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25 maggio, 2019

Buon compleanno Padre Pio. Pietrelcina 25 maggio 1887

 Buon compleanno Padre Pio. Pietrelcina 25 maggio 1887

Scritto da

 Simona Marmorino


Pietrelcina: è qui che è nato Padre Pio

È qui che è nato Padre Pio, è qui che ha vissuto da bambino ed adolescente, è qui che è tornato tante volte, studente cappuccino, negli anni della formazione religiosa e poi quelli del primo sacerdozio, ogni volta che i medici stabilivano che solo l’aria salutare del paese natale poteva aiutare la sua salute così spesso vacillante. “Io di Pietrelcina ricordo pietra su pietra, la tengo tutta chiusa nel mio cuore” diceva Padre Pio.

Una famiglia di contadini, quella dove era nato Francesco quarto di 7 figli. Il padre Grazio Maria Forgione aveva allora 26 anni e la madre Maria Giuseppa De Nunzio 28. Come si usava allora, e come prima dopo per i fratelli e le sorelle, venne al mondo nell’umile e povera casa in Vico Storto Valle al numero 27, nel rione castello, che è la parte più  alta di Pietrelcina: piccole abitazioni antiche di secoli, costruite con la stessa pietra grigia su cui sorgono, addossate l’una all’altra in lunghe file che danno su vicoli e vicoletti ombrosi. Una casa che in realtà era solo la camera da letto dei genitori e un altro locale: 13 metri quadri in tutti col pavimento in terra battuta, il soffitto di tavole e cannucce e una finestra che dà sulla valle piena di luce.

Era stata sufficiente quando i Forgione erano solo due giovani sposi, ma puoi Grazio, che aveva solo una minuscola Masseria a Piana romana, un solo locale e qualche etto di terra, dovette migrare in america a New York per guadagnare e comprare a Pietrelcina un altro pezzo di casa, una porta più in là, dove fare la cucina, la sala da pranzo e anche la stanza dei ragazzi più grandi. Intanto mamma Peppa  stava lì al paese con i figli da tirar grandi,con il campo da lavorare e le poche pecore di cui occuparsi per poter vivere.

Papà Grazio

Papà Grazio era nato a Pietrelcina il 22 ottobre del 1870, era un contadino ma risultava iscritto all’anagrafe del comune come possidente per via delle case di vico storto Valle e della Masseria di Piano Romana, quel locale in cui ripararsi d’estate e custodire gli attrezzi con i muri di pietra grezza e il pavimento di ciottoli, ma anche per l’annesso fazzoletto di terra coltivato a grano e vigna con quattro pecore e una capra.Era tanto buono non sapeva far male a nessuno, neppure ad una formica, che riusciva a scansare per non schiacciarla. Aveva tanta fede in Dio e un’innata religiosità; non mangiava mai carne di venerdì e in quaresima, si asteneva dal bere liquori, vino e perfino il latte, si  imponeva severe penitenze. Tra le giovinette del rione Castello scelse Maria Giuseppa De nunzio, una “massaia”.

Mamma Peppa

Mamma Peppa anche lei era popolana ma con tratti da signora. All’anagrafe era Maria Giuseppa De Nunzio. I paesani la ricordano come una donna dal fisico snello che nonostante la grande povertà, era sempre in ordine e con in testa un fazzoletto bianco fresco di bucato che cambiava tutti i giorni. Sì preparò alle nozze secondo le tradizioni, e affido alla Madonna della Libera, patrona del paese, la sua famiglia nascente.

Dopo il matrimonio le sue giornate cominciano ad essere davvero intense; Ai primi chiarori dell’alba si recava più volte alla fontana, con una grossa blocca sulla testa, per fare la provvista dell’acqua, poi se non c’era pane nella madia preparava due grosse pagnotte  che portava a cuocere al forno del rione, oppure, lavava le lenzuola e i panni da lavoro di marito.

Il giorno della nascita di Padre Pio, il 25 maggio 1887, mamma Peppa stava lavorando in campagna col marito quando avverti le prime doglie. Gli disse di non preoccuparsi di finire il lavoro, mentre lei si avviava a piedi da Piana Romana per scendere giù dal paese. Qui si mise a letto e come già aveva fatto per gli altri figli, mandò a chiamare la levatrice. Erano le 5 del pomeriggio quando la lavatrice le disse “Peppa il bambino è nato avvolto in un velo bianco ed è un buon segno: sarà un bimbo grande fortunato” Quella ingenua predilezione ai è poi rivelata davvero profetica.

09 maggio, 2019

Aldo Moro, devoto e discepolo di Padre Pio

 Prima d'essere ucciso ha compreso il senso dell’offerta vittimale.

Il mistico Cappuccino in tre circostanze previde la sua morte violenta.


Scritto da Francesco Bosco

Per tanti anni ha festeggiato il suo compleanno il 23 settembre, ignaro che in quella data avrebbe terminato il suo cammino terreno Padre Pio, di cui era molto devoto. Aldo Moro lo incontrò per l’ultima volta il 15 maggio 1968. Era in Puglia per la campagna elettorale nella sua storica circoscrizione per la Camera dei Deputati, la Bari – Foggia. Stava per concludersi la quarta legislatura dell’era repubblicana, di cui lo statista di Maglie era stato l’indiscusso protagonista. Infatti, dopo un governo balneare monocolore DC guidato da Giovanni Leone, i tre successivi, tutti quadripartito (DC, PSI, PSDI e PRI), furono presieduti da Moro, che rimase ininterrottamente a Palazzo Chigi fino al naturale scioglimento delle Camere. Le numerose foto di quel 15 maggio 1968 consegnano alla storia l’immagine di un colloquio sereno, cordiale.


Lo stesso leader politico ricordò «con commozione la benevolenza» che gli aveva riservato il Frate stimmatizzato, nel telegramma di cordoglio inviato al convento di San Giovanni Rotondo nel settembre di quell’anno (cfr. Positio super virtutibus, vol. I/1, p 51). Certamente il Presidente del Consiglio non poteva prevedere che quello sarebbe stato un addio. Il mistico Cappuccino, invece, sapeva quello che sarebbe accaduto dieci anni dopo. Lo ha rivelato Giovanni Gigliozzi in un’intervista che mi ha concesso nel 2002, parlandomi di un episodio avvenuto nel 1960: «Nel corridoio della cella di Padre Pio c’era un tavolo di vimini. Sul tavolo di vimini c’erano dei giornali. Padre Pio si soffermò un istante, guardò la copertina di uno di questi giornali, poi si portò le mani davanti alla faccia e disse: “Dio, quanto sangue… quanto sangue… quanto sangue!”. Su quel giornale c’era la foto di Aldo Moro. Poi ho capito». Lo ha confermato una confidenza di padre Tarcisio da Cervinara a padre Marciano Morra e riportata da quest’ultimo nel suo libro Con Padre Pio a tu per tu. In un pomeriggio imprecisato del 1954, mentre si recava in chiesa per confessare, il Frate stigmatizzato si fermò, si irrigidì e rimase per pochi istanti con gli occhi sbarrati, come se stesse fissando qualcosa, e gridò: «Morooo!… Morooo!… Si muoreee!…».

Quindi tornò in sé e riprese a camminare, come se nulla fosse accaduto. Padre Tarcisio, che lo accompagnava, chiese spiegazioni per quel singolare comportamento. Ma non ottenne risposta. Nei giorni seguenti Padre Pio si chiuse in un insolito silenzio e non manifestò nessuno dei suoi consueti tratti di buonumore. Secondo l’avvocato Nicola Giampaolo, postulatore e incaricato di raccogliere la documentazione per la Causa di beatificazione e canonizzazione dell’esponente democristiano, «san Pio da Pietrelcina, durante una visita dello stesso statista a San Giovanni Rotondo, gli avrebbe preannunciato l’orrenda morte» anche personalmente (Aldo Moro. Un cristiano verso l’altare, p.61).


Il leader politico pugliese può essere certamente annoverato tra gli autentici devoti del Cappuccino stigmatizzato. Sono, infatti, documentati almeno tre suoi viaggi-pellegrinaggi a San Giovanni Rotondo: il primo negli anni Cinquanta, l’ultimo il 6 giugno 1976, per pregare sulla tomba di Padre Pio, poco più di un mese dopo le dimissioni dal suo ultimo mandato di presidente del Consiglio dei Ministri. Lo si deduce anche dalla testimonianza di monsignor Antonio Mennini, all’epoca vice parroco di Santa Lucia, oggi nunzio apostolico in servizio presso la Segreteria di Stato, che in un’intervista rilasciatami il 20 settembre scorso ha raccontato che spesso il suo amico Aldo Moro, «parlando della situazione italiana, diceva che, se ad una stagione di diritti non fosse subentrata una stagione di doveri, certamente il popolo italiano sarebbe andato incontro a molte difficoltà e aggiungeva: “Avremmo bisogno di santi come Padre Pio per sfuggire soprattutto alla morsa dell’egoismo”».

Sicuramente il giurista pugliese ha sempre seguito la stella polare del Vangelo nel suo percorso di impegno sociale e politico, a cominciare dalla sua adesione alla FUCI, nel novembre del 1934, subito dopo l’iscrizione alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, divenendone il presidente del circolo cittadino. Anche in questo ambito, come nel brillante e rapido curriculum di studente, il giovane Moro presto si fece notare per le sue doti di serietà e di impegno, soprattutto nell’organizzare il XXII Congresso nazionale FUCI, che si svolse nel capoluogo pugliese nel 1936. Per questo, tre anni dopo, Papa Pio XII lo nominò presidente nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, su suggerimento dell’allora mons. Giovanni Battista Montini, ex assistente ecclesiastico generale della FUCI nonché convinto estimatore di Padre Pio (cfr. Paolo VI, futuro santo e devoto di Padre Pio, in Voce di Padre Pio, settembre 2018, pp. 28-31). Un altro passo significativo nell’evoluzione del pensiero sociale di Moro, a due anni dall’inizio della sua carriera di docente universitario, è la partecipazione alla “Settimana teologica per laici”, che si svolse dal 18 al 24 luglio del 1943 presso l’eremo benedettino di Camaldoli, dove si riunirono circa 30 intellettuali cattolici (economisti, giuristi, sociologi, tecnici e dirigenti). Ne scaturì un documento programmatico, denominato appunto “Codice di Camaldoli”, da cui trasse ispirazione l’azione politica della Democrazia Cristiana. Tale percorso formativo ha orientato il pensiero del professore di Maglie, dal suo ingresso nel palazzo di Montecitorio come deputato dell’Assemblea Costituente fino all’ultimo giorno di prigionia nelle mani delle Brigate rosse, inducendolo alla costante e ostinata ricerca del dialogo per cercare di conquistare la convergenza tra i partiti, ravvisando in questa linea l’essenza della democrazia. Con la stessa coerenza egli riuscì a mantenere sempre viva la sua fede, come dimostra la corona del Rosario, visibilmente consumata, e la catenina con una medaglietta della Madonna, ritrovate nella Renault 4 rossa, accanto al suo corpo. E come confermano le parole, scritte nelle sue lettere durante il sequestro, che ricalcano la spiritualità di Padre Pio: «Ho solo capito in questi giorni che vuol dire che bisogna aggiungere la propria sofferenza alla sofferenza di Gesù Cristo per la salvezza del mondo». Questa fede gli ha dato la forza persino di perdonare i suoi sequestratori (cfr. A. VENEZIA – N. GIAMPAOLO, Occhi al Cielo, pp. 77 e s.).

La vita di Aldo Moro in breve

Nato a Maglie (LE) il 23 settembre 1916, dopo aver conseguito la maturità classica al liceo “Archita” di Taranto, nel 1938 si è laureato in giurisprudenza all’Università di Bari. Nel 1945 ha sposato, a Montemarciano (AN), Eleonora Chiavarelli. Dal matrimonio sono nati: Maria Fida (1946), Anna (1949), Agnese (1952) e Giovanni (1958). Ha cominciato ad insegnare nel 1941 presso l’Ateneo barese. Nel 1963 si è trasferito all’Università di Roma. Dopo una ultratrentennale attività politica, è stato rapito il 16 marzo 1978 e ucciso il 9 maggio dello stesso anno. Il 21 settembre 2012 è stato accettato il libello di domanda per l’avvio della Causa di beatificazione e canonizzazione.






07 aprile, 2019

Omelia per la V domenica di Quaresima, nella commemorazione del martirio del beato Rolando Rivi

 Omelia per la V domenica di Quaresima, nella commemorazione del martirio del beato Rolando Rivi

Santuario di San Valentino (Castellarano)
07-04-2019

Cari fratelli e sorelle,

il 13 aprile di 74 anni fa, poco lontano da qui, il beato Rolando Rivi viveva il suo martirio. Lo ricordiamo solennemente oggi in questo santuario a lui dedicato, con qualche giorno di anticipo, in occasione dell’ultima domenica di Quaresima.

La figura di Rolando, che tutti ben conosciamo, può aiutarci a comprendere il senso profondo delle letture che abbiamo ascoltato, in modo particolare il brano di san Paolo e la pagina giovannea dell’adultera perdonata. I santi sono infatti i migliori esegeti, cioè i più grandi interpreti del Vangelo. Essi, per grazia di Dio e per il merito delle loro eroiche virtù, hanno rivissuto la vita di Gesù dentro le circostanze particolari che sono stati chiamati a vivere, e così hanno riempito il mondo di luce. La loro vita è quindi un’attualizzazione del Vangelo, una concretizzazione eminente di una o più delle parole che Dio ha rivolto al suo popolo e che rimarranno, per tutto il tempo della storia, come fonte somma e irrinunciabile di insegnamento per tutta la Chiesa.

Di Rolando Rivi non sappiamo molto, sia perché la sua vita fu molto breve, sia per il fatto che non ci ha lasciato nulla di scritto. Resta solo una frase, ormai divenuta celebre in tante parti del mondo: “Io sono di Gesù”. Tante volte, in questi anni del mio episcopato, ho cercato di commentare queste parole, così profonde e ricche nella loro semplicità, così alte e drammatiche, per il fatto che furono pronunciate da un giovane ragazzo mentre andava incontro alla morte. La testimonianza di Rolando e il suo messaggio ci consentono oggi di entrare nelle parole che la liturgia ci ha proposto: Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui (Fil 3,8-9).

Gesù è il Signore e conoscerlo, cioè stare con lui e desiderare di vivere come lui, è la cosa più sublime. Tutto il resto non conta nulla. O meglio: tutto il resto ha valore solamente nella misura in cui ci consente di amare di più Cristo e di rendergli gloria. Rolando, per vivere fino in fondo la sua vocazione, ha letteralmente lasciato perdere tutto, addirittura la sua stessa vita. Accettando il supremo sacrificio di sé, è diventato una cosa sola con Gesù, ha conosciuto in pienezza il mistero e la dottrina del suo Maestro. Ed in questo modo ha guadagnato Cristo, ed è stato trovato in lui (cf. Fil 3,9). Già chiedendo d'entrare nel seminario di Marola, Rolando desiderava guadagnare Cristo. Chiedeva cioè di poter essere unito a lui sempre di più e per sempre. Gesù lo ha esaudito presto, attraverso la grazia del martirio. In quel momento, Rolando è stato trovato in lui (cf. Fil 3,9), cioè il Padre ha rivisto nel suo corpo martoriato lo stesso amore rivelato dal Figlio sulla croce. In quel momento, Rolando ha reso gloria a Dio con tutto se stesso, e per questo motivo Dio lo ha glorificato, spalancandogli le porte del Paradiso per sempre e consegnandogli la palma di vittoria del martirio.

Rolando si sentiva chiamato al sacerdozio. Desiderava celebrare il sacrificio dell’altare. Il suo parroco e i formatori del seminario lo avevano confermato in questa intuizione. Poi la sua vita è stata violentemente interrotta e proprio allora, attraverso il martirio, la sua vocazione ha trovato pieno compimento, secondo modalità misteriose ma realissime. Egli ha offerto il sacrificio di sé, in unione al sacrificio di Cristo. Come Gesù, anche Rolando è stato sacerdote e vittima.

A conclusione di questa omelia, vorrei brevemente accennare alla pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato (cf. Gv 8,1-11). Si tratta di un brano molto noto, il cui protagonista assoluto è Gesù (e non tanto l’adultera o gli scribi e i farisei). Attraverso le sue parole e i suoi gesti, infatti, Gesù ci rivela qualcosa del suo cuore: egli è desiderio di vita e di libertà. Certamente il peccato è da condannare e da combattere, perché si oppone al progetto di bene e di felicità che Dio ha per l’uomo. Ma all’origine di questa lotta, cui ciascuno di noi è chiamato, stanno l’amore e la stima che Gesù ha per la persona, la quale sempre può cambiare, sempre può convertirsi, sempre è ed ha un valore. Questo è il messaggio più importante di questa pagina di Vangelo: l’amore di Gesù per ogni uomo e ogni donna, il bene che lui vuole a ciascuno di noi, il rischio che egli è pronto a correre (davanti agli scribi e ai farisei di tutti i tempi, che potrebbero prendersela con lui) per difenderci.

Quando sappiamo, con la mente e con il cuore, che tale è il volto di Gesù, che tanto grande è il suo amore per noi, allora nulla ci fa più paura. E possiamo abbandonarci in pace alla sua volontà, qualunque essa sia. “Io sono di Gesù”, diceva Rolando Rivi. “Io ho un rapporto con lui! Gesù è mio amico!” Ed essendo lui così grande e così buono, è bello dare la vita per lui, imitarlo in tutto ciò che ha fatto, fino al punto d'abbracciare anche noi la croce.

Il beato Rolando interceda per noi presso il Padre e accompagni sempre il nostro cammino.

Amen

✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla




21 marzo, 2019

13 ottobre, 2018

GIGI PROIETTI Recita : C’è un paio di scarpette rosse di Joyce Lussu



UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE 
di Joyce Lussu 

C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica ‘Schulze Monaco’. C’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buckenwald erano di un bambino di tre anni e mezzo chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni ma il suo pianto lo possiamo immaginare si sa come piangono i bambini anche i suoi piedini li possiamo immaginare scarpa numero ventiquattro per l’ eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono. C’è un paio di scarpette rosse a Buckenwald quasi nuove perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole.

Interpretazione di Gigi Proietti

05 ottobre, 2018

SCUOLA E TERRITORIO - DOMENICA 14/10 A TERRAZZANO DI RHO COMMEMORAZIONE DELL' EROICO SANTE ZENNARO

SANTE ZENNARO (Grignano Polesine, 24 ottobre 1933 – Terrazzano, 10 ottobre 1956) E' STATO UN OPERAIO ITALIANO, MEDAGLIA D' ORO AL VALOR CIVILE CONFERITAGLI IL 19 OTTOBRE 1956.



Il 10 ottobre 1956 i fratelli polesani Egidio e Arturo Santato (quest'ultimo da poco dimesso da un manicomio giudiziario[1]) sequestrarono novantadue bambini e tre maestre della scuola elementare di Terrazzano, frazione di Rho, chiedendo come riscatto la cifra di duecento milioni di lire. Dopo sei ore una delle insegnanti tentò di disarmare uno dei malviventi e il trambusto che ne seguì allarmò la folla e la polizia, che si erano raccolte attorno alla scuola, spingendo gli agenti ad agire. Anche Zennaro volle intervenire e, assieme all'investigatore Tom Ponzi, raggiunse il luogo del sequestro entrando da una finestra tramite una scala a pioli. Ponzi riuscì così a disarmare i malviventi senza spargimento di sangue, ma Zennaro rimase vittima dei proiettili dei poliziotti che lo avevano colpito per errore. In un primo momento la dinamica dell'accaduto fu poco chiara e sembrò che le stesse forze dell'ordine avessero tentato di manomettere la scena della tragedia per incolpare i criminali dell'accaduto. L'intervento di Ponzi, personaggio controverso e "scomodo" non venne nemmeno considerato.

Sante Zennaro


  

08 settembre, 2018

Un nuovo anno pastorale nel segno di Maria


Sabato 8 settembre, nella basilica della Ghiara a Reggio Emilia, il Vescovo Massimo Camisasca ha aperto il nuovo anno pastorale della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla. La Messa è stata trasmessa da Telereggio in collaborazione con il Centro diocesano Comunicazioni sociali.


05 settembre, 2018

La prima delle leggi razziali fasciste

 Ottant'anni fa un decreto deciso da Benito Mussolini e dal re ordinò l’esclusione delle persone ebree da scuole e università, perché «non appartengono alla razza italiana»



10 agosto, 2018

Vescovo Reggio Emilia ricoverato Indisposizione causata da un'infezione, in via di miglioramento

 Vescovo Reggio Emilia ricoverato

Indisposizione causata da un'infezione, in via di miglioramento



 Ricovero in ospedale per il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Massimo Camisasca. Ieri - si legge sul sito della Diocesi della città emiliana - mentre si trovava in soggiorno a Giandeto di Casina, sull'Appennino reggiano, "Ha accusato un malessere in conseguenza del quale, in serata, è stato ricoverato, in osservazione, all'Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.

In base ai primi accertamenti - viene sottolineato - la causa dell'indisposizione è da ricercare in un'infezione", ma "dopo le prime cure risulta in via di miglioramento. Al momento - viene evidenziato - sono previsti alcuni giorni supplementari di ricovero ospedaliero, cui seguirà un periodo di convalescenza di un paio di settimane".
    Alla luce di quanto accaduto, monsignor Camisasca annullerà gli impegni che aveva in programma, "in particolare la Messa mattutina di sabato 11 agosto a Roma con un gruppo di giovani reggiani diretti all'incontro con Papa Francesco e la celebrazione in Cattedrale nella solennità dell'Assunta".



15 aprile, 2018

"Una stretta di mano per una giusta espiazione"

 "Ho sempre pensato a mio padre come ogni figlia dovrebbe pensare a un padre: una forza, un pilastro, un punto di riferimento. Da piccola mi faceva ballare. Ma è impegnativo per me essere qui ora, quello che ha stravolto la vita di mio padre e ha travolto la vita di Rolando è l’odio che cresce tra gli uomini e si trasforma nella guerra. Siamo tutti fratelli e nella guerra tutti perdiamo. Avete perso Rolando e si è perduto mio padre, ma Cristo ha salvato tutti gli uomini. La mia missione era fare ritrovare la pace a mio padre e tentare di riconciliare i nostri cuori". La lettera integrale di Meris Corghi durante il gesto di riconciliazione con i famigliari del beato Rolando Rivi, ucciso proprio dal padre partigiano.



Giuseppe Corghi era mio padre. Io sono Meris, Meris Corghi e sono onorata di essere qui. Durante un percorso che mi ha trasformato profondamente nell’animo, ho sentito che c’era qualcosa che dovevo fare, ma non sapevo cosa. Non sapevo praticamente nulla di questa vicenda, perché io non ero nata all’epoca e dopo ero troppo piccola per capire i discorsi. Ma, piano piano hanno cominciato ad affiorare dei tasselli, ho cominciato a pormi delle domande e ho iniziato un cammino che mi ha portato fino a qui oggi. Non ho quasi idea di come sia successo, so soltanto che è stato come essere guidata. Sì, sono stata guidata, forse dalla presenza di mio padre nel cercare una risoluzione per poter ritrovare la pace. Forse dalla luce divina che ognuno di noi porta nel cuore, forse dallo stesso beato Rolando che desidera più di ogni altro in questo momento storico e decisivo per il mondo l’unione e la pace.

Io sono solo la figlia e la risposta che ho trovato nel cuore è stata: siamo tutti figli, figli dello stesso padre e fratelli, ognuno con i suoi personali fardelli. Vi chiedo con immensa umiltà di permettermi di pronunciare queste parole che mi sono state dettate dal cuore. Sono una figlia anche io, come tutti.

Ho sempre pensato a mio padre come ogni figlia dovrebbe pensare a un padre: una forza, un pilastro, un punto di riferimento. Da lui ho saputo sempre molto dell’amore e molto poco della guerra. Lui era mio padre, il mio esempio. Mi faceva ballare, mi faceva girare sulle punte come una ballerina. Era tutto. E’ impegnativo per me essere qui ora, quello che ha stravolto la vita di mio padre e ha travolto la vita di Rolando è l’odio che cresce tra gli uomini e si trasforma nella guerra.

Una notte di Natale la guerra si fermò e tutti furono solo uomini mentre dalle trincee salivano i canti di Natale. Una tregua per gli uomini e uno smacco al grande separatore. Una pietra miliare di pace come quella che stiamo creando oggi. Guardarsi nei cuori le scelte che ogni giorno facciamo possono portare la vita e la pace o l’odio e la guerra. Siamo tutti responsabili della pace di domani a partire da ora, di ogni singolo istante. “Prenderai per mano tuo fratello, lo sosterrai, lo aiuterai a volare o lo invidierai, lo giudicherai e lo abbatterai nella polvere?” Nessuno tocchi Caino, quel Caino che Cristo stesso sulla croce ha salvato. 

Siamo tutti fratelli e nella guerra tutti perdiamo. Avete perso Rolando e si è perduto mio padre, ma Cristo ha salvato tutti gli uomini. Prima di spirare sulla croce usò il suo ultimo fiato solo per perdonare i suoi carnefici. “Padre perdona loro perché non sanno”.

Io credo che nessuno di quei soldati che hanno combattuto e quelli che combattono oggi sappiano realmente cosa stanno facendo e perché. Le ragioni economiche e di potere, la voglia che il grande separatore ha di distruggere. E come ride sul mondo ogni volta che gli permettiamo di faro. Lui, il burattinaio e i potenti burattini nelle sue mani. In cambio di vanagloria questo potere uccide la vita degli altri, la calpesta e la travia, usiamo gli ideali degli uomini e li mette l’uno contro l’altro e non si comprende più che l’ideale supremo è la vita, la vita è l’ideale supremo. Adopera questa fiamma del cuore per i propri loschi fini, alimenta l’odio, soffiando con la sua bocca vorace. Il risultato, se non ci fermiamo adesso, sarà un’esplosione un’immensa esplosione.

Quello che sono venuta a dire qui oggi è che l’unico movimento che può invertire questo processo è l’unione. Se gli uomini si uniscono nel cuore diventano forti, diventano una grande anima, diventano davvero la manifestazione del creatore. E come la luce si è propagata da un solo punto nel cuore di Dio in tutto l’universo, ognuno dei nostri sacri cuori può diffondere questa luce sulla terra.

La fiamma può essere accesa da un’emozione profonda, un’emozione che si trova solo quando ci si arrende alla Grazia. Arrendiamoci a Dio nel perdono e mettiamo una fiamma di luce, diventiamo esempi della Grazia. Gesù è la strada e noi siamo la sua pace.

Sono qui oggi per restituire le responsabilità, io qui, oggi, figlia non sono venuta tanto a chiedere perdono per mio padre, ma a chiedere perdono per l’odio che scatena la guerra. Vinciamolo con la pace, perdoniamoci oggi, facciamolo qui, diamo un segnale forte della nostra volontà di risurrezione. E ora, è ora per la vita di riconciliarsi con la vita. Vi prego partiamo da qui per fare un mondo nuovo. Le responsabilità ultime dell’odio non sono degli uomini, ma dei creatori di queste guerre di tutte le guerre che ci usano e ci rendono tutti perdenti. Ma noi abbiamo l’arma più potente di tutte, noi abbiamo un cuore, possediamo il potere dell’amore e siamo tanti. Il loro odio non sopravvivrà al nostro amore.

Ognuno di noi nelle atrocità dei conflitti ha perso qualcuno: un fratello, un padre, un cugino, una madre, una figlia, un nonno, un bisnonno: nessuno è stato risparmiato, ma noi qui oggi possiamo diventare una valanga di amore, che questa stretta di mano diventi simbolo della vittoria dell’amore Dio, un’esplosione di luce che parte da qui e si propaga in tutto l’universo.

L’unica vera esplosione e mi permetto di parlare a nome di tutti, sia quella della gioia sui sentieri dei nostri figli. Facciamo che diventino creatori di pace come lo è diventato il beato Rolando in questa vicenda e come cerco di esserlo io in questo momento nella memoria di mio padre. Che nessun ordine dato dai signori della guerra possa più abbattere i nostri figli. E non ci saranno più figli perduti né padri con la colpa di essere rimasti vivi. Siamo purtroppo tutti figli della guerra. Combattere significa cercare di restare vivi. Questa stretta di mano tra le nostre due famiglie sia il simbolo della giusta espiazione per l’odio fraterno per ogni padre, per ogni nonno, per ogni bisnonno che ognuno ha nella nostra famiglia tornato vivo dalla guerra.

Che questa stretta di mano possa essere la mano tesa di Gesù sulla genealogia di tutte le nostre famiglie annullando i conflitti, che ognuno di noi oggi possa andare a casa libero, risorto.

Ognuno ha un compito nella vita, una missione, la mia era fare ritrovare la pace a mio padre e tentare di riconciliare i nostri cuori. Con l’aiuto di Dio oggi si compirà dentro una stretta di mano.

Trasformati nella morte e riuniti dall’amore e dal perdono del Padre, che il sorriso di Rolando possa risplendere su tutti voi e accanto a lui anche quello di mio padre. Ciò che l’odio del separatore ha diviso possa riunirsi nell’amore del sacro Cuore di Gesù e nell’amore del Padre.

Vi imploro a nome di tutte le vittime di tutte le guerre: pace, pace, pace. Ringrazio profondamente i famigliari del Beato Rolando, che hanno accolto questa richiesta di riconciliazione aprendo il loro cuore in questo giorno speciale. E ringrazio tutti, ma proprio tutti voi che siete qui. Grazie a tutti.

Una stretta di mano a volte non basta, altre volte è un’esplosione di amore che può trasformare il mondo, questa è una di quelle volte.  Prego Rosanna Rivi, sorella di Rolando e Maria moglie di Guido, suo fratello, di avvicinarsi e a voi di unirvi a noi in questa stretta di mano.


Perdono nel nome del Beato Rolando Maria Rivi 2/1

Perdono nel nome del Beato Rolando Maria Rivi 2/2





Cari fratelli e sorelle,

nella pagina del vangelo che abbiamo appena letto, gli apostoli sono riuniti nel Cenacolo. I due discepoli che si erano recati a Emmaus, tornati a Gerusalemme, riportano agli Undici l’incontro con il Risorto. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù stette in mezzo a loro (Lc 24,36).

L’evangelista Luca non dice che Gesù entra nel Cenacolo, né tanto meno che egli appare. Gesù sta in mezzo a loro. Egli è risorto, ha assoggettato al suo potere il tempo e lo spazio. Non subisce più nessuna costrizione. La sua è una presenza totale, viva, senza confini. Soprattutto egli attrae a sé i cuori degli uomini. Ha attratto il cuore di Rolando, che ha espresso il suo amore per Gesù con l’unica frase che conosciamo di lui: “Io sono di Gesù”. Attrae oggi i cuori di coloro che chiedono e danno il loro perdono. Non c’è luogo, tempo o persona che non possa essere raggiunta da Cristo. Egli è il sole che sorge da un estremo dell’universo all’altro. Nulla si può sottrarre al suo calore (cfr. Sal 19). Tutto è ambito della sua azione, della sua parola, della sua luce.

Gesù dunque è al centro dei discepoli. Essi possono trovarsi lì riuniti perché lui è presente. Il Risorto si rivolge ai suoi con queste parole: Pace a voi (Lc 24,36)La flagellazione, la crocifissione e la morte del Maestro avevano colpito la loro speranza e la loro fede in profondità. Forse era tutto finito. Forse a loro sarebbe toccata la stessa sorte. Gesù vede il loro turbamento interiore e li interroga: Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? (Lc 24,38). Il Signore, principe della storia, è sempre attivo per sanare le ferite che Satana provoca nelle vite delle persone. Soprattutto le guerre, le ideologie, le teorie filosofiche e politiche che negano Dio e vorrebbero ucciderlo nei cuori, seminano solchi profondi di odio e di violenza. Gesù scende nelle profondità delle nostre sofferenze, delle nostre disperazioni e delle nostre inimicizie per sanarle dalla radice. Come agli apostoli, anche a noi oggi dice: Pace a voi!


Egli non offre innanzitutto una spiegazione che dissipi ombre e paure. La più grande vittoria sulla morte è la sua presenza, è il suo corpo risorto, completamente trasfigurato dalla potenza del Padre. Non c’è più vita che possa rimanere rinchiusa nella morte, non c’è più divisione che non possa essere guarita, non c’è più lontananza che non possa essere colmata.

La presenza di Cristo, assieme alla pace, dona la forza del perdono. Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati (Lc 24,47-48). Il perdono, umanamente impossibile, diventa realtà sotto l’azione dello Spirito. L’eucarestia è veramente la medicina che guarisce le nostre radici di male e ci porta dentro la vita di Dio. Egli è infatti assoluta comunione, unità e carità.

Il perdono che oggi avviene è il segno che Dio è presente, che sta in mezzo a noi così come stava in mezzo ai suoi discepoli. Egli agisce per l’intercessione di Rolando. Assieme a lui, qui voglio ricordare gli undici preti della nostra Chiesa uccisi fra il ’44 e il ’46. Essi, con il loro sacrificio e il loro sangue versato, partecipano di questo stesso evento di riconciliazione. La potenza vittoriosa di Dio ha riunito ciò che il male ha temporaneamente separato. Attraverso un’azione paziente e tenace, il Signore ha saputo farsi spazio nei cuori delle persone e arrivare a questo miracolo.

Possa questo luogo, che da oggi porterà ufficialmente il nome del Beato Rolando Rivi, essere occasione di suppliche, confidenze e miracoli sempre più grandi.

Amen.

Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla










22 aprile, 2017

Omelia per l’anniversario del martirio del beato Rolando Rivi

Omelia per l’anniversario del martirio del beato Rolando Rivi

San Valentino
22-04-2017


Cari fratelli e sorelle, 

sono molto contento di trovarmi con voi anche quest’anno per godere assieme di ciò che il beato Rolando sta generando in questi luoghi e in tantissime vite. Guardando a questa bellissima Pieve, alle strutture di accoglienza che sono sorte e che stanno sorgendo, ai pellegrinaggi che stanno via via crescendo, comprendiamo che l’uccisione di Rolando non è stata la vittoria del male, dell’ingiustizia, della morte. Il suo martirio è in realtà il trionfo della vita. La sua giovane esistenza infatti non è stata strappata via dalla terra, ma vi è stata deposta come un seme silenzioso. E ora, a distanza di tanti anni, non smette di crescere e benedirci con tanti frutti. Ecco dunque il primo motivo di gioia per essere qui assieme.

 

Questa seconda domenica del tempo pasquale è chiamata dalla tradizione della Chiesa domenica in albis. Perché questo nome? Anticamente, i fedeli che ricevevano il battesimo nella notte di Pasqua indossavano una tunica bianca per i successivi otto giorni, fino alla domenica seguente. La veste rappresentava la loro vita rinata dalle acque del peccato, la loro anima ripulita dai peccati precedenti, i loro corpi rivestiti dalla luce di Cristo. Essa era il simbolo di un passaggio a una vita nuova e più vera, di un’appartenenza definitiva a Cristo. Ritengo che anche questo fatto sia significativo oggi. Conosciamo bene l’attaccamento di Rolando alla sua veste talare. Anche per lui, la tunica ha rappresentato il passaggio a una nuova vita. Un passaggio cruento, feroce, brutale. Eppure un passaggio a una vita di luce. Il martirio è stato il momento in cui la sua veste è stata lavata con il sangue dell’agnello ed è diventata candida e splendente (cfr. Ap 7,14).

 

Questa seconda domenica di Pasqua, inoltre, è significativa anche perché Giovanni Paolo II ha voluto che fosse dedicata alla Divina Misericordia. Vorrei leggere assieme a voi le parole con cui Gesù stesso descrive a suor Faustina le grazie che elargirà in questa festa: «In quel giorno sono aperte le viscere della mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione e alla santa comunione riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine» (Diario di santa Maria Faustina Kowalska, 699). Sotto le usuali condizioni, oggi è dunque possibile ottenere l’indulgenza plenaria. In questa giornata, pertanto, ci sono poste innanzi un’infinità di grazie, segno dell’inesauribile abbondanza che sprigiona dall’evento pasquale.

 

E ora uno sguardo alle letture che abbiamo appena ascoltato. Tutte ci parlano del sorgere di una nuova vita dopo la resurrezione di Cristo. Gli Atti ci raccontano la vita di comunione della prima comunità. Nella lettera di san Pietro i fedeli sono confermati nella speranza viva e incorruttibile della partecipazione alla resurrezione di Cristo. Nel brano di Giovanni, Gesù dona agli apostoli il suo Spirito e li invia nel mondo a portare il suo perdono. Ma quali sono le caratteristiche della nuova vita inaugurata dalla resurrezione di Cristo?

 

Ritengo che ci siano due tratti che scaturiscono l’uno dall’altro vicendevolmente: la pace e la gioia. Pace a voi (Gv 20,19) sono le prime parole di Gesù agli apostoli dopo essere risorto. E dopo avere ripetuto lo stesso saluto una seconda volta, soffia lo Spirito su di loro (cfr. Gv 20,22). È lo stesso soffio che Dio ha insufflato nella terra per dare vita ad Adamo (cfr. Gen 2,7); lo stesso soffio che rigenera e infonde vita alle ossa inaridite della distesa di Ezechiele (cfr. Ez 37). La prima creazione è stata separata da Dio per il peccato, è stata dispersa, ridotta in polvere, dilaniata dalle divisioni del male.

 

Ora il Cristo risorto inaugura una creazione nuova che è riconciliata nell’unità. Tale unità si fonda sulla presenza viva di Cristo in mezzo ai suoi – stette nel mezzo (Gv 20,19) – ed è ottenuta e continuamente rinvigorita dal Suo perdono. La potenza di Cristo risorto distrugge il nostro male, il nostro peccato, le nostre divisioni, ci riavvicina a sé e così ci ristabilisce in unità con gli altri e con l’universo. La comunione pertanto è definitivamente ristabilita e diventa la sorgente della pace che Cristo aveva promesso. Una pace che il mondo non può costruire né offrire. Essa può solo essere ricevuta come grazia dall’azione di Cristo: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14,26-27).

Cari amici, invochiamo l’intercessione del beato Rolando. Possa rendere i nostri cuori sempre disponibili a ricevere la pace di Cristo risorto; possa condurre le nostre comunità alla scoperta dell’unità che Gesù ha inaugurato e della misericordia con cui continuamente le rigenera; possa mostrarci la gioia e il giubilo che si sperimentano nella comunione vissuta. Gli affidiamo inoltre gli ordinandi della nostra Diocesi che saranno consacrati il 27 maggio, nella prossimità della sua festa liturgica.

 

Amen.

 ✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla




18 aprile, 2017

La gioia della Pasqua nell’omelia del Vescovo

 Carissimi fratelli e sorelle,

è una grande gioia celebrare la santa Pasqua con voi in questa splendida e rinnovata Concattedrale. Essere oggi assieme in questo luogo, ricostruito e riaperto dopo il terribile sisma del 2012, è già un segno eloquente che ci introduce al significato della Resurrezione: la rinascita, la vittoria sui sepolcri delle nostre fragilità, delle nostre ferite, dei nostri peccati, il risollevarsi dalle macerie.

Tutta la liturgia oggi è circonfusa di luce, meraviglia, potenza, canto, vita. Realmente il cielo ha invaso la terra, la luce ha dissolto ogni tenebra, Dio si è inscindibilmente legato all’uomo e l’ha portato con sé nella vita eterna, scardinando con il suo amore le porte dell’inferno.

Ora è il tempo del giubilo. Ora si è compiuto il lieto annuncio, la buona novella che l’angelo ha portato a Maria: Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te (Lc 1,28). Ora quella gioia annunciata nella casa di Nazaret è realizzata e manifesta. Questo giorno ci annuncia che le promesse di Dio sono irrevocabili. L’alleanza tra Dio e l’uomo è stata sigillata in un nuovo patto inscindibile. Oggi la morte, il nemico invincibile, ha subito la sconfitta definitiva.


Cari fratelli e sorelle, la resurrezione è un evento che non smetterà mai di stupirci, un evento in cui non termineremo mai di immergerci, un evento che sempre ci sovrasterà. Lasciamoci guidare dal vangelo appena ascoltato per comprendere un raggio di questa infinita luce. Cosa ci indica san Giovanni in questo breve racconto? Quale accento, quale prospettiva ci suggerisce per contemplare il mistero della Resurrezione?

L’evangelista introduce l’evento della resurrezione con queste parole: il primo giorno della settimana (Gv 20,1). Questa collocazione temporale è fondamentale. Appare infatti anche negli altri tre vangeli (cfr. Mt 28,1;Mc 16,2; Lc 23,56). Quale significato assume? Perché tutti i racconti della resurrezione ne fanno cenno? Evidentemente si trova qui un’indicazione importante. San Giovanni ci dice inoltre che era mattino presto, quando il cielo è ancora buio (cfr. Gv 20,1). C’è qualcosa che si sta preparando all’alba del primo giorno. Una luce sta per nascere. Una luce da tanto tempo attesa eppure nuova.


Siamo così rimandati a un altro momento saliente della storia dell’uomo. Quando nel primo giorno era ancora tutto buio e ricoperto dalle tenebre. Quando la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gen 1,2). Fu proprio nel primo giorno che Dio creò con la sua parola la luce e la separò dalle tenebre (cfr. Gen 1,3-4).

Scopriamo così che l’evento della resurrezione è stato a lungo predisposto. Si pone oggi il compimento di un disegno che Dio ha desiderato dall’inizio dei tempi. Oggi le figure cedono il posto alle realtà. Il primo giorno della creazione ci introduce nel primo e ultimo giorno definitivo, quello della resurrezione, della nuova creazione, della creazione restaurata, redenta e glorificata. La luce dell’universo creata nel primo giorno richiama la manifestazione dello splendore di Cristo risorto, l’instaurazione nel mondo della luce di Dio. Io sono la luce del mondo aveva detto Gesù (Gv 8,12). Ecco il sole che non conosce tramonto, il sole invincibile, il sole di fronte al quale ogni male si dilegua.

Quindi la resurrezione inaugura una nuova creazione, un nuovo ordine. Un nuovo Adamo è generato dalle mani del creatore. In Cristo si compiono tutte le promesse della storia della salvezza: il tempio definitivo è stabilito tra gli uomini; un nuovo popolo prende vita: oggi «mirabilmente nasce e si edifica la Chiesa», recita la preghiera sulle offerte (Preghiera sulle offerte della domenica di Pasqua). Nella resurrezione di Cristo, le tenebre sono definitivamente separate dalla luce (cfr. Gen 1,4). Dio ha distrutto il giogo di Satana, l’uomo è ricostituito nel suo rapporto confidente con il Signore.

Come siamo resi partecipi di questa nuova creazione? Ce lo suggerisce san Paolo nella seconda lettura: attraverso il battesimo (cfr. Col 3,1-4). Nel battesimo siamo stati definitivamente incorporati a Cristo, siamo morti e risorti con lui. La nostra vita già partecipa della vittoria sulla morte e sul peccato, della luce del Risorto. Certo, rimane ancora il tempo della lotta terrena, il tempo perché la vittoria di Cristo si estenda ai nostri cuori, il tempo che ci divide dalla manifestazione definitiva di Gesù. Tuttavia la vittoria di Dio sul male è già stata sancita.

Non lasciamo perciò che la paura e la sfiducia guidino i nostri giorni. Fissiamo lo sguardo sulle cose di lassù (Col 3,1), sulla luce che nel silenzio di quel mattino ha smosso il macigno del sepolcro. Lasciamo che i raggi luminosi di quell’aurora scaldino i nostri cuori. Lasciamo che il seme piantato nel profondo del nostro essere il giorno del battesimo cresca e porti il frutto di santità e felicità che Dio ci ha promesso. Nutriamoci continuamente dei sacramenti, della preghiera, della comunione fraterna. È questa la fonte della vera letizia, della vera gioia e della baldanza che caratterizzano questa festa.

Infine, affidiamo la nostra speranza alla Madonna. Oggi si ricorda santa Bernadette Soubirous, una figura che nella sua semplicità ci rimanda all’abbandono tenero e filiale alla Madre. Se i nostri occhi e il nostro animo possono subire il peso delle fatiche, dei dolori e dell’insicurezza, quelli di Maria non si staccano mai dalla gloria di suo Figlio risorto. Chiediamo dunque a lei di introdurci continuamente nella nuova creazione che Cristo ha inaugurato per noi.

Un saluto particolare a tutti coloro che non hanno potuto partecipare a questo momento. Portate la mia benedizione e il mio augurio a quanti sono costretti a casa a causa della malattia e della solitudine.

Buona Pasqua!

 


✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla



04 aprile, 2017

Muore a 89 anni Guido Rivi Era fratello del Beato Rolando

 Muore a 89 anni Guido Rivi Era fratello del Beato Rolando



CASTELLARANO. È morto ad 89 anni, dopo una lunga malattia, Guido Rivi. Era nato nel 1928 a San Valentino di Castellarano ed era il fratello maggiore del Beato Rolando Rivi, il giovane seminarista...

CASTELLARANO. È morto ad 89 anni, dopo una lunga malattia, Guido Rivi. Era nato nel 1928 a San Valentino di Castellarano ed era il fratello maggiore del Beato Rolando Rivi, il giovane seminarista rapito ed ucciso a pochi giorni dalla fine della seconda guerra mondiale.

I funerali di Guido si terranno oggi, mercoledì 5 aprile, alle ore 15,00 partendo dalla camera ardente dell’ospedale di Sassuolo per la chiesa parrocchiale di Rometta, dove alle 15,30 sarà celebrata la Santa Messa. Il corpo sarà tumulato nel cimitero Nuovo Urbano. Guido lascia oltre alla sorella Rossana, la moglie Maria Parisi, i figli Lina , Pia, Rolando, Daniela e Luca. Cordoglio anche tra i tantissimi amici che lo ricordano come una persona molto colta e disponibile sempre pronta al dialogo.

Prima di raggiungere la pensione per una vita intera ha lavorato come tecnico alla ceramica Marazzi di Sassuolo. La figlia Lina lo ricorda per il suo grande impegno nel sorreggere il padre Roberto nella ricerca della verità per la morta di suo fratello quando era ancora un ragazzino. «La morte di Rolando quando erano ancora giovani lo aveva molto segnato – ricorda Lina –. Per questo ne parlava poco e, quando lo faceva, con molta sofferenza. Noi lo ricordiamo come un grandissimo papà che ha sempre dato il massimo alla sua famiglia».

Ora ad aver vissuto quei tristi eventi storici restano ancora in vita la sorella e alcuni cugini. Rolando venne ucciso da un gruppo di partigiani comunisti che poi furono processati e condannati per l’uccisione di un ragazzino di 14 anni che era un seminarista e sognava di fare da grande il parroco.

Quando avvenne l’omicidio Guido non aveva neanche 18 anni e, secondo le testimonianze di alcuni amici, ha sempre cercato di rimuovere quel tragico evento che lo aveva segnato profondamente nonostante le differenze caratteriali col fratello. Rolando, dichiarato Beato dalla chiesa il 5 ottobre del 2013, era molto vivace mentre Guido era molto riflessivo e calmo. Sicuramente dentro di sé ha portato per tanti anni la tragedia che ha vissuto senza voler coinvolgere i suoi cari.