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30 maggio, 1994

L' AMORE PER IL L'ALTRO FILM RITRATTO DI PADRE MASSIMILIANO MARIA KOLBE FRATE CAPUCCINO

L’uomo uscì dai ranghi – era il “numero 16670” – e con passo deciso si diresse verso il comandante del campo. Come un soffio di vento, un bisbiglio sommesso passò, da un “blocco” all’altro, per tutte le file del grande quadrato: «Chi è?»; «Che fa?»; «Ma cosa vuole?»; «È impazzito?». A ricordo dei superstiti più anziani di Auschwitz, nessuno, mai, senza un ordine preciso, aveva osato rompere le file, passare in mezzo ai compagni e soprattutto uscire sullo spiazzo aperto e muovere direttamente verso “Testa di mastino”.

L’infrazione alla ferrea disciplina del campo era così clamorosa e incredibile che avvennero due fatti altrettanto incredibili e clamorosi: il primo fu che nessuna delle numerose guardie che assistevano alla scena, use tutte a premere il grilletto alla prima mossa sospetta, lasciò partire un sol colpo; il secondo fu che il terribile Lagerführer Fritsch, vedendo venire verso di lui a passo fermo quell’uomo inerme, fece un balzo all’indietro estraendo fulmineamente dalla fondina la P38 dalla lunga canna: «Alt! – urlò con voce strozzata –. Cosa vuole da me questo porco polacco?».

 

Lungo le file del grande quadrato passò di nuovo un bisbiglio sommesso: «È padre Kolbe!…»; «Sicuro, è padre Massimiliano Kolbe!… »; «È il francescano di Niepokalanòw!… ».

Il “numero 16670” aveva finalmente un nome: padre Massimiliano Kolbe, fondatore di Niepokalanòw, la “città dell’Immacolata”. Ma cosa voleva dal purosangue germanico Fritsch quel «porco polacco»?

Si tolse il berretto e si pose dignitosamente sull’attenti davanti al comandante del campo. Era calmo e sorridente negli occhi dolci, alto al punto che la magrezza lo faceva allampanato, pallido in volto da parer diafano, la testa leggermente inclinata a sinistra.

Disse, quasi sottovoce: «Vorrei morire al posto di uno di quelli», e fece un cenno con la mano verso il gruppo dei dieci condannati al bunker, serrati fra gli sgherri.

 

Nello sguardo invasato di “Testa di mastino” passò l’ombra dello sbalordimento. Quello che aveva udito superava a tal punto ogni sua possibilità intellettiva, ch’ebbe, per qualche attimo, il dubbio di sognare. Eppure non sognava; e tuttavia lui, l’onnipotente che non ammetteva obiezioni ai suoi ordini, l’inflessibile che non ritornava mai su una decisione presa, il sanguinario che freddava chiunque recalcitrasse davanti a lui con un sol colpo della sua P38, lui, sotto la chiarezza di quello sguardo sereno, non trovò che una parola, per formulare una domanda.

«Warum?», (Perché?).

 

Non era mai accaduto che il Lagerführer Fritsch parlasse direttamente con un “numero” del suo campo, o, peggio, discutesse con lui.

Padre Kolbe comprese subito che un suo atteggiamento eroico, in quel momento, poteva guastare tutto. Meglio facilitare la ritirata del carnefice, che per la prima volta si trovava visibilmente in difficoltà, e spianargli la strada invocando un paragrafo non scritto, ma fondamentale, della legge nazista: i malati e i deboli devono essere liquidati.

«Sono vecchio, ormai, e buono a nulla
– rispose –. La mia vita non può più servire granché…».
«E per chi vuoi morire?», boccheggiò Fritsch, sempre più interdetto.

«Per lui. Ha moglie, lui, e ha bambini… », e indicò col dito, oltre la siepe degli elmetti d’acciaio delle SS, il sergente Francesco Gajowniczek, ancora singhiozzante, le mani avvinghiate alla fronte.

«Ma tu chi sei?», sbottò Fritsch.

«Un prete cattolico».

 

Non disse un religioso, non disse un francescano, non disse il fondatore della milizia dell’Immacolata. Semplicemente «un prete». E lo disse per umiltà. E per offrire a Fritsch un solido pretesto che giustificasse quel suo ritorno su una decisione già presa. Perché i preti, nella considerazione degli aguzzini di Auschwitz – se “considerazione” conserva ancora un significato, parlando di fatti avvenuti in quell’inferno recinto di filo spinato – i
preti, dicevo, occupavano la penultima bolgia; l’ultima essendo riservata, per diritto
di razza, agli ebrei. Ma dopo i «porci
ebrei» venivano subito i «porci preti»,
die schweinerische pfaffen, e ad essi erano imposti i lavori più sfibranti, e su di essi cadevano con maggior predilezione i colpi di staffile.

 

Umiliati, calpestati, ridotti a stracci umani, l’odio ideologico li braccava senza tregua come bestie rognose.
«Un pfaffe» (un prete), disse con un ghigno livido il Lagerführer, rivolgendosi a Palitsch. E in quel ghigno padre Kolbe lesse ormai la certezza che la sua richiesta sarebbe stata esaudita.

«Accetto», fu infatti la risposta di Fritsch; e Palitsch tracciò un rigo sul numero 5659 del sergente Gajowniczek, e lo sostituì nella lista col numero 16670 di padre Kolbe. Tutto era a posto. I conti tornavano. Ma il campo pareva impietrito nello stupore. Ad Auschwitz mai si era verificato il caso che un prigioniero avesse offerto la propria vita per un altro prigioniero a lui completamente sconosciuto. Per la prima volta, nel cupo regno dell’odio era esplosa la luce abbagliante d’un atto d’amore.

 

Box

Santi come creature umane

 

I primi cristiani e san Girolamo, Charles de Foucauld e padre Damiano, santa Giovanna d’Arco e san Tommaso Moro… e altri ancora. Sono decine le vite di santi (canonizzati e no) scritte a suo tempo da Gino Lubich, per il nostro periodico. Pubblicate a puntate, erano tra gli articoli più ricercati dai lettori, per essere poi raccolte in volume. La più fortunata di tutte, La vita raccontata di papa Giovanni, fa parte tuttora del catalogo della nostra editrice. Ma qual era il motivo di tanto successo? Lo spiegò una volta Gino stesso, all’inizio di questo suo impegno letterario, rispondendo alla domanda con quale criterio affrontava e scriveva questo tipo di biografie.

 

«Con l’unico criterio di far leggere queste vite anche a coloro – e sono i più, in quest’era del rotocalco – che alimentano le loro affrettate letture quasi esclusivamente di foraggio giornalistico, nelle confezioni dei reportages e dei memoriali. Un criterio esclusivamente pratico, dunque? E più di forma che di sostanza? Fino a un certo punto. Se ripenso all’impressione penosa lasciata in me tanti anni fa, nell’epoca della mia fanciullezza, dalla lettura di qualche vita di santo, letteralmente impaludata, e stucchevole per leziosità, allora mi coglie il sospetto che questo mio criterio sia una reazione a distanza a quel mio senso di malessere e risponda a quel lontano desiderio di liberare almeno qualcuno dei giganti del cristianesimo dai fondali oleografici su cui, troppo spesso allora, ma talvolta ancor oggi, vennero e vengono dipinti: figure rarefatte dai volti diafani, sguardi patetici rivolti all’insù e i piedi sfioranti nuvolette di candida bambagia; personaggi pulitini di storie così infallantemente celestiali dalla culla alla tomba, da far disperare chiunque di noi di poterli mai imitare; esseri disumanati, assolutamente estranei al comune modo di pensare, troppo alti e troppo eterei perché l’uomo della strada possa ancora sentirli come creature umane e amarli come fratelli.

 

«Fu dal giorno che qualcuno m’invitò a scrivere da giornalista le avventure di qualche santo, anziché le disavventure d’una Liz Taylor o i melanconici ricordi di un pezzo grosso a riposo, che m’accorsi, studiandoli, come i santi, pur nella loro vertiginosa statura spirituale, altro non siano stati che uomini come me e come noi tutti, fatti anch’essi di carne ed ossa, anch’essi tentati dai nostri stessi turbamenti, anch’essi soggetti alle nostre stesse grane; individui genuini, spontanei, pratici, umanissimi; col paradiso nel cuore, ma coi piedi piantati sulla terra. E così, inquadrati nei chiaroscuri della realtà d’ogni tempo, finalmente li ho amati; perché solo così li ho potuti amare, e amandoli ho compreso che, con l’aiuto di Dio, chiunque di noi – perfino io! – sol che lo si voglia, sol che cadendo non ci si afflosci ma ci si rialzi, possiamo diventare come loro… Ecco, questo è l’insegnamento autentico che io mi illudo possa sgorgare da quelle due o tre storie di santi, che, senza alcuna pretesa letteraria, ho messo insieme alla buona, usando lo stesso linguaggio piano e la stringatezza essenziale d’un cronista del nostro tempo, che bada solo alla realtà dei fatti. Perché fatti, solo fatti, esige di poter leggere l’affrettato lettore dell’era del rotocalco. Anche e soprattutto se i fatti riguardano i santi».





Franciszek Gajowniczek

Nel 1994, Gajowniczek visitò la Chiesa cattolica di St. Maximilian Kolbe a Houston, texas, dove disse al suo traduttore Cappellano Thaddeus Horbowy che "Finché ... ha respiro nei polmoni, avrebbe chiamato il suo dovere di raccontare alla gente l'eroico atto d'amore di Massimilliano Maria Kolbe. 



22 ottobre, 1992

Roberto Rivi Padre di Rolando Maria Rivi

Roberto Rivi Padre di Rolando Maria Rivi



Testimoni

San Valentino di Castellana, Reggio Emilia, 30 ottobre 1903 - 22 ottobre 1992

Si chiamava Roberto Rivi ed era nato a San Valentino di Castellana (Reggio Emilia), il 30 ottobre 1903, primo di numerosi fratelli, in una famiglia in cui la fede animava la vita e le opere di tutti i giorni.
Crebbe imparando, alla scuola di mamma Anna, una donna dalla vita cristiana splendida, a pregare quotidianamente la Madonna con il Rosario e a incontrare tutte le domeniche e poi ancor più sovente, Gesù, nella Messa e nella Comunione. Ben presto, il parroco, don Jemmi, divenne la sua guida spirituale.
Dopo le scuole elementari, Roberto rimase a casa a lavorare la campagna e a testimoniare la sua fede cristiana tra la sua gente. Era puro e leale come un cavaliere antico. A 20 anni, prestò servizio militare, passando anche alcuni mesi a Zara, nell’Istria, assai lontano da casa. Un tempo, questo del militare, lungo e duro, vissuto in ambienti difficili, ma sempre in fedeltà a Gesù, anche a costo di qualche sacrificio.
Rientrò in famiglia a San Valentino, a metà degli anni ’20, nel periodo in cui la Chiesa era guidata da Pio XI che cercava di organizzare la gioventù nell’Azione Cattolica. Roberto fece parte di quei giovani cattolici, appassionati, che si ispiravano anche ai martiri del Messico, i quali, proprio in quegli anni, cadevano sotto il piombo dei persecutori, gridando: “Viva Cristo re!”.
Ventiquattrenne, Roberto incontrò Albertina e la sposò, deciso a farsi una famiglia che avesse come centro Gesù quale Luce, Amore e Guida. Dopo un po’ vennero i figli che furono la sua più grande gioia. Il 7 gennaio 1931, gli nacque Rolando che si dimostrò subito un figlio speciale. Vivace, allegro, un vero spasso. A cinque anni, già serviva la Messa al parroco, don Olinto Marocchini e si vedeva che gli piaceva proprio stare in chiesa a pregare e a cantare le lodi del Signore.

Un uomo appassionato

Seppi che il suo papà si chiamava Roberto Rivi ed era nato a S. Valentino di Castellarano (Reggio Emilia), il 30 ottobre 1903, primo di numerosi fratelli. Crebbe, alla scuola di mamma Anna, una donna di fede ardente, a pregare ogni giorno la Madonna con il Rosario e a incontrare tutte le domeniche Gesù nella S. Messa e Comunione. La sua guida era il parroco don Jemmi.
Dopo le elementari, Roberto rimase a casa a lavorare la campagna e a testimoniare la fede cristiana tra la sua gente. A 20 anni, prestò servizio militare, passando anche alcuni mesi a Zara, nell’Istria, assai lontano da casa, vivendo in ambienti difficili, sempre in fedeltà a Gesù, a costo di qualsiasi sacrificio.
A metà degli anni ’20, era rientrato in famiglia a S. Valentino, proprio nel periodo in cui la Chiesa, guidata da Papa Pio XI, organizzava la gioventù nell’Azione Cattolica: anche Roberto fece parte di quei giovani appassionati. Ogni giorno, con la mamma Anna, partecipava alla Messa con la Comunione. Lo farà sino all’ultimo giorno della sua vita, preparandosi alla Comunione quotidiana con la Confessione settimanale e la preghiera personale.
Ventiquattrenne, Roberto aveva incontrato Albertina e la sposò, deciso a farsi una famiglia, che avesse come centro Gesù, Luce, Amore e Guida.
Quindi erano venuti i figli che furono la sua più grande gioia.

Un piccolo eroe

Quando a sette anni appena, il 16 luglio 1938, nella festa della Madonna del Carmelo, venerata in parrocchia, Rolandino ricevette la prima Comunione, fu davvero per lui una festa umile e solenne. Gesù diventava finalmente il suo intimo amico.
A scuola, guidato dalla maestra Clotilde Selmi, seppe dare buoni risultati, sostenuto da una vivace intelligenza, imparava con facilità e aiutava volentieri i compagni.
Era generosissimo con i poveri di passaggio, ai quali donava con larghezza, dicendo: “La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù”.
Papà Roberto era felice di un bambino così, proprio come lui voleva. Il 24 giugno 1940, dal Vescovo, Mons. Eduardo Bretoni, Rolando ricevette la Cresima. Si sentì ancora più impegnato per Cristo, un “soldato di Cristo”, come si diceva allora, e prese forti impegni con il Signore: la Messa e la Comunione quotidiana, la Confessione settimanale, il Rosario alla Madonna ogni giorno da solo o con la famiglia.
I suoi piccoli amici del borgo, Rolando cercava di portarli in chiesa, davanti al Tabernacolo e di condurli al catechismo, per crescere nella fede. Papà Roberto tra sé, si chiedeva: “Chi mai diventerà questo bambino?”. A 11 anni, dopo la V elementare, il ragazzino decise: “Voglio farmi prete. Papà, mamma, vado in Seminario”. Così, all’inizio dell’ottobre 1942, entrò in Seminario a Marola (Reggio Emilia) e vestì subito l’abito da prete, come allora s’usava.
Studiava con serietà, con la sua bella voce faceva parte del coro. Nei momenti liberi stava volentieri davanti all’Eucaristia, appassionato com’era della sua vocazione sentendosi un prediletto da Dio. A casa, in vacanza, durante l’estate, continuava a vivere da seminarista con fedeltà ai suoi impegni e facendo apostolato tra i suoi compagni.
Il papà era contento e orgoglioso che il buon Dio gli avesse donato un figlio così e già pregustava la gioia di vederlo sacerdote. Era felice di cantare in chiesa, quando Rolando suonava l’armonium e accompagnava i cantori durante le celebrazioni, la Messa e i Vespri.
Nel 1944, il Seminario, a causa della guerra, fu chiuso. Rolando tornò a casa e viveva, nonostante le difficoltà, la sua stessa vita, ardente e luminosa, sulle colline di San Valentino. A chi gli chiedeva di vestire come gli altri ragazzi, rispondeva: “Non posso lasciare la mia veste: è il segno che io appartengo al Signore”.
Il 10 aprile 1945, finì in mano ai comunisti a Monchio, in provincia di Modena. Lo portarono nella loro base e lo processarono. Lo schiaffeggiarono, lo percossero con la cinghia e gli tolsero l’abito religioso. Poi emisero la sentenza: “Uccidiamolo, avremo un prete in meno”. Lo portarono in un bosco presso Piane di Monchio. Qui scavata la fossa, mentre Rolando, in ginocchio pregava il suo Gesù per sé, per i genitori, per gli stessi aguzzini, questi lo presero a calci, poi con due colpi di pistola, uno al cuore e uno alla fronte, gli tolsero la vita. Era il 13 aprile 1945, quando Rolando Rivi, a 14 anni appena, fu freddato da due colpi di rivoltella, nel clima di odio contro la Chiesa e i sacerdoti. Era un venerdì, giorno dedicato alla morte di Gesù in croce. La veste da prete diventò, nelle mani dei comunisti, un trofeo che fu appeso sotto il porticato di una fattoria vicina.

Al di là dell’odio

Il papà, su quella immane tragedia, disse soltanto: “Perdono”. Era straziato, ma con la sua fede grandissima, riprese a vivere infondendo coraggio ai suoi e illuminando il dolore con la preghiera incessante, sentendosi quasi chiamato a compiere lui il bene al posto di Rolando.
Il martirio del figlio seminarista lo spinse ad impegnarsi a fondo, in prima persona, per costruire, negli anni del dopoguerra, una società cristiana. Nel tempo dell’immane conflitto, gli erano morti al fronte, lontanissimo da casa i due fratelli Rino e Adolfo, e in casa, la sorella Lina. Negli anni che verranno, altri lutti e dolori provarono la forte tempra e la fede invincibile di papà Roberto.
La sua vita stupiva chi lo avvicinava, perfino i sacerdoti, che lo stimavano e ne amavano la compagnia, e la sorella suora: “Con tutto quanto ha patito, come può essere così forte e sereno?”. La sua risposta era la Croce di Cristo.
Così papà Roberto portava la sua fede davanti a chiunque, sempre “uno con Gesù”: nella famiglia, nel lavoro, nei rapporti sociali, nel modo di intendere le cose e nelle scelte quotidiane. Una vera mentalità di fede, la sua, tradotta in semplicità interiore e letizia.
Gli anni passavano e la sua esistenza si faceva sempre traboccante di preghiera: molto spesso, forse ogni giorno, la Messa e la Comunione, in un colloquio lungo con Gesù per la Chiesa, per il mondo, per i sacerdoti, fino al punto di riconoscere con semplicità: “Io starei sempre davanti al Signore vivo, nel Tabernacolo”.
Nel cuore, una capacità grande di amare e di donare, sempre pronto ad aiutare chiunque come un fratello.
La Via Crucis diventò la sua preghiera preferita: la ripeteva anche più volte al giorno, tenendo la foto di suo figlio Rolando, tra le mani, ricordando al Divin Sofferente i suoi familiari, gli amici i sacerdoti e coloro che gli avevano fatto del male.
Si illuminava tutto quando parlava di Rolando e commuoveva chi lo ascoltava quando diceva: “Forse il Signore ha permesso così, perché Rolando non avesse a prendere una cattiva strada... l’ha voluto con Sé, tra i santi. Ho sofferto tanto, ma non sono arrabbiato con il Signore. Siamo sulla terra per compiere la sua volontà”.
Il 22 ottobre 1992, a 89 anni, papà Roberto rivedeva il suo Rolando e i suoi cari che lo avevano preceduto in Paradiso. Chi lo ha conosciuto di persona o chi semplicemente lo ha solo ascoltato poche volte al telefono, è rimasto incantato dalla sua fede granitica e dolce. Gesù solo, il Redentore dell’uomo, forma uomini così, Lui che ha assicurato: “Abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” (Giovanni 16:33).Con Gesù, vincitore del peccato, del dolore e della morte, anche papà Roberto, con il suo piccolo figlio martire, appare un vincitore.

19 luglio, 1992

Biografia di Paolo Borsellino

 Biografia di Paolo Borsellino

Paolo Emanuele Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio 1940. Il padre Diego era farmacista e dalla moglie Maria Pia avrebbe avuto, oltre a Paolo, i figli Salvatore, Adele e Rita. Fin da giovanissimo, per le strade del quartiere La Kalsa, Paolo comincia a frequentare il coetaneo Giovanni Falcone con cui da principio “gioca a pallone con gli altri ragazzi” e che ritroverà più tardi – dopo il diploma Classico – alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo.

Borsellino è studente irrequieto e attivo politicamente, tanto da far parte dei gruppi legati alla destra (Fronte Universitario di Azione Nazionale, MSI) con ruoli anche importanti. Ma per lui più della politica sono importanti gli studi. Si laurea in breve tempo e – vincendo il primo concorso di Magistratura nel 1963 –  a soli 23 anni, diviene il giudice più giovane d’Italia.

Nel 1968 sposa Agnese Piraino Leto e da lei ha tre figli: Lucia, nata nel 1969, Manfredi, classe 1971, e nel 1973 Fiammetta. Descritto spesso come padre amorevole e sempre presente, nonostante gli impegni di lavoro, Borsellino soffrì molto quando capì di essere il prossimo bersaglio dei boss. Il figlio Manfredi ricorda che divenne scostante, severo, freddo … come se volesse preparare la famiglia al distacco.

Dopo l’omicidio del collega e amico di una vita, Giovanni Falcone, il giudice Borsellino intensificò la propria attività di lotta contro la mafia ben sapendo di essere in pericolo ogni giorno. La vendetta dei boss arrivò, tuttavia, a sorpresa in un luogo che il giudice non poteva immaginare: davanti alla casa della sua anziana madre. Il tritolo devastò via D’Amelio nel pomeriggio del 19 luglio 1992. Borsellino e cinque agenti di scorta, tra cui la giovanissima Emanuela Loi, morirono per le gravi ferite riportate.

Misure di Paolo Borsellino

Di quest’uomo attivo e schivo si sa davvero poco, per cui scendere nel personale è difficilissimo. Ma si intuisce dalle foto che fosse di statura media, 175 cm circa, per un peso equilibrato di  75 kg. Portava con fierezza e attenta cura i baffi e spesso tra le labbra la immancabile sigaretta.

L’attentato del 19 luglio 1992

Mentre il giudice si recava a trovare l’anziana madre a casa sua in via D’Amelio, a Palermo, un’auto imbottita di esplosivo fu fatta saltare in aria alle 16:58. L’esplosione violentissima devastò l’intera strada, ruppe i vetri di quasi tutte le finestre del condominio di fronte. Sull’asfalto rimasero i corpi di Borsellino, degli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina. L’agente Agostino Vullo si salvò solo perché stava parcheggiando l’auto blindata poco lontano.

I funerali di Borsellino furono svolti in forma privata, in una chiesetta di periferia che il giudice amava tanto, mentre le esequie della scorta si tennero nella Cattedrale di Palermo. Tra feroci proteste, il popolo presente cercò di cacciare dalla chiesa i rappresentanti dello Stato, considerati dalla vedova del giudice e da molti parenti degli agenti di scorta come responsabili della “solitudine” di Borsellino.

La carriera

Il più giovane magistrato italiano, Paolo Borsellino, iniziò la propria carriera nel 1963. Lavorò presso i tribunali di Mazara del Vallo e di Monreale. Trasferito nuovamente a Palermo nel 1980, dovette seguire una delle indagini lasciate incomplete dal commissario Boris Giuliano ucciso pochi anni prima. La forte amicizia con Rocco Chinnici,con Antonino Caponnetto e con il collega Giovanni Falcone portò alla nascita del Pool Antimafia, che mirava a riunire i giudici istruttori che fino ad allora avevano sempre lavorato da soli, e più esposti.

Grazie al lavoro del Pool finirono sotto inchiesta 476 esponenti della mafia e questo aumentò il rischio per i giudici, specialmente per Falcone e Borsellino che lo guidavano. I due magistrati furono trasferiti all’Asinara per tenerli al riparo da possibili attentati. Subito dopo Borsellino fu trasferito alla Procura di Marsala. Nel 1987 però il Pool venne smantellato – ufficialmente per problemi di salute di Caponnetto – e da allora il lavoro divenne più a rischio per Borsellino e i colleghi.

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, i giudici furono “lasciati soli” , o almeno così loro percepirono il silenzio delle istituzioni intorno al loro lavoro. E mentre la mafia progettava attentati, Borsellino “rischiò” di essere eletto a Presidente della Repubblica: il partito MSI fece il suo nome, durante gli scrutini, e ottenne anche dei voti! Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone fu ucciso in un gravissimo attentato sull’autostrada nei pressi di Capaci e da allora, fino al giorno della morte, Borsellino lavorò da solo e consapevole che il prossimo a cadere sarebbe stato lui e morì a cinquantasette giorni dopo Giovanni Falcone.




23 maggio, 1992

BIOGRAFIA Giovanni Falcone

 BIOGRAFIA Giovanni Falcone



 Nato a Palermo il 18 maggio 1939, da Arturo, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e da Luisa Bentivegna, Giovanni Falcone conseguì la laurea in Giurisprudenza nell'Università di Palermo nell'anno 1961, discutendo con lode una tesi sull' "Istruzione probatoria in diritto amministrativo". Era stato prima, dal '54, allievo del Liceo classico "Umberto"; e quindi aveva compiuto una breve esperienza presso l'Accademia navale di Livorno. Dopo il concorso in magistratura, nel 1964, fu pretore a Lentini per trasferirsi subito come sostituto procuratore a Trapani, dove rimase per circa dodici anni. E in questa sede andò maturando progressivamente l'inclinazione e l'attitudine verso il settore penale: come egli stesso ebbe a dire, "era la valutazione oggettiva dei fatti che mi affascinava", nel contrasto con certi meccanismi "farraginosi e bizantini" particolarmente accentuati in campo civilistico. A Palermo, all'indomani del tragico attentato al giudice Cesare Terranova (25 settembre 1979), cominciò a lavorare all'Ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affidò nel maggio '80 le indagini contro Rosario Spatola, vale a dire un processo che investiva anche la criminalità statunitense, e che, d'altra parte, aveva visto il procuratore Gaetano Costa - ucciso poi nel giugno successivo - ostacolato da alcuni sostituti, al momento della firma di una lunga serie di ordini di cattura. Proprio in questa prima esperienza egli avvertì come nel perseguire i reati e le attività di ordine mafioso occorresse avviare indagini patrimoniali e bancarie (anche oltre oceano), e come, soprattutto, occorresse la ricostruzione di un quadro complessivo, una visione organica delle connessioni, la cui assenza, in passato, aveva provocato la "raffica delle assoluzioni". Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici fu ucciso con la sua scorta, in via Pipitone Federico; lo sostituì Antonino Caponnetto, il quale riprese l'intento di assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli nelle indagini sui delitti di mafia. Si costituì allora, per le necessità interne a queste indagini, il cosiddetto "pool antimafia", sul modello delle équipes attive nel decennio precedente di fronte al fenomeno del terrorismo politico. Del gruppo faceva parte, oltre lo stesso Falcone, e i giudici Di Lello e Guarnotta, anche Paolo Borsellino, che aveva condotto l'inchiesta sull'omicidio, nel 1980, del capitano del Carabinieri Emanuele Basile. Si può considerare una svolta, per la conoscenza non solo di determinati fatti di mafia, ma specialmente della struttura dell'organizzazione Cosa nostra, l'interrogatorio iniziato a Roma nel luglio '84 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro, del Nucleo operativo della Criminalpol, del "pentito" Tommaso Buscetta. I funzionari di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, furono uccisi nell'estate '85. Fu allora che si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati. I quali furono indotti, per motivi di sicurezza, a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell'Asinara. Si giunse così - attraverso queste vicende drammatiche - alla sentenza di condanna a Cosa nostra del primo maxiprocesso, emessa il 16 dicembre 1987 dalla Corte di assise di Palermo, presidente Alfonso Giordano, dopo ventidue mesi di udienze e trentasei giorni di riunione in camera di consiglio. L'ordinanza di rinvio a giudizio per i 475 imputati era stata depositata dall'Ufficio istruzione agli inizi di novembre di due anni prima. Gli avvenimenti successivi risentirono con tutta evidenza in senso negativo di tale successo. Nel gennaio il Consiglio superiore della magistratura preferì nominare a capo dell'Ufficio istruzione, in luogo di Caponnetto che aveva voluto lasciare l'incarico, il consigliere Antonino Meli. Il quale avocò a sé‚ tutti gli atti. Sopraggiunse poi un nuovo episodio ad accentuare ulteriormente le tensioni nell'ambito dell'Ufficio stesso, un episodio che ebbe gravissime conseguenze su tutte le indagini antimafia. In seguito alle confessioni del "pentito" catanese Antonino Calderone, che avevano determinato una lunga serie di arresti (comunemente nota come "blitz delle Madonie"), Il magistrato inquirente di Termini Imerese si ritenne incompetente, e trasmise gli atti all'Ufficio palermitano. Ma Meli, in contrasto con i giudici del pool, rinvio le carte a Termini, in quanto i reati sarebbero stati commessi in quella giurisdizione. La Cassazione, allo scorcio dell'88, ratificò l'opinione del consigliere istruttore, negando la struttura unitaria e verticistica delle organizzazioni criminose, e affermando che queste, considerate nel loro complesso, sono dotate di "un’ampia sfera decisionale, operano in ambito territoriale diverso ed hanno preponderante diversificazione soggettiva". Questa decisione sanciva giuridicamente la frantumazione delle indagini, che l'esperienza di Palermo aveva inteso superare. Il 30 luglio Falcone richiese di essere destinato a un altro ufficio. In autunno Meli gli rivolse l'accusa d'aver favorito in qualche modo il cavaliere del lavoro di Catania Carmelo Costanzo, e quindi sciolse il pool, come Borsellino aveva previsto fin dall'estate in un pubblico intervento,' peraltro censurato dal Consiglio superiore. I giudici Di Lello e Conte si dimisero per protesta. Su tutta questa vicenda del resto, nel giugno '92, Borsellino ebbe a ricordare: "La protervia del consigliere istruttore Meli l'intervento nefasto della Corte di cassazione cominciato allora e continuato fino a oggi, non impedirono a Falcone di continuare a lavorare con impegno". Nonostante simili avvenimenti, infatti, sempre nel corso dell'88, Falcone. aveva realizzato una importante operazione in collaborazione con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, denominata "lron Tower", grazie alla quale furono colpite le famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina. Il 20 giugno '89 si verificò il fallito e oscuro attentato dell'Addaura presso Mondello; a proposito del quale Falcone affermò "Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi". Seguì subito l'episodio, sconcertante, del cosiddetto "corvo", ossia di alcune lettere anonime dirette ad accusare astiosamente lo stesso Falcone e altri. Le indagini relative furono compiute anche dall'Alto commissario per la lotta alla mafia, guidato dal prefetto D. Sica. Una settimana dopo l'attentato il Consiglio superiore decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo. Nel gennaio '90 egli coordinò un'inchiesta che portò all'arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani, inchiesta che aveva preso l'avvio dalle confessioni del "pentito" Joe Cuffaro', il quale aveva rivelato che il mercantile Big John, battente bandiera cilena, aveva scaricato, nel gennaio '88, 596 chili di cocaina al largo delle coste di Castellammare del Golfo. Nel corso dell'anno si sviluppa lo "scontro" con Leoluca Orlando, originato dall'incriminazione per calunnia nei confronti del "pentito" Pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare europeo Salvo Lima. La polemica proseguì col ben noto argomento delle "carte nei cassetti": e che Falcone ritenne frutto di puro e semplice "cinismo politico". Alle elezioni del 1990 dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, Falcone, fu candidato per le liste "Movimento per la giustizia" e "Proposta 88" (nella circostanza collegate), con esito però negativo. Intanto, fattisi più aspri i dissensi con l'allora procuratore P. Giammanco - sia sul piano valutativo, sia su quello etico, nella conduzione delle inchieste - egli accolse l'invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, che aveva assunto l'interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero, assumendosi l'onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale. Si apriva così un periodo - dal marzo del 1991 alla morte - caratterizzato da una attività intensa, volta a rendere più efficace l'azione della magistratura nella lotta contro il crimine. Falcone si impegnò a portare a termine quanto riteneva condizione indispensabile del rinnovamento: e cioè la razionalizzazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento tra le varie procure. A quest'ultimo riguardo, caduta l'ipotesi iniziale,- di affidare il delicato compito alle procure generali, la costituzione di procure distrettuali facenti capo ai procuratori della Repubblica parve la soluzione più idonea. Ma si poneva altresì l'istanza di un coordinamento di livello nazionale. Istituita nel novembre del '91 la Direzione nazionale antimafia, sulle funzioni di questa il giudice dunque si soffermò anche nel corso della sua audizione al Palazzo dei Marescialli del 22 marzo '92. "Io Credo - egli chiarì in tale circostanza, secondo un resoconto della seduta pubblicato dal settimanale "L'Espresso" (7 giu. '92) - che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l'attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia". La sua candidatura a questi compiti, peraltro, fu ostacolata in seno al Consiglio superiore della magistratura, il cui plenum, tuttavia, non aveva ancora assunto una decisione definitiva, quando sopraggiunse la strage di Capaci del 23 maggio. Frattanto - giova ricordarlo - una sentenza della prima sezione penale della Corte suprema di cassazione il 30 gennaio, sotto la presidenza di Arnaldo Valente (relatore Schiavotti) aveva riconosciuto la struttura verticale di Cosa nostra, e quindi la responsabilità dei componenti della "cupola" per quei delitti compiuti dagli associati, che presuppongano una decisione al vertice; inoltre aveva ribadito la validità e l'importanza delle chiamate in correità. Insieme a Falcone, a Capaci, persero la vita la moglie Francesca Morvilio, magistrato, e gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. All'esecrazione dell'assassinio, il 4 giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente.


Fondazione Giovanni Falcone

21 settembre, 1990

Rosario Angelo Livatino

Rosario Livatino è nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, dal papà Vincenzo, laureato in legge e pensionato dell'esattoria comunale, e dalla mamma Rosalia Corbo. Rosario conseguì la laurea in Giurisprudenza all'Università di Palermo il 9 luglio 1975 a 22 anni col massimo dei voti e la lode. Il conseguimento della laurea, alla prima sessione utile, era solo la momentanea conclusione di una brillantissima carriera scolastica iniziata alla scuola elementare De Amicis, proseguita alla scuola media Verga e conclusa al Liceo Classico Ugo Foscolo di Canicattì sempre con voti e giudizi ottimi, compreso un lusinghiero "dieci" in matematica.

Il 21 aprile '90 conseguì con la lode il diploma universitario di perfezionamento in Diritto regionale.
Giovanissimo entra nel mondo del lavoro vincendo il concorso per vicedirettore in prova nella sede dell'Ufficio del Registro di Agrigento dove restò dal 1° dicembre 1977 al 17 luglio 1978. Nel frattempo però partecipa con successo al concorso in magistratura e superatolo lavora a Caltanissetta quale uditore giudiziario passando poi al Tribunale di Agrigento, dove per un decennio, dal 29 settembre '79 al 20 agosto '89, come Sostituto Procuratore della Repubblica, si occupò delle più delicate indagini antimafia, di criminalità comune ma anche (nell'85) di quella che poi negli anni '90 sarebbe scoppiata come la "Tangentopoli siciliana". Fu proprio Rosario Livatino, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per primo un ministro della Repubblica. Dal 21 agosto '89 al 21 settembre '90 Rosario Livatino prestò servizio al Tribunale di Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione. Dell'attività professionale di Rosario Livatino sono pieni gli archivi del periodo non solo del Tribunale di Agrigento ma anche degli altri uffici gerarchicamente superiori.

Molto rari gli interventi pubblici così come le immagini. Gli unici interventi pubblici, fuori dalle aule giudiziarie, che costituiscono una sorta di testamento sono rappresentati da "Il ruolo del Giudice in una società che cambia" del 7 aprile 1984 e "Fede e diritto" del 30 aprile 1986 (i documenti integrali sono consultabili nel libro “Il piccolo giudice. Fede e Giustizia in Rosario Livatino” di Ida Abate per Editrice Ave, nel libro “Non di pochi, ma di tanti. Riflessioni intorno alla Giustizia” di Salvatore Sciascia Editore”, mentre l'Associazione sta valutando l'utilità di ristamparli e diffonderli soprattutto tra i Magistrati). Rosario non volle mai far parte di club o associazioni di qualsiasi genere.

 Rosario Livatino fu ucciso, in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre '90 sul viadotto Gasena lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta mentre - senza scorta e con la sua Ford Fiesta amaranto - si recava in Tribunale. Per la sua morte sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti che sono stati tutti condannati, in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio, all'ergastolo con pene ridotte per i "collaboranti". Ergastoli sono stati inflitti agli esecutori Paolo Amico, Domenico Pace, Gaetano Puzzangaro, Salvatore Calafato, Gianmarco Avarello ed ai mandanti Antonio Gallea e Salvatore Parla. Tredici anni sono inflitti a Croce Benvenuto e Giovanni Calafato, entrambi collaboratori di giustizia.

Rimane ancora oscuro il “vero” contesto in cui è maturata la decisione di eliminare un giudice in influenzabile e corretto. Rosario Livatino è purtroppo solo la terza vittima innocente e illustre di Canicattì. Prima di lui, il 25 settembre 1988, stessa sorte toccò al presidente della Prima Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Palermo Antonino Saetta e al figlio Stefano trucidati in un agguato mafioso sempre sulla SS 640 AG-CL sul viadotto Giulfo mentre improvvisamente, senza scorta e con la sua auto, faceva rientro a Palermo dove abitava e lavorava. Per questo duplice omicidio dopo quasi dieci anni sono stati individuati e condannati con un unico processo i presunti mandanti ed esecutori superstiti.


La sua ricorrenza si celebra il 29 ottobre, giorno in cui nel 1988, a 36 anni, ricevette il sacramento della confermazione, come compimento di un travagliato percorso di fede che abbracciò da adulto con convinzione.

Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica.

Il giudice Rosario Angelo Livatino nel 1985


20 febbraio, 1989

Dichiarazione della signora Adelaide Roncalli

 Il 20 febbraio 1989 dichiarò quanto segue:

"Io sottoscritta Roncalli Adelaide nata a Ghiaie di Bonate Sopra (Bg) il 23 aprile 1937, nel quarantacinquesimo anniversario torno a dichiarare, come già più volte ho fatto in occasioni precedenti, che sono assolutamente convinta di aver avuto le Apparizioni della Madonna a Ghiaie di Bonate dal 13 al 31 Maggio 1944 quando avevo sette anni.
Le vicende da me dolorosamente vissute da allora, le offro a Dio ed alla legittima Autorità della Chiesa, alla quale sola appartiene di riconoscere o no quanto in tranquilla coscienza e in sicuro possesso delle mie facoltà mentali ritengo essere verità.
In fede Adelaide Roncalli
20 febbraio 1989."




31 agosto, 1988

LIN JALDATI lin Jaldati Lin Jaldati è lo pseudonimo di Rebekka Brilleslijper

LIN JALDATI lin Jaldati Lin Jaldati è lo pseudonimo di Rebekka Brilleslijper

 LIN JALDATI 

Lin JaldatiL in Jaldati è lo pseudonimo di Rebekka Brilleslijper. Nasce ad Amsterdam il 13 dicembre 1912 come figlia maggiore di Joseph (Jopie) Brilleslijper (Amsterdam, 27 febbraio 1891 - Auschwitz, 6 settembre 1944) e Fijtje (Fietje) Gerritse (Amsterdam, 14 gennaio 1891 - Auschwitz, 6 settembre 1944) ) e si chiamava Lin in giovinezza, dal nome di sua nonna che si chiamava anche ufficialmente Rebekah, ma si chiamava Lin. Anche i seguenti bambini facevano parte della famiglia di Jopie e Fietje: Marianne (Janny) (Amsterdam, 24 ottobre 1916 - 15 agosto 2003) e Jacob (Amsterdam, 7 giugno 1921 - Auschwitz, 30 settembre 1944). Rebekka morì a Berlino il 31 agosto 1988. Divenne famosa come ballerina e cantante olandese-tedesca di canzoni yiddish e per molti anni è stata l'unica cantante conosciuta nella Germania dell'Est con questo repertorio. gerrtisezeedijkJeugd Rebekka è nata nell'angolo Jodenhouttuinen di Uilenburgersteeg in un ambiente ebraico-socialista. Era una piccola casa con una pentola, dove il padre eseguiva vari mestieri. Il padre, secondo Rebekah, era un uomo con 12 professioni e 13 incidenti, ma un incorreggibile ottimista che vedeva sempre qualcosa di positivo quando qualcosa non funzionava. Padre e madre provenivano da ambienti diversi ed i genitori della madre, Jacob e Marianne Gerritse, erano più ricchi dei tagliatori di Brilles e proprietari di un negozio sullo Zeedijk. Erano contrari al matrimonio. Joseph e Fijtje si sono sposati comunque. Joseph aveva sempre un lavoro diverso e spesso nessun lavoro. La mamma era una bellezza. Era stata un'eccellente commessa nel negozio dei suoi genitori su Zeedijk. Alla fine, furono i nonni ad aiutare Giuseppe e ad assicurarsi che diventasse un servitore dell'azienda sullo Zeedijk. Nel 1916 la famiglia si trasferì e si stabilì all'angolo tra Weesperstraat e Nieuwe Kerkstraat, tra il commercio lattiero-caseario non kosher di Wennink e il commercio caseario kosher di Cardozo. Qui la mamma aprì un negozio dove, tra le altre cose, si vendeva il pesce. C'era sempre qualcosa da fare nella Nieuwe Kerkstraat, ma la Weesperstraat era molto affollata. E c'era un tram, la linea 8. Andava dalla stazione centrale attraverso il Jodenhoek fino alla stazione di Weesperpoort. Weesperstraat era piena di negozi. C'era il pasticcere di Snatager, e anche Nabarro conosceva bene i cioccolatini. Lin si ricordò delle frustate. Come Sari Sterrekoeker. Ha cantato canzoni beffarde e ha detto "E posso mentire bene e non posso dire la verità". E anche Japi Schapendief e Sara Scheefsnoet li ricorda. Prima di Pesach, i bambini del quartiere chiedevano chometz (avanzi di pane con lievito) che poi veniva bruciato davanti alla sinagoga. In famiglia all'epoca c'erano due figlie e sebbene non stessero bene, Lin ricordava le piacevoli passeggiate durante lo Shabbat nel parco vicino all'Hortus. Ricordava il Markensteeg, dove c'era sempre il mercato del pesce e il pesce che vi veniva venduto. Il Markensteeg era popolarmente chiamato Vissteeg. La scuola Lin è andata a scuola sulla Nieuwe Kerkstraat sull'altro lato della Weesperstraat, diagonalmente di fronte alla russa Sjoel. Quella era l'ex scuola pubblica per i poveri. Di fronte alla scuola c'era un negozio nel seminterrato che vendeva dolci. Potresti comprare delle chicche lì per mezzo centesimo. Lin era già in questa scuola quando, insieme a sua sorella, dovette stare con una zia. Dopo pochi giorni è potuta tornare a casa, è nato il suo fratellino Jacob. Otto giorni dopo l'intera casa fu decorata. Jacob ha ottenuto la sua Brismille - la sua circoncisione. Quando de Mohel era in casa, la cerimonia poteva iniziare. Giacobbe fu posto su un cuscino bianco e la preghiera fu recitata. De Mohel iniziò a cantare e si chinò sul bambino. All'improvviso, Giacobbe iniziò a piangere forte e la circoncisione finì. Ogni Mazeltov piangeva e Healthy rimarrà e fino a 120 anni, Omein. La bocca del bambino era ancora bagnata di vino. C'era una festa e buon cibo. Il Brismille è stato uno dei giorni più felici della famiglia nella memoria di Lin. Gli anni '20 progredirono e l'economia si deteriorò. Sempre più persone sono diventate disoccupate e la povertà è aumentata. Molti ebrei poveri venuti dalla Polonia e dalla Russia vivevano vicino alla scuola e in Manege Street. Questi ebrei parlavano solo yiddish e vivevano nel loro quartiere. È stato divertente quando hanno chiesto qualcosa in yiddish e hanno risposto in olandese. La mamma ha preparato grandi pentole di minestra venerdì. Aveva un profumo delizioso quando il pollo veniva cotto lentamente e si sentiva bussare regolarmente alla porta. La mamma dava la minestra a molti poveri del vicinato. Di fronte a Lin viveva una donna che ogni venerdì mangiava anche una padella. Con acqua. Era così povera, non aveva soldi per la zuppa, e così manteneva le apparenze per il vicinato con quella pentola bollente. La povertà era molto grande. Ma anche con Lin, Skraalhans divenne maestro di cucina. Sul tavolo non restava quasi più carne, al massimo il cuore o lo stomaco. Poiché le persone avevano meno soldi da spendere, il negozio ebbe meno successo. Mio padre ha lavorato di nuovo come servo per il nonno Jaap. Molti tagliatori di diamanti vivevano nella zona e anche quei laboratori erano nelle vicinanze. Tra loro c'erano molti disoccupati, l'era del Capo era finita, i lavoratori dei diamanti erano i più organizzati tra i lavoratori. Ha sperimentato il debutto come cantante di Lin quando si è unita al coro di bambini di Meijer Hamel. Due pomeriggi a settimana ha provato con questo coro in una scuola ebraica sulla Hoogstraat. Il tempo a Weesperstraat si è concluso. La casa, così come quella dei vicini, era stata venduta a una grande azienda, che voleva far demolire le case per costruire un grande negozio. I tagliatori di Brille dovettero andarsene e abbandonare il loro negozio. Si trasferirono a Rapenburgerstraat e andarono a vivere diagonalmente di fronte al nonno Jaap e al nonno Sien. Era una casa molto più grande, con persino un piccolo giardino. La migliore amica della fidanzata Lin era Jeanette Korper. Jeanette ha ballato nella discoteca di Florrie Rodrigo (Flora Rodrigues, Amsterdam, 3 settembre 1893 - 11 luglio 1996) sul Plantage Muidergracht. Anche Lin voleva andarci e siccome riceveva un quarto della paghetta alla settimana e ai suoi genitori non importava, poteva frequentare queste lezioni. Le lezioni di Florrie divennero la base della successiva carriera di ballo di Lin. Tuttavia, la grande casa di Rapenburgerstraat divenne troppo costosa e ne seguì un altro. La famiglia si trasferì a 125 Lange Leidsedwarsstraat nel 1925. Era una piccola casa e la casa non fu fortunata. La mamma si ammalò, quindi anche Lin dovette prendersi cura di sua madre. Jacob sviluppò un'infezione all'orecchio medio all'età di quattro anni e dovette essere operato. Poco dopo il nonno Jaap morì, il 18 dicembre 1925. Poco dopo la morte del nonno, la famiglia si trasferì a Marnixstraat. Frouke Stoppelman viveva sulla Kinkerstraat, nelle vicinanze. I suoi genitori avevano un'attività di scarpe e con Frouke andò in un campo giovanile ebraico, Hatsair, a Nunspeet. Lin si è divertito e ha imparato molto. Lavora alla scuola di danza verde Poco prima del suo quattordicesimo compleanno, la madre e Lin sono andate alla Geldersekade per visitare una fabbrica tessile di proprietà della famiglia Wolf. I bambini di età inferiore ai 14 anni non erano autorizzati a lavorare durante quel periodo, ma dopo il loro 14 ° compleanno lo erano. La fabbrica produceva camicie, biancheria intima e pigiami da uomo. Era un affare di famiglia. Lin è andata a lavorare lì come apprendista. La madre non poteva più far fronte alla famiglia da sola. È arrivata una cameriera e la famiglia ha ricevuto una telefonata. Janny aveva 10 anni e andava a scuola all'Overtoom. A Lin era concesso di trattenere 50 centesimi a settimana dai soldi che guadagnava. Non poteva più andare alla scuola di danza di Florrie Rodrigues, a causa di un problema tra Florrie e il padre, ma Florrie aveva consigliato la scuola di danza di Lili Green a 1 Pieter Pauwstraat. Lin ha chiamato Lili e le ha chiesto se poteva ballare. Era consentito il sabato successivo alle 10 del mattino. Lin ha mentito ai suoi genitori ed è andata a Pieter Pauwstraat. Di fronte all'edificio che ora sorge, qui c'era il cinema Alhambra. Ma prima dell'Alhambra qui c'era una specie di garage per le carrozze. Al fronte, Lili viveva con Henriëtte van Lennep. A casa loro c'era la grande sala da ballo con il pavimento in parquet. Henriette suonava il pianoforte a coda durante le lezioni, Lin chiuse gli occhi e improvvisò. Lili lo vide, e quando la musica si interruppe, disse che Florrie aveva ragione e che Lin apparteneva alla sua scuola di danza. Ma Lin era preoccupata perché non aveva abbastanza soldi per pagare le lezioni. Ma tutto era organizzato. Lin ha continuato a ballare con Lili, di cui il padre non era contento e ha cercato di farla finita più volte. E Lin è andato alle varie sale da ballo della città, come Bellevue in Marnixstraat, Karseboom in Amstelstraat e molte in Rembrandtsplein. Là ha ballato il charleston, il fondo nero e tutti i tipi di balli che erano di moda all'epoca. Eduard Verkade A un certo punto Eduard Verkade, amico di Lili e Henriette, stava cercando quattro ballerini per un minuetto per un'esibizione de "L'école des femmes" di Molière, e uno di loro è stato anche autorizzato a pronunciare due frasi. Ed è proprio per questo ruolo che è stata scelta Lin. Le prove si sono svolte in un vero teatro sul Plantage Middenlaan. Verkade aveva molta pazienza, perché Lin doveva combinare le prove con il suo lavoro e mantenere un segreto ai suoi genitori. Lavorare con Verkade è stato fantastico. Fientje Berghegge e Didi Cavinez hanno svolto il ruolo di protagonisti. Lili aveva già detto a Lin di usare il nome di un artista, perché Lientje Brilleslijper non poteva. Lin era perplessa sul nome di un artista e mentre beveva un caffè con un amico di David Mühlrad, iniziò a cantare una canzone ebraica che conosceva bene "Jalda Jaldati, Jaffa Jaldati" (ragazza, ragazza mia, ragazza mia bellissima). "Prendi Jaldati come in questa canzone", disse David. Lin Jaldati, suonava bene ed è così che Lin è diventato Lin Jaldati a Verkade nel tempo. Ai genitori di Lin non piaceva ancora la danza di Lin, il che portò a un'ulteriore espulsione. Lin è stata sempre più visitata da persone del mondo culturale ad Amsterdam e ad un certo punto ha anche visto il "Manifesto comunista", un manifesto che in seguito avrebbe avuto una chiara influenza sulla sua vita. La quantità di lavoro presso Wolf, l'azienda tessile, è diminuita. Lin andava lì solo la mattina e lavorava la metà di quanto aveva guadagnato lì. La disoccupazione è aumentata e ci sono state anche altre manifestazioni. Lin ha partecipato agli incontri della Marxist Workers 'School con Hans Verwer e attraverso Hans Lin ha incontrato il fotografo Bernard (Boris-red) Kowadlo (Plotzk, 2 dicembre 1911 - Porto, 29 maggio 1959). Bernard era un fotografo ebreo-polacco, appena immigrato e parlava pochissimo olandese. Con Bernard è andata all'associazione culturale ebraico-polacca Sch. Anski. In questa associazione un gruppo si è riunito ogni settimana per provare poesie, canzoni e spettacoli. L'associazione si riuniva nel seminterrato di un magazzino sulla Nieuwe Achtergracht e la lingua ufficiale era lo yiddish. In fuga dalla casa dei genitori Era il 1933 e molte cose sono cambiate, anche nella vita di Lin. Sempre più profughi venivano dalla Germania. La città divenne più irrequieta. Lin ha manifestato con i lavoratori di Amsterdam contro la proiezione di un film militarista dell'UFA al teatro Rembrandt. Si sono svolte manifestazioni contro la propaganda hitleriana. Lin si ritrovò a diventare sempre più politicamente consapevole. Nel frattempo, la crisi nella fabbrica tessile stava andando così male che a malapena aveva lavoro. Allo stesso tempo ha potuto guadagnare soldi come attrice di teatro, cantante o ballerina ed è entrata in una conversazione seria con il padre su questo. Gli spiegò tutto con calma, aspettandosi una risposta tranquilla. Ma papà si arrabbiò e disse che finché aveva qualcosa da dire su Lin, non sarebbe successo. Alla fine Lin fece i bagagli e se ne andò, senza dire dove a casa. Lin andò da Hans Verwer e lì fu accolto calorosamente e per il momento poté rimanerci. È diventata amica di Mik van Gilse, un olandese cresciuto a Berlino. Mik viveva al 522 di Keizersgracht e lì vivevano diversi artisti, come Eva Besnyö e Carl Blazer. A Lin piaceva visitare questo edificio. Per tutto il resto degli anni '30, Lin continua a lavorare alla sua carriera, cosa che riesce. Matrimonio Dal 1938 Lin si esibì come artista solista con il pianista Eberhard Rebling. Si innamorarono e lei sposò Rebling, per inciso dopo aver vissuto insieme per anni (cosa insolita all'epoca) il 16 gennaio 1946 ad Amsterdam. Rebling era un tedesco convertito al marxismo che si stabilì nei Paesi Bassi intorno al 1936. Con l'aiuto di concerti si è impegnato con i profughi ebrei dalla Germania. War Lin ed Eberhard avevano la sensazione che la guerra sarebbe iniziata prima della guerra, ma quando arrivò il momento si sentirono sconfitti. L'immagine dell'incendio di Rotterdam in particolare era indelebile per Lin. Era chiaro a Eberhard e Lin che Hitler avrebbe perso questa guerra, ma se questa sarebbe durata uno, due o tre anni? E come avrebbero superato quel periodo? Lin descrisse che nel gennaio 1941 tutti gli ebrei dovevano registrarsi. Sulla carta d'identità era stampigliata una J grassa. Da quel momento in poi, gli ebrei olandesi furono marchiati. Lin non si è registrata, nemmeno sua sorella Jannie, ma quando ha ottenuto la carta d'identità c'era scritto una J. Nel frattempo, anche le richieste di carte d'identità senza J. Lin hanno iniziato a occuparsene. Ad esempio, potrebbe spingerli indietro negli spogliatoi nelle piscine dal cubicolo vicino. Ma questo divenne difficile, perché dall'aprile 1941 agli ebrei non fu più permesso di entrare nelle piscine. Durante questo periodo Lin era incinta e l'8 agosto 1941 diede alla luce sua figlia Kathinka Anita. La situazione per gli ebrei divenne sempre più disastrosa. Het Joodsche Weekblad conteneva annunci che non apparivano sulla stampa tradizionale. Ad esempio, nel giornale del 27 marzo 1942 fu annunciato che era proibita l'associazione tra non ebrei ed ebrei, cosa che non fu pubblicata in nessun altro giornale. Gli ebrei iniziarono a vivere un'esistenza separata dalla vita ordinaria. Poco dopo divenne obbligatorio per gli ebrei indossare la stella di David. Si scatenò una tempesta di indignazione. Il quotidiano illegale “De Vonk” ha messo in circolazione centinaia di migliaia di stelle di carta di ebrei. Molti olandesi li indossavano per protesta. In alcune scuole, ragazzi e ragazze indossavano stelle gialle con RC (Cattolico Romano) o P (Protestante). Lin non ha mai indossato la stella, né Jannie e molti altri. Nel luglio 1942, la coppia e la loro figlia Kathinka poterono recarsi a Driftweg 2 a Naarden, alla casa "Het Hoge Nest" al confine di Huizen, lontano dal caos e dalla frenesia di Amsterdam e il giorno dopo una grande incursione in città. Quella casa fu affittata il 30 gennaio 1943 da Eberhard Rebling e dal suo amico Jan Hemelrijk. Nascondersi La coppia è rimasta attiva nella resistenza degli artisti. Avevano adottato un nome di copertina, Eberhard si chiamava Jean Jacques Bos e Lin si chiamava Carolina Anna van der Horst. L'High Nest era una grande casa. Al piano terra tre stanze con cucina, al primo piano quattro stanze con bagno e al piano sottotetto alcune stanze della servitù. L'ubicazione della casa era favorevole, su una collina, circondata da arbusti e alberi, con la casa successiva a 100 metri di distanza e l'ingresso sul retro costringeva i visitatori a camminare prima intorno alla casa. In "Het Hoge Nest" potevano ospitare diverse persone, compresi i parenti di Rebekka. Ad esempio, oltre a Eberhard, Lin e Kathinka, la sorella di Lin, Janny Brandes-Brilleslijper e suo marito Bob Brandes e i loro figli Robbie e Liselotte, padre Joseph e madre Fijtje Brilleslijper-Gerritse e fratello Jacob Brilleslijper vivevano lì. Oltre a questi membri della famiglia, Bram Texeira-de Mattos (Amsterdam, 31 maggio 1888 - Auschwitz, 31 gennaio 1944) e sua moglie Loes Texeira-de Mattos - Gompes (Amsterdam, 12 agosto 1890 - Auschwitz, 31 ottobre 1944) vivevano lì, la loro figlia Rita (Grietje) e suo marito Chaim Wolf Jäger, Paulina van der Werf-Walvis, Simon Isidoor van Kreveld (Amsterdam, 27 gennaio 1921) e Jetty Druijf (Amsterdam, 16 gennaio 1919 - Auschwitz, 3 ottobre 1944). Chi ha bisogno potrebbe andare all'High Nest. Almeno 17 persone vivevano lì, ma spesso più di 20. Di tutte queste persone, Bob Brandes era l'unico non ebreo e aveva un lavoro a Weesp e quindi forniva i soldi per questo nascondiglio. Gli acquisti furono fatti a Huizen, Laren e Blaricum e Janny e Lin, mai insieme, andavano in questi posti in bicicletta a giorni alterni. Ma non potevano comprare più che per una famiglia alla volta, ciò sarebbe sospetto.1 Tradimento Tuttavia, furono traditi. Il 10 luglio 1944, Eddy Moesbergen (Eduard Gijsbertus Moesbergen, Amsterdam, 26 giugno 1902 - Wellington, 8 novembre 1980) era alla porta, uno dei peggiori cacciatori ebrei. Moesbergen era attivo come cacciatore di ebrei dal marzo 1943 e membro della Colonne Henneicke, che aveva rintracciato circa 8000 ebrei tra marzo e ottobre 1943 e dfl. 7,50 per ebreo per il loro lavoro. Il 1 ° ottobre 1943 la colonna fu sciolta, ma alcuni dei Jodenhager rimasero attivi, incluso Eddy Moesbergen. Dal gennaio 1944 fu impiegato dalla polizia di Amsterdam e dal gennaio 1944 il salario del traditore per ebreo fu raddoppiato. Aveva ottenuto l'indirizzo ricattando una donna ad Amsterdam, dove in precedenza erano state trovate persone nascoste. Moesbergen non era solo quando si trovava sulla soglia di Het Hoge Nest. C'erano due ufficiali di Huizen e gli uomini dell'SD Harm Krikke e Willem Punt. Le persone nascoste sono state arrestate ma hanno potuto comunque portare i tre bambini in salvo. I clandestini furono prima portati nella prigione di Marnixstraat ad Amsterdam e deportati a Bergen-Belsen via Westerbork e Auschwitz. Rebling fugge durante il trasporto dei prigionieri sullo Spaarndammerdijk. L'auto si fermò lì ad un certo punto e sua cognata Janny si gettò tra le braccia di un poliziotto, Eberhard riuscì quindi a scappare. Auschwitz Willy e Rita Jäger erano gli unici residenti di Hoge Nest a Westerbork dietro. Willy era un fornaio e, dato che a Westerbork non c'erano più panettieri, avevano bisogno di lui lì. Gli altri furono mandati ad Auschwitz. Janny e Lien non sono stati uccisi lì. Il loro matrimonio misto e il fatto che abbiano avuto figli sono probabilmente la ragione. Inoltre, sono finiti ad Auschwitz in un momento in cui il fronte orientale si è spostato a ovest e i russi si sono avvicinati, il che ha portato allo sgombero di Auschwitz. Le sorelle Brilleslijper furono mandate a Bergen-Belsen. Bergen-Belsen A Bergen-Belsen le sorelle Rebekka e Jannie hanno incontrato Anne e Margot Frank. Rebekka e Jannie sono una delle ultime persone a vedere Anne viva. Jannie fu una delle persone che informò Otto Frank della morte delle sue figlie.2 Nel 1951 Otto Frank le chiese anche di scrivere i ricordi di sua figlia, e Rebekka e Otto rimasero in stretto contatto per molti anni. Degli abitanti di Het Hoge Nest, Eberhard Rebling, Lien Rebling - Brilleslijper, Bob Brandes, Janny Brandes - Brilleslijper, Puck van den Berg - Walvis, Willy e Rita Jäger ei tre bambini sono sopravvissuti alla guerra. Nel 1952 Eberhard e Lin emigrarono. Erano comunisti impegnati e andarono a Berlino Est con le loro figlie Kathinka e Jalda (1951). Lì, Lin è stata l'interprete della canzone yiddish e delle canzoni di Berthold Brecht per molti anni fino a quando il governo della Germania dell'Est l'ha bandita dal 1967. Ha imparato l'yiddish da Sch. Anski ad Amsterdam e nel campo di concentramento. Dopo la caduta della cortina di ferro, Lin Jaldati ha avuto molto successo con questo repertorio. Eberhard Rebling è stato aggiunto ai Giusti tra le nazioni a Yad Vashem a Gerusalemme come 444 ° tedesco. Con Bernard è andata all'associazione culturale ebraico-polacca Sch. Anski. In questa associazione un gruppo si è riunito ogni settimana per provare poesie, canzoni e spettacoli. L'associazione si riuniva nel seminterrato di un magazzino sulla Nieuwe Achtergracht e la lingua ufficiale era lo yiddish. In fuga dalla casa dei genitori Era il 1933 e molte cose sono cambiate, anche nella vita di Lin. Sempre più profughi venivano dalla Germania. La città divenne più irrequieta. Lin ha manifestato con i lavoratori di Amsterdam contro la proiezione di un film militarista dell'UFA al teatro Rembrandt. Si sono svolte manifestazioni contro la propaganda hitleriana. Lin si ritrovò a diventare sempre più politicamente consapevole. Nel frattempo, la crisi nella fabbrica tessile stava andando così male che a malapena aveva lavoro. Allo stesso tempo ha potuto guadagnare soldi come attrice di teatro, cantante o ballerina ed è entrata in una conversazione seria con il padre su questo. Gli spiegò tutto con calma, aspettandosi una risposta tranquilla. Ma papà si arrabbiò e disse che finché aveva qualcosa da dire su Lin, non sarebbe successo. Alla fine Lin fece i bagagli e se ne andò, senza dire dove a casa. Lin andò da Hans Verwer e lì fu accolto calorosamente e per il momento poté rimanerci. È diventata amica di Mik van Gilse, un olandese cresciuto a Berlino. Mik viveva al 522 di Keizersgracht e lì vivevano diversi artisti, come Eva Besnyö e Carl Blazer. A Lin piaceva visitare questo edificio. Per tutto il resto degli anni '30, Lin continua a lavorare alla sua carriera, cosa che riesce. Matrimonio Dal 1938 Lin si esibì come artista solista con il pianista Eberhard Rebling. Si innamorarono e lei sposò Rebling, per inciso dopo aver vissuto insieme per anni (cosa insolita all'epoca) il 16 gennaio 1946 ad Amsterdam. Rebling era un tedesco convertito al marxismo che si stabilì nei Paesi Bassi intorno al 1936. Con l'aiuto di concerti si è impegnato con i profughi ebrei dalla Germania. War Lin ed Eberhard avevano la sensazione che la guerra sarebbe iniziata prima della guerra, ma quando arrivò il momento si sentirono sconfitti. L'immagine dell'incendio di Rotterdam in particolare era indelebile per Lin. Era chiaro a Eberhard e Lin che Hitler avrebbe perso questa guerra, ma se questa sarebbe durata uno, due o tre anni? E come avrebbero superato quel periodo? Lin descrisse che nel gennaio 1941 tutti gli ebrei dovevano registrarsi. Sulla carta d'identità era stampigliata una J grassa. Da quel momento in poi, gli ebrei olandesi furono marchiati. Lin non si è registrata, nemmeno sua sorella Jannie, ma quando ha ottenuto la carta d'identità c'era scritto una J. Nel frattempo, anche le richieste di carte d'identità senza J. Lin hanno iniziato a occuparsene. Ad esempio, potrebbe spingerli indietro negli spogliatoi nelle piscine dal cubicolo vicino. Ma questo divenne difficile, perché dall'aprile 1941 agli ebrei non fu più permesso di entrare nelle piscine. Durante questo periodo Lin era incinta e l'8 agosto 1941 diede alla luce sua figlia Kathinka Anita. La situazione per gli ebrei divenne sempre più disastrosa. Het Joodsche Weekblad conteneva annunci che non apparivano sulla stampa tradizionale. Ad esempio, nel giornale del 27 marzo 1942 fu annunciato che era proibita l'associazione tra non ebrei ed ebrei, cosa che non fu pubblicata in nessun altro giornale. Gli ebrei iniziarono a vivere un'esistenza separata dalla vita ordinaria. Poco dopo divenne obbligatorio per gli ebrei indossare la stella di David. Si scatenò una tempesta di indignazione. Il quotidiano illegale “De Vonk” ha messo in circolazione centinaia di migliaia di stelle di carta di ebrei. Molti olandesi li indossavano per protesta. In alcune scuole, ragazzi e ragazze indossavano stelle gialle con RC (Cattolico Romano) o P (Protestante). Lin non ha mai indossato la stella, né Jannie e molti altri. Nel luglio 1942, la coppia e la loro figlia Kathinka poterono recarsi a Driftweg 2 a Naarden, alla casa "Het Hoge Nest" al confine di Huizen, lontano dal caos e dalla frenesia di Amsterdam e il giorno dopo una grande incursione in città. Quella casa fu affittata il 30 gennaio 1943 da Eberhard Rebling e dal suo amico Jan Hemelrijk. Nascondersi La coppia è rimasta attiva nella resistenza degli artisti. Avevano adottato un nome di copertina, Eberhard si chiamava Jean Jacques Bos e Lin si chiamava Carolina Anna van der Horst. L'High Nest era una grande casa. Al piano terra tre stanze con cucina, al primo piano quattro stanze con bagno e al piano sottotetto alcune stanze della servitù. L'ubicazione della casa era favorevole, su una collina, circondata da arbusti e alberi, con la casa successiva a 100 metri di distanza e l'ingresso sul retro costringeva i visitatori a camminare prima intorno alla casa. In "Het Hoge Nest" potevano ospitare diverse persone, compresi i parenti di Rebekka. Ad esempio, oltre a Eberhard, Lin e Kathinka, la sorella di Lin, Janny Brandes-Brilleslijper e suo marito Bob Brandes e i loro figli Robbie e Liselotte, padre Joseph e madre Fijtje Brilleslijper-Gerritse e fratello Jacob Brilleslijper vivevano lì. Oltre a questi membri della famiglia, Bram Texeira-de Mattos (Amsterdam, 31 maggio 1888 - Auschwitz, 31 gennaio 1944) e sua moglie Loes Texeira-de Mattos - Gompes (Amsterdam, 12 agosto 1890 - Auschwitz, 31 ottobre 1944) vivevano lì, la loro figlia Rita (Grietje) e suo marito Chaim Wolf Jäger, Paulina van der Werf-Walvis, Simon Isidoor van Kreveld (Amsterdam, 27 gennaio 1921) e Jetty Druijf (Amsterdam, 16 gennaio 1919 - Auschwitz, 3 ottobre 1944). Chi ha bisogno potrebbe andare all'High Nest. Almeno 17 persone vivevano lì, ma spesso più di 20. Di tutte queste persone, Bob Brandes era l'unico non ebreo e aveva un lavoro a Weesp e quindi forniva i soldi per questo nascondiglio. Gli acquisti furono fatti a Huizen, Laren e Blaricum e Janny e Lin, mai insieme, andavano in questi posti in bicicletta a giorni alterni. Ma non potevano comprare più che per una famiglia alla volta, ciò sarebbe sospetto.1 Tradimento Tuttavia, furono traditi. Il 10 luglio 1944, Eddy Moesbergen (Eduard Gijsbertus Moesbergen, Amsterdam, 26 giugno 1902 - Wellington, 8 novembre 1980) era alla porta, uno dei peggiori cacciatori ebrei. Moesbergen era attivo come cacciatore di ebrei dal marzo 1943 e membro della Colonne Henneicke, che aveva rintracciato circa 8000 ebrei tra marzo e ottobre 1943 e dfl. 7,50 per ebreo per il loro lavoro. Il 1 ° ottobre 1943 la colonna fu sciolta, ma alcuni dei Jodenhager rimasero attivi, incluso Eddy Moesbergen. Dal gennaio 1944 fu impiegato dalla polizia di Amsterdam e dal gennaio 1944 il salario del traditore per ebreo fu raddoppiato. Aveva ottenuto l'indirizzo ricattando una donna ad Amsterdam, dove in precedenza erano state trovate persone nascoste. Moesbergen non era solo quando si trovava sulla soglia di Het Hoge Nest. C'erano due ufficiali di Huizen e gli uomini dell'SD Harm Krikke e Willem Punt. Le persone nascoste sono state arrestate ma hanno potuto comunque portare i tre bambini in salvo. I clandestini furono prima portati nella prigione di Marnixstraat ad Amsterdam e deportati a Bergen-Belsen via Westerbork e Auschwitz. Rebling fugge durante il trasporto dei prigionieri sullo Spaarndammerdijk. L'auto si fermò lì ad un certo punto e sua cognata Janny si gettò tra le braccia di un poliziotto, Eberhard riuscì quindi a scappare. Auschwitz Willy e Rita Jäger erano gli unici residenti di Hoge Nest a Westerbork dietro. Willy era un fornaio e, dato che a Westerbork non c'erano più panettieri, avevano bisogno di lui lì. Gli altri furono mandati ad Auschwitz. Janny e Lien non sono stati uccisi lì. Il loro matrimonio misto e il fatto che abbiano avuto figli sono probabilmente la ragione. Inoltre, sono finiti ad Auschwitz in un momento in cui il fronte orientale si è spostato a ovest e i russi si sono avvicinati, il che ha portato allo sgombero di Auschwitz. Le sorelle Brilleslijper furono mandate a Bergen-Belsen. Bergen-Belsen A Bergen-Belsen le sorelle Rebekka e Jannie hanno incontrato Anne e Margot Frank. Rebekka e Jannie sono una delle ultime persone a vedere Anne viva. Jannie fu una delle persone che informò Otto Frank della morte delle sue figlie.2 Nel 1951 Otto Frank le chiese anche di scrivere i ricordi di sua figlia, e Rebekka e Otto rimasero in stretto contatto per molti anni. Degli abitanti di Het Hoge Nest, Eberhard Rebling, Lien Rebling - Brilleslijper, Bob Brandes, Janny Brandes - Brilleslijper, Puck van den Berg - Walvis, Willy e Rita Jäger ei tre bambini sono sopravvissuti alla guerra. Nel 1952 Eberhard e Lin emigrarono. Erano comunisti impegnati e andarono a Berlino Est con le loro figlie Kathinka e Jalda (1951). Lì, Lin è stata l'interprete della canzone yiddish e delle canzoni di Berthold Brecht per molti anni fino a quando il governo della Germania dell'Est l'ha bandita dal 1967. Ha imparato l'yiddish da Sch. Anski ad Amsterdam e nel campo di concentramento. Dopo la caduta della cortina di ferro, Lin Jaldati ha avuto molto successo con questo repertorio. Eberhard Rebling è stato aggiunto ai Giusti tra le nazioni a Yad Vashem a Gerusalemme come 444 ° tedesco. Con Bernard è andata all'associazione culturale ebraico-polacca Sch. Anski. In questa associazione un gruppo si è riunito ogni settimana per provare poesie, canzoni e spettacoli. L'associazione si riuniva nel seminterrato di un magazzino sulla Nieuwe Achtergracht e la lingua ufficiale era lo yiddish. In fuga dalla casa dei genitori Era il 1933 e molte cose sono cambiate, anche nella vita di Lin. Sempre più profughi venivano dalla Germania. La città divenne più irrequieta. Lin ha manifestato con i lavoratori di Amsterdam contro la proiezione di un film militarista dell'UFA al teatro Rembrandt. Si sono svolte manifestazioni contro la propaganda hitleriana. Lin si ritrovò a diventare sempre più politicamente consapevole. Nel frattempo, la crisi nella fabbrica tessile stava andando così male che a malapena aveva lavoro. Allo stesso tempo ha potuto guadagnare soldi come attrice di teatro, cantante o ballerina ed è entrata in una conversazione seria con il padre su questo. Gli spiegò tutto con calma, aspettandosi una risposta tranquilla. Ma papà si arrabbiò e disse che finché aveva qualcosa da dire su Lin, non sarebbe successo. Alla fine Lin fece i bagagli e se ne andò, senza dire dove a casa. Lin andò da Hans Verwer e lì fu accolto calorosamente e per il momento poté rimanerci. È diventata amica di Mik van Gilse, un olandese cresciuto a Berlino. Mik viveva al 522 di Keizersgracht e lì vivevano diversi artisti, come Eva Besnyö e Carl Blazer. A Lin piaceva visitare questo edificio. Per tutto il resto degli anni '30, Lin continua a lavorare alla sua carriera, cosa che riesce. Matrimonio Dal 1938 Lin si esibì come artista solista con il pianista Eberhard Rebling. Si innamorarono e lei sposò Rebling, per inciso dopo aver vissuto insieme per anni (cosa insolita all'epoca) il 16 gennaio 1946 ad Amsterdam. Rebling era un tedesco convertito al marxismo che si stabilì nei Paesi Bassi intorno al 1936. Con l'aiuto di concerti si è impegnato con i profughi ebrei dalla Germania. War Lin ed Eberhard avevano la sensazione che la guerra sarebbe iniziata prima della guerra, ma quando arrivò il momento si sentirono sconfitti. L'immagine dell'incendio di Rotterdam in particolare era indelebile per Lin. Era chiaro a Eberhard e Lin che Hitler avrebbe perso questa guerra, ma se questa sarebbe durata uno, due o tre anni? E come avrebbero superato quel periodo? Lin descrisse che nel gennaio 1941 tutti gli ebrei dovevano registrarsi. Sulla carta d'identità era stampigliata una J grassa. Da quel momento in poi, gli ebrei olandesi furono marchiati. Lin non si è registrata, nemmeno sua sorella Jannie, ma quando ha ottenuto la carta d'identità c'era scritto una J. Nel frattempo, anche le richieste di carte d'identità senza J. Lin hanno iniziato a occuparsene. Ad esempio, potrebbe spingerli indietro negli spogliatoi nelle piscine dal cubicolo vicino. Ma questo divenne difficile, perché dall'aprile 1941 agli ebrei non fu più permesso di entrare nelle piscine. Durante questo periodo Lin era incinta e l'8 agosto 1941 diede alla luce sua figlia Kathinka Anita. La situazione per gli ebrei divenne sempre più disastrosa. Het Joodsche Weekblad conteneva annunci che non apparivano sulla stampa tradizionale. Ad esempio, nel giornale del 27 marzo 1942 fu annunciato che era proibita l'associazione tra non ebrei ed ebrei, cosa che non fu pubblicata in nessun altro giornale. Gli ebrei iniziarono a vivere un'esistenza separata dalla vita ordinaria. Poco dopo divenne obbligatorio per gli ebrei indossare la stella di David. Si scatenò una tempesta di indignazione. Il quotidiano illegale “De Vonk” ha messo in circolazione centinaia di migliaia di stelle di carta di ebrei. Molti olandesi li indossavano per protesta. In alcune scuole, ragazzi e ragazze indossavano stelle gialle con RC (Cattolico Romano) o P (Protestante). Lin non ha mai indossato la stella, né Jannie e molti altri. Nel luglio 1942, la coppia e la loro figlia Kathinka poterono recarsi a Driftweg 2 a Naarden, alla casa "Het Hoge Nest" al confine di Huizen, lontano dal caos e dalla frenesia di Amsterdam e il giorno dopo una grande incursione in città. Quella casa fu affittata il 30 gennaio 1943 da Eberhard Rebling e dal suo amico Jan Hemelrijk. Nascondersi La coppia è rimasta attiva nella resistenza degli artisti. Avevano adottato un nome di copertina, Eberhard si chiamava Jean Jacques Bos e Lin si chiamava Carolina Anna van der Horst. L'High Nest era una grande casa. Al piano terra tre stanze con cucina, al primo piano quattro stanze con bagno e al piano sottotetto alcune stanze della servitù. L'ubicazione della casa era favorevole, su una collina, circondata da arbusti e alberi, con la casa successiva a 100 metri di distanza e l'ingresso sul retro costringeva i visitatori a camminare prima intorno alla casa. In "Het Hoge Nest" potevano ospitare diverse persone, compresi i parenti di Rebekka. Ad esempio, oltre a Eberhard, Lin e Kathinka, la sorella di Lin, Janny Brandes-Brilleslijper e suo marito Bob Brandes e i loro figli Robbie e Liselotte, padre Joseph e madre Fijtje Brilleslijper-Gerritse e fratello Jacob Brilleslijper vivevano lì. Oltre a questi membri della famiglia, Bram Texeira-de Mattos (Amsterdam, 31 maggio 1888 - Auschwitz, 31 gennaio 1944) e sua moglie Loes Texeira-de Mattos - Gompes (Amsterdam, 12 agosto 1890 - Auschwitz, 31 ottobre 1944) vivevano lì, la loro figlia Rita (Grietje) e suo marito Chaim Wolf Jäger, Paulina van der Werf-Walvis, Simon Isidoor van Kreveld (Amsterdam, 27 gennaio 1921) e Jetty Druijf (Amsterdam, 16 gennaio 1919 - Auschwitz, 3 ottobre 1944). Chi ha bisogno potrebbe andare all'High Nest. Almeno 17 persone vivevano lì, ma spesso più di 20. Di tutte queste persone, Bob Brandes era l'unico non ebreo e aveva un lavoro a Weesp e quindi forniva i soldi per questo nascondiglio. Gli acquisti furono fatti a Huizen, Laren e Blaricum e Janny e Lin, mai insieme, andavano in questi posti in bicicletta a giorni alterni. Ma non potevano comprare più che per una famiglia alla volta, ciò sarebbe sospetto.1 Tradimento Tuttavia, furono traditi. Il 10 luglio 1944, Eddy Moesbergen (Eduard Gijsbertus Moesbergen, Amsterdam, 26 giugno 1902 - Wellington, 8 novembre 1980) era alla porta, uno dei peggiori cacciatori ebrei. Moesbergen era attivo come cacciatore di ebrei dal marzo 1943 e membro della Colonne Henneicke, che aveva rintracciato circa 8000 ebrei tra marzo e ottobre 1943 e dfl. 7,50 per ebreo per il loro lavoro. Il 1 ° ottobre 1943 la colonna fu sciolta, ma alcuni dei Jodenhager rimasero attivi, incluso Eddy Moesbergen. Dal gennaio 1944 fu impiegato dalla polizia di Amsterdam e dal gennaio 1944 il salario del traditore per ebreo fu raddoppiato. Aveva ottenuto l'indirizzo ricattando una donna ad Amsterdam, dove in precedenza erano state trovate persone nascoste. Moesbergen non era solo quando si trovava sulla soglia di Het Hoge Nest. C'erano due ufficiali di Huizen e gli uomini dell'SD Harm Krikke e Willem Punt. Le persone nascoste sono state arrestate ma hanno potuto comunque portare i tre bambini in salvo. I clandestini furono prima portati nella prigione di Marnixstraat ad Amsterdam e deportati a Bergen-Belsen via Westerbork e Auschwitz. Rebling fugge durante il trasporto dei prigionieri sullo Spaarndammerdijk. L'auto si fermò lì ad un certo punto e sua cognata Janny si gettò tra le braccia di un poliziotto, Eberhard riuscì quindi a scappare. Auschwitz Willy e Rita Jäger erano gli unici residenti di Hoge Nest a Westerbork dietro. Willy era un fornaio e, dato che a Westerbork non c'erano più panettieri, avevano bisogno di lui lì. Gli altri furono mandati ad Auschwitz. Janny e Lien non sono stati uccisi lì. Il loro matrimonio misto e il fatto che abbiano avuto figli sono probabilmente la ragione. Inoltre, sono finiti ad Auschwitz in un momento in cui il fronte orientale si è spostato a ovest e i russi si sono avvicinati, il che ha portato allo sgombero di Auschwitz. Le sorelle Brilleslijper furono mandate a Bergen-Belsen. Bergen-Belsen A Bergen-Belsen le sorelle Rebekka e Jannie hanno incontrato Anne e Margot Frank. Rebekka e Jannie sono una delle ultime persone a vedere Anne viva. Jannie fu una delle persone che informò Otto Frank della morte delle sue figlie.2 Nel 1951 Otto Frank le chiese anche di scrivere i ricordi di sua figlia, e Rebekka e Otto rimasero in stretto contatto per molti anni. Degli abitanti di Het Hoge Nest, Eberhard Rebling, Lien Rebling - Brilleslijper, Bob Brandes, Janny Brandes - Brilleslijper, Puck van den Berg - Walvis, Willy e Rita Jäger ei tre bambini sono sopravvissuti alla guerra. Nel 1952 Eberhard e Lin emigrarono. Erano comunisti impegnati e andarono a Berlino Est con le loro figlie Kathinka e Jalda (1951). Lì, Lin è stata l'interprete della canzone yiddish e delle canzoni di Berthold Brecht per molti anni fino a quando il governo della Germania dell'Est l'ha bandita dal 1967. Ha imparato l'yiddish da Sch. Anski ad Amsterdam e nel campo di concentramento. Dopo la caduta della cortina di ferro, Lin Jaldati ha avuto molto successo con questo repertorio. Eberhard Rebling è stato aggiunto ai Giusti tra le nazioni a Yad Vashem a Gerusalemme come 444 ° tedesco.