Orazione finale tenuta da Domenico Airoma, procuratore della Repubblica di Avellino e vice-presidente del Centro Studi Livatino, in occasione della Santa Messa conclusiva della peregrinatio della reliquia del Beato Rosario Angelo Livatino, tenutasi a Roma a Santa Maria degli Angeli il 21 gennaio 2023.
Eccellenza reverendissima,
Autorità tutte,
Signore e Signori,
Cari amici,
una camicia insanguinata ha commosso Roma!
È la camicia di un piccolo giudice, venuto da una remota provincia siciliana, vissuto senza clamori, per lunghi anni quasi ai margini nel pantheon dei caduti per la Giustizia di questa nostra Nazione.
Perché tanta partecipazione? Perché tanto interesse, e non solo fra gli addetti ai lavori? Certo, d’impatto hanno colpito la sua giovane età, il suo sguardo limpido, quel suo volto pulito, il suo consapevole sacrificio per la giustizia. E poi, il suo stile riservato, la sua forte mitezza, il timore di esporre a pericolo i suoi collaboratori, il rispetto per le persone chiamate a giudicare, non hanno lasciato indifferente chi si lascia attrarre da lui.
Ma alla partecipazione e all’interesse si è accompagnata la commozione. Perché? Perché è difficile rimanere indifferenti dinanzi a quella reliquia. Perché essa ti scava dentro, ti toglie i falsi alibi, ti cambia la vita, ti dimostra che un’alternativa è possibile.
È possibile essere giudici veri e autorevoli senza pretendere di sentirsi investiti del compito di scrivere le nuove tavole della Legge; è possibile essere uomini delle istituzioni unanimemente riconosciuti per il disinteressato servizio al bene comune; è possibile essere bravi cristiani, buoni cittadini e apprezzati servitori della cosa pubblica senza nascondere la propria fede.
Ma vi è di più.
La peregrinazione di quella reliquia è stata accompagnata sì dal calore di un popolo, ma anche e soprattutto dall’atteggiamento di devoto rispetto di tanti esponenti delle istituzioni, quasi essi stessi sorpresi dalla potenza evocativa della camicia di quel piccolo giudice. E’ come se tutto un mondo disincantato avesse dinanzi a quel segno riscoperto la bellezza disarmante del reincanto dinanzi al sacro.
Il sacro! Quanto ne abbiamo bisogno! Ci siamo sbarazzati troppo sbrigativamente di qualsiasi dimensione verticale del nostro agire, come singoli e come comunità. Ed oggi ne avvertiamo il vuoto, siamo in questo vuoto, che è anche mancanza di senso, del senso ultimo delle nostre azioni e del nostro impegno.
Ed allora quella camicia risponde ad una domanda, risponde alla domanda: è come trovare una fonte d’acqua pura in un deserto disperante.
Benedetto XVI ha insegnato che “(…) il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni”. La sua eclissi ha finito “per lasciare campo libero (…) ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli”.
Quanti idoli hanno popolato e popolano l’orizzonte delle nostre vite e delle nostre città! Talora con il sembiante dell’invincibilità, dell’ineluttabilità. Fra questi, vi è certamente la mafia che ha ucciso Rosario Livatino.
Le vicende siciliane che hanno accompagnato la peregrinatio della reliquia ci hanno interrogato ancora una volta sulle cause dell’incistamento del cancro mafioso e sulle ragioni della perdurante soggezione alle organizzazioni mafiose di intere comunità. Sbaglieremmo se pensassimo che le cause vadano ricercate in un terreno solo di tipo economico. È indubbio che i sodalizi mafiosi occupano vuoti lasciati colpevolmente da altri. Ma è altrettanto indubbio che essi si alimentano delle scelte di uomini che hanno smarrito il senso morale e religioso. Il sacrificio di Rosario Livatino, ucciso dalla mafia perché giudice incorruttibile e perché cristiano vero, dimostra che è possibile sconfiggere la tracotanza mafiosa se torniamo alle radici etiche e spirituali del nostro popolo.
Il beato Livatino testimonia, per quanto ha fatto da vivo e per quanto sta facendo dal Cielo, che non abbiamo bisogno di idoli, che non possiamo barattare la nostra dignità di uomini con nessun surrogato.
E dimostra che la Provvidenza è all’opera, che non dorme.
Mai beatificazione, infatti, fu più provvidenziale!
Non solo per i giudici, ma per tutti gli uomini delle istituzioni, per tutti i laici cristiani, per tutti coloro che hanno a cuore il bene comune.
Si discute di questioni morali, di perdita del senso stesso del giusto: la via d’uscita non è, al pari degli idoli, quelle delle ideologie, che hanno fallito. Tutte. La via d’uscita richiede il ritorno alla casa comune, quella il cui indirizzo è scritto nel cuore di ogni uomo e che nessuna mano umana può cancellare. Quella casa cui deve tornare anche un diritto fattosi orbo per aver rinunciato al vero ed al giusto per natura.
Quella camicia insanguinata è la prova che per noi che abitiamo questo mondo disperato e disperante una via di uscita c’è, anche se costa sacrificio. Un sacrificio quotidiano, come fu quello di Rosario Livatino, il cui martirio comincia in quell’”usque”, in quel “fino” che prelude all’effusione del sangue.
Stiamo vivendo una notte che sembra non avere fine.
Il Beato Livatino ci insegna, però, che non ha senso maledire il buio e che piuttosto occorre portare la luce, accendere fuochi.
Rosario Livatino rivolge il suo sguardo a tutti. A tutti. Quella sua camicia deve diventare la nostra camicia.
Che il Signore ci conceda la grazia, per l’intercessione del beato Livatino, di non arretrare innanzi a questa nobile missione.
Dobbiamo portare il fuoco della Verità in questo nostro mondo.
Perché da una crisi così profonda si esce solo se nel sangue di ciascuno torna a scorrere la passione per ciò che è giusto, perché, è scritto: “praticare la giustizia e l’equità è cosa che il Signore preferisce ai sacrifici”.
Beato Rosario Angelo Livatino prega per noi e per l’Italia intera!