosco presso Piane di Monchio (in provincia di Modena). Quando capì che stavano per ucciderlo, Rolando singhiozzò, chiese di essere risparmiato, gli sferrano un calcio.

Rolando formulò un’ultima richiesta: “Voglio pregare per la mia mamma e per il mio papà”, si inginocchiò e continuò silenziosamente a pregare. Venne freddato a colpi di pistola. Il suo corpo venne coperto con poche palate di terra e foglie secche; i suoi uccisori giocarono a calcio con la sua veste talare dopodiché la appesero sotto il porticato di una casa vicina. Era venerdì 13 aprile 1945. Lì, in quella fossa improvvisata, fu trovato dal suo amico sacerdote don Alberto Camellini e dal papà Roberto, dopo che uno degli stessi assassini aveva indicato loro dove trovarlo. Dopo 60 anni, il 7 gennaio 2006, l’arcivescovo di Modena mons. Benito Cocchi, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 30 settembre 2005, ha dato inizio, nella Chiesa modenese di Sant’Agostino, al processo diocesano per la beatificazione del seminarista Rolando Rivi, martire innocente, caduto sotto l’odio anticlericale e anticristiano del tempo, per aver voluto testimoniare, indossando l’abito talare fino all’ultimo, la sua appartenenza a Cristo. Il 27 marzo 2013 il Santo Padre Francesco ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare, tra gli altri, anche il decreto riguardante il martirio del servo di Dio Rolando Rivi. Rolando è stato beatificato a Modena il 5 ottobre 2013. Beato Rolando, ti chiedo di prenderti cura di noi adulti, di noi genitori con la stessa premura che hai avuto verso i tuoi genitori prima di andare ad abbracciare l’Amato del tuo cuore e ancora, così come facesti con i tuoi compagni più tiepidi e scostanti, così come li contagiavi con la tua fede, con l’ardore della tua umanità centuplicata da Cristo, fa così anche con me, con i nostri figli, con ognuno di noi, quando ci priviamo della possibilità di vivere la bellezza, l’intensità e la profondità del vivere in Gesù, dentro ogni cosa, in ogni cosa e sopra ad ogni cosa.

Il desiderio di diventare “sacerdote e missionario” cresce guardando alla figura del suo parroco, don Olinto Marzocchini, “uomo di ricchissima vita interiore, attento alle cose che veramente contano”, che fu per il ragazzo una guida e un maestro. Nell’estate del 1944 il seminario di Marola viene occupato dai soldati tedeschi. Rolando, tornato a casa, continua gli studi da seminarista, sotto la guida del parroco, e porta nel suo paese un’ardente testimonianza di fede e di carità, vestendo sempre l’abito talare. Il primo aprile di quell’anno, Pasqua di resurrezione, don Olinto Marzocchini è già rientrato a San Valentino e al suo fianco è rimasto il giovane curato. Durante la Settimana Santa, Rolando ha partecipato alle celebrazioni liturgiche con grande entusiasmo. E giovedì, davanti all'altare dell'Eucarestia, ornato di fiori e di ceri accesi, ha pregato: «Grazie, Gesù, perché ci hai donato Te stesso nell'Ostia santa e rimani sempre con noi... Aiutami a ritornare presto in seminario e a diventare sacerdote». Il venerdì, baciando il Crocifisso, ha ripetuto l'offerta al suo grande Amico: «Tutta la mia vita per Te, o Gesù, per amarTi e farTi amare». Il giorno di Pasqua, durante le Messe, Rolando suona l'organo accompagnando i canti. Riceve Gesù nella Comunione. In sacrestia, il parroco gli dice: «Sei stato bravo, Rolando! Per tutti i servizi fatti nella Settimana Santa, accetta questo piccolo dono... E che il Signore ti benedica», e gli mette in mano una piccola somma. Si sente nell'aria qualcosa di nuovo. C'è ancora la guerra, ma tutti sentono che volge alla fine. Nei giorni successivi, Rolando non manca mai alla Messa e alla Comunione. Poi, tornato a casa, esce con un libro sotto braccio e va a studiare presso un boschetto non lontano dalla sua abitazione. Il 10 aprile, martedì dopo la domenica in Albis, al mattino presto, è già in chiesa: si celebra la Messa cantata in onore di San Vincenzo Ferreri, che non si è potuta celebrare il 5 aprile, giorno anniversario, essendo l'ottava di Pasqua. Suona e accompagna all’organo i cantori, tra i quali c'è anche il papà. Si accosta alla Comunione e si raccoglie in preghiera a ringraziare il Signore. Prima di uscire, prende accordi con i cantori, per «cantare Messa» anche l'indomani. Torna a casa. I suoi genitori vanno a lavorare nei campi. Rolando, con i libri sottobraccio, si reca come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa. Indossa, come sempre, la sua veste nera. A mezzogiorno, non vedendolo ritornare, i genitori lo vanno a cercare. Tra i libri, sull'erba, trovano un biglietto: «Non cercatelo. Viene un momento con noi, partigiani». Il papà e il curato di San Valentino, in forte ansia, cominciano a girare nei dintorni alla ricerca del ragazzo. Cosa sarà mai capitato?... Alcuni partigiani comunisti lo hanno portato nella loro «base». Rolando capisce con chi si trova. Quelli lo spogliano della veste talare, che li irrita troppo. Ora hanno davanti a loro un povero ragazzo di quattordici anni, tremante, vestito poveramente, come Gesù nel pretorio di Pilato. Alle loro beffe, Rolando risponde: «Sono un ragazzo, si, un seminarista... e non ho fatto nulla di male». Quelli lo insultano, lo percuotono con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiano. Adesso hanno davanti un ragazzino coperto di lividi, piangente. Così era stato fatto, un giorno lontano, a Gesù. Rolando, innocente, prega nel suo cuore e chiede pietà. Qualcuno si commuove e propone di lasciarlo andare, perché è soltanto un ragazzo. Ma altri si rifiutano: prevale l'odio al prete, all'abito che lo rappresenta. Decidono di ucciderlo. Lo portano in un bosco presso Piane di Monchio (Modena). Davanti alla fossa già scavata, Rolando comprende tutto. Singhiozzando implora di essere risparmiato. Gli viene risposto con un calcio. Allora dice: «Voglio pregare per la mia mamma e per il mio papà». Si inginocchia sull'orlo della fossa e prega per sé, per i suoi cari, forse per i suoi stessi uccisori. Due scariche di rivoltella lo rotolano a terra, nel suo sangue. Un ultimo pensiero, un ultimo palpito del cuore per Gesù, perdutamente amato... Poi la fine. Quelli lo coprono con poche palate di terra e di foglie secche. La veste da prete diventa un pallone da calciare; poi sarà appesa, come trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina 7. Era il 13 aprile 1945, ricorrenza del giovane martire Sant'Ermenegildo, venerdì, come quando Gesù si immolò sulla croce. Rolando aveva quattordici anni e tre mesi. In quell'istante il cielo si apri e Gesù accolse nella sua gloria Rolando Maria Rivi, piccolo angelo, martire della fede. Con la vita, con la parola e perfino con il suo sangue aveva proclamato: «Quanto ho di più caro al mondo è Cristo: Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui>> I genitori, spaventati dall’odio partigiano, invitarono il figlio a togliersi la talare; tuttavia egli rispose: «Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù». Questa pubblica appartenenza a Cristo gli fu fatale. Un giorno, mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, il martire Rolando prese i libri e si allontanò, come al solito, per studiare in un boschetto. Arrivarono i partigiani, lo sequestrarono, gli tolsero la talare e lo torturarono. Rimase tre giorni loro prigioniero, subendo offese e violenze; poi lo condannarono a morte. Lo condussero in un bosco, presso Piane di Monchio (Modena); gli fecero scavare la sua fossa, fu fatto inginocchiare sul bordo e gli spararono due colpi di rivoltella, una al cuore e una alla fronte. Poi, della sua nera e immacolata talare, ne fecero un pallone da prendere a calci. Era venerdì 13 aprile 1945. Per questa sua testimonianza di amore a Gesù, così intensa da attirare gli altri ragazzi verso l’esperienza cristiana, Rolando, nel clima di odio contro i sacerdoti diffusosi in quel periodo, finisce nel mirino di un gruppo di partigiani comunisti. Il 10 aprile 1945, il seminarista viene sequestrato, portato prigioniero a Piane di Monchio, nel Comune di Palagano sull’Appennino modenese, rinchiuso in un casolare per tre giorni, brutalmente picchiato e torturato. muore Venerdì 13 aprile 1945 ore 15.00, il ragazzo innocente, a soli 14 anni, spogliato a forza della sua veste talare, viene trascinato in un bosco di Piane di Monchio e ucciso con due colpi di pistola. Quando Rolando capisce che i carnefici non avrebbero avuto pietà, chiede solo di poter pregare per il suo papà e per la sua mamma. Anche in quest’ultimo istante, nella preghiera, Rolando riafferma la sua appartenenza all’amico Gesù, al suo amore e alla sua misericordia. Aveva 14 anni 3 mesi e 6 giorni. Dopo la Liberazione, il 29 maggio 1945 la salma fu traslata e tumulata nel cimitero di San Valentino, con l'omaggio di tutti i parrocchiani. Essendo divenuta la sua tomba meta di pellegrinaggi, il 26 giugno 1997, con una solenne cerimonia, gli venne data nuova sepoltura all'interno della chiesa di San Valentino, nel sacrario dei parroci della pieve. Nel 1951 la Corte di Assise di Lucca condanna gli autori dell’efferato omicidio. La condanna viene confermata nel 1952 dalla Corte di Assise di Appello di Firenze e diventa definitiva in Cassazione. Il 7 gennaio 2006, su iniziativa del Comitato Amici di Rolando Rivi, nella chiesa di S. Agostino, a Modena, si apre il processo diocesano per la beatificazione e dichiarazione del martirio del servo di Dio Rolando Rivi. Il processo diocesano viene chiuso in modo solenne dall’Arcivescovo Abate di Modena Nonantola, S.E. Mons. Benito Cocchi, il 24 giugno 2006, con l’affermazione che il martirio del giovane seminarista “ci pare avvenuto realmente in odium fidei”. Rolando Rivi è il primo tra i 130 sacerdoti e seminaristi uccisi sul finire della guerra e nel dopoguerra dai partigiani comunisti, per impedire che portassero il contributo della propria fede cristiana e delle proprie idee di libertà alla nuova Italia che stava nascendo, per cui è stata avviata la causa di beatificazione. Il 23 giugno 2010 lapositio del servo di Dio Rolando Rivi viene iscritta nel protocollo dei martiri presso la Congregazione per le cause dei Santi a Roma. Il 18 maggio 2012 la decisione dei teologi, che riconosce la validità del martirio, spalanca le porte alla beatificazione che ora appare imminente. Dopo la firma dei Cardinali e del Papa, Rolando potrà salire all’onore degli altari


PREGHIERA PER OTTENERE L'INTERCESSIONE DEL BEATO ROLANDO MARIA RIVI


O Dio, Padre misericordioso, che scegli i piccoli per confondere i potenti del mondo, Ti ringrazio per averci donato, nel seminarista Rolando Rivi, una testimonianza d'amore totale al tuo Figlio Gesù e alla sua Chiesa, fino al sacrificio della vita. Illuminato da questo esempio e per intercessione di Rolando, ti chiedo di darmi forza di essere sempre segno vivo del tuo amore nel mondo e ti supplico di volermi concedere la grazia... che ardentemente desidero. Un Padre nostro. Dieci Ave Maria. Un Gloria al Padre. Signore Gesù, Fratello maggiore dei martiri, grazie perché ora ci chiami a mettere i nostri passi sui passi di nostro fratello Rolando che, pur amando immensamente la vita perché tuo dono, non ha esitato a rimetterla nelle tue mani, perché, anche quanti credevano di strappargliela, potessero aprire gli occhi del cuore e scoprire il tuo Volto nel suo volto sfigurato. Nei martiri noi riconosciamo il punto di incontro tra la nostra responsabilità e la tua grazia; accettiamo lo scandalo del loro sangue versato che dona salvezza e vita; accogliamo la sconfitta del male che sembra vincere il bene; contempliamo il mistero delle tenebre sconfitto e illuminato dalla luce. Vogliamo seguirti in questo cammino di amore, per imparare dai nostri fratelli e sorelle, testimoni di perdono e di pace, che la croce, strumento di morte, porta il Crocifisso, il nostro Signore Gesù, Salvatore risorto e vincitore di tutte le morti. Illumina il nostro cuore con il tuo Spirito, perché i nostri passi non esitino a seguire le tue orme e di quanti ti hanno seguito su tutti i Calvari del mondo ed ora sono nella tua Vita. Amen O Dio onnipotente ed eterno, che hai ispirato al beato martire Rolando il desiderio di essere totalmente di Gesù, concedici, per sua intercessione, i doni del tuo Spirito, perché là ove la dignità dell’uomo e la libertà di credere sono calpestate, non manchino cristiani coraggiosi che sappiano porsi come testimoni di verità e di amore. Per Cristo nostro Signore. Amen.


Signore Gesù, Fratello maggiore dei martiri,

grazie perché ora ci chiami a mettere i nostri passi

sui passi di nostro fratello Rolando che, pur amando immensamente la vita perché tuo dono, non ha esitato a rimetterla nelle tue mani, perché, anche quanti credevano di strappargliela, potessero aprire gli occhi del cuore e scoprire il tuo Volto nel suo volto sfigurato.

Nei martiri noi riconosciamo il punto d'incontro

tra la nostra responsabilità e la tua grazia; accettiamo lo scandalo del loro sangue versato che dona salvezza e vita; accogliamo la sconfitta del male che sembra vincere il bene; contempliamo il mistero delle tenebre sconfitto ed illuminato dalla luce.

Vogliamo seguirti in questo cammino di amore, per imparare dai nostri fratelli e sorelle, testimoni di perdono e di pace, che la croce, strumento di morte,

porta il Crocifisso, il nostro Signore Gesù, Salvatore risorto e vincitore di tutte le morti.

Illumina il nostro cuore con il tuo Spirito, perché i nostri passi non esitino a seguire le tue orme e di quanti ti hanno seguito su tutti i Calvari del mondo ed ora sono nella tua Vita. Amen


O Dio onnipotente ed eterno, che hai ispirato al beato martire Rolando il desiderio d'essere totalmente di Gesù, concedici, per sua intercessione, i doni del tuo Spirito, perché là ove la dignità dell’uomo e la libertà di credere sono calpestate, non manchino cristiani coraggiosi che sappiano porsi come testimoni di verità e d'amore. Per Cristo nostro Signore. Amen.

INNO DEDICATO AL BEATO ROLANDO MARIA RIVI SOLDATO DI CRISTO


Miles Christi parole e musica: Morgana Montermini Testo in latino: Enrico Monti


Nei tepori del bosco di primavera parlavi coi fiori, le piante e con Dio guardavi la luce delle braccia del sole toccare la terra e fare mille figure di angeli e fate e brillare sull'argento fra i grani d'amore pregando Maria questo bosco è un Altare questa vita è la mia dentro all'abito nero non esiste mistero. Un vento leggero sulle pagine sacre legge frasi in latino e le porta lontano anche a chi fa la guerra a chi ha odio nel cuore e che a forza di uccidere ha bruciato l'amore RIT: AMORE, SOLO PER AMORE, VENITE IN QUESTO BOSCO PER NON DIMENTICARE CERCATE L'AMORE NIENTE ODIO, MA AMORE PER RICUCIRE UN CUORE PERDONATE COL MIO NOME PREGATE E USATE AMORE Ma il sole ha una tenda che chiude nelle tempesta e nel bosco che prega scende un tuono di giorno anime senza più pace tracciano orme pesanti "a morte i preti e le suore, saran trofei in queste ore" Partigiani sconfitti senza casa ed onore urlano "lascia il tuo Dio e rinnega l'amore" togli l'abito nero brucia il sogno non vero la tua vita non conta e il tuo Dio non ti salva. Vola in alto una piuma che si stacca dal ramo è una foglia leggera che pronuncia il Tuo nome "perdona loro non sanno quello che stan facendo" e in quel momento la vita vola sulla Salita. RIT: AMORE, SOLO PER AMORE, VENITE IN QUESTO BOSCO PER NON DIMENTICARE CERCATE L'AMORE NIENTE ODIO, MA AMORE PER RICUCIRE UN CUORE PERDONATE COL MIO NOME PREGATE E USATE AMORE Ea die pugna fuit mortis cum vita miles Christi vicit gratiam donans (Quel giorno ci fu un duello fra la vita e la morte. Il soldato di Cristo ha vinto donando il perdono) Eos gratiam age quia non noscunt quod faciunt (perdona loro non sanno quello che stanno facendo) Eli Eli Amorem meum tibi, Deus, cum tota anima mea ex aeternitate dono (signore signore il mio amore a te o Dio con tutta la mia anima dono per l'eternità) Ego sum Miles Christi Ego sum Miles Christi Ego sum Miles Christi Ego sum Miles Christi.


Patrono, dei Chierichetti, ricorrenza della Liturgia il 29 maggio.


Beato Rolando Maria, prega, per noi.



Morto 


A soli quattordici tre mesi e sei giorni di vita.