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16 maggio, 2021

Preghiera a Sant'Ubaldo da Gubbio

 Preghiera della sera

Preghiera a Sant'Ubaldo da Gubbio
"Signore, per l'intercessione del Beato Ubaldo, tuo Confessore e Pontefice, stendi sopra di noi la tua protezione contro le molteplici insidie del nemico" 🙏
Ti preghiamo,
o Signore,
di concederci benignamente il tuo aiuto,
e per l'intercessione del Beato Ubaldo,
tuo Confessore e Pontefice,
stendi sopra di noi la tua protezione contro le molteplici insidie del nemico. Amen.

Christi Fideles

 Christi Fideles - a cui spesso assistiamo non basta a cancellare gli efferati assassinii di innocenti (sacerdoti, ma anche donne e fanciulli) perpetrati da partigiani comunisti fra il 1944 e (a guerra ampiamente conclusa) il 1947. In questo periodo si calcola in 12-15.000 il numero dei civili assassinati dai partigiani solo in Emilia, nel cosiddetto “triangolo della morte”. In tale "mattanza democratica" finirono anche un gran numero, ne sono stati riconosciuti circa 130, di sacerdoti". Segue, un elenco (incompleto) di sacerdoti uccisi in Italia, affinché sia di memoria e monito.

Don GIUSEPPE AMATEIS, parroco di Coassolo (Torino), ucciso a colpi d'ascia da partigiani comunisti il 15 marzo 1944, perché aveva pubblicamente deplorato gli eccessi e le violenze.

Don GENNARO AMATO, parroco di Locri (Reggio Calabria), ucciso nell'ottobre '43 dai capi della "repubblica rossa" di Caulonia.

Don ERNESTO BANDELI, parroco di Bria, ucciso da partigiani slavi a Bria il 30 aprile 1945.

Don VITTORIO BAREL, economo del Seminario di Vittorio Veneto, ucciso il 26 ottobre 1944 da partigiani comunisti.

Don STANISLAO BARTHUS, della Congregazione di Cristo Re (Imperia), ucciso il 17 agosto 1944 perché in una predica aveva deplorato le "violenze indiscriminate dei partigiani".

Don DUILIO BASTREGHI, parroco di Cigliano e Capannone Pienza, ucciso la notte del 3 luglio 1944 da partigiani comunisti che lo avevano chiamato con un pretesto.

Don CARLO BEGHE', parroco di Novegigola (Apuania), sottoposto il 2 marzo 1945 a torture e a una finta fucilazione che gli produsse una ferita mortale.

Don FRANCESCO BONIFACIO, curato di Villa Gardossi (Trieste), catturato da miliziani comunisti iugoslavi l'11 settembre 1946 e gettato in una foiba rimasta sconosciuta.

Don LUIGI BORDET, parroco di Hóne (Aosta), ucciso il 5 marzo 1946 perché aveva messo in guardia i suoi parrocchiani dalle insidie del comunismo.

Don SPERINDIO BOLOGNESI, parroco di Nismozza (Reggio Emilia), ucciso da partigiani comunisti il 25 ottobre 1944.

Don CORRADO BORTOLINI, parroco di Santa Maria in Duno (Bologna), prelevato da partigiani il 1° marzo 1945 e fatto sparire.

Don RAFFAELE BORTOLINI, canonico della Pieve di Cento, ucciso da partigiani la sera del 20 giugno 1945.

Don LUIGI BOVO, parroco di Bertipaglia (Padova), ucciso il 25 settembre 1944 da un partigiano comunista.

Don MIROSLAVO BULLESCHI, parroco di Monpaderno (Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23 agosto 1947 da partigiani comunisti jugoslavi.

Don TULLIO CALCAGNO, direttore di Crociata Italica, fucilato dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile 1945.

Don SEBASTIANO CAVIGLIA, cappellano militare della Guardia Nazionale Repubblicana, ucciso il 27 aprile 1945 ad Asti.

Don CRISOSTOMO CERAGIOLO, francescano, cappellano militare decorato al v.m., prelevato il 19 maggio 1944 da partigiani comunisti nel Convento di Montefollonico e trovato cadavere in una buca con le mani legate dietro la schiena.

Don ALDEMIRO CORSI, parroco di Grassano (Reggio Emilia), ucciso da partigiani comunisti la notte del 22 ottobre 1944 nella sua canonica.

Don FERRUCCIO CRECCHI, parroco di Levigliani (Lucca), fucilato all'arrivo delle truppe di colore nella zona su false accuse dei comunisti del luogo.

Don ANTONIO CURCIO, cappellano militare dell'11° Btg. Bersaglieri, ucciso il 7 agosto 1941 a Dugaresa da comunisti croati.

Don SIGISMONDO DAMIANI, francescano, ex cappellano militare, ucciso da comunisti slavi a San Genesio di Macerata l'11 marzo 1944.

Don TEOBALDO DAPPORTO, arciprete di Castel Ferrarese (diocesi di Limola), ucciso da un comunista nel settembre 1945.

Don EDMONDO DE AMICIS, cappellano militare, pluridecorato della prima guerra mondiale, ucciso il 26 aprile 1945 da partigiani comunisti.

Don AURELIO DIAZ, cappellano della Sez. Sanità della Divisione "Ferrara", fucilato nelle carceri di Belgrado nel gennaio del '45 da partigiani "titini".

Don ADOLFO DOLFI, canonico della Cattedrale di Volterra, sottoposto il 28 maggio 1945 a torture che lo portarono alla morte l'8 ottobre successivo.

Don ENRICO DONATI, arciprete di Lorenzatico (Bologna), massacrato il 23 maggio 1945 sulla strada di Zenerigolo. Don GIUSEPPE DORFMANN, fucilato nel bosco di Posina (Vicenza) il 27 aprile 1945.

Don VINCENZO D'OVIDIO, parroco di Poggio Umbricchio (Teramo), ucciso nel maggio '44 sotto accusa di simpatie per il fascismo.

Don GIOVANNI ERRANI, cappellano militare della Guardia Nazionale Repubblicana, decorato al v.m., condannato a morte dai partigiani a Forlì, salvato dagli americani e deceduto in seguito, acausa delle torture subite.

Don COLOMBO FASCE, parroco di Cesino (Genova), ucciso nel maggio del 1945 da partigiani comunisti.

Don GIOVANNI FAUSTI, Superiore generale dei Gesuiti in Albania, fucilato il 5 marzo 1946 perché italiano. Con lui furono trucidati ALTRI sacerdoti dei quali non si è mai potuto conoscere il nome.

Don FERNANDO FERRAROTTI, francescano, cappellano militare reduce dalla Russia, ucciso nel giugno 1944 a Champorcher (Aosta) da partigiani comunisti.

Don GREGORIO FERRETTI, parroco di Collevecchio (Teramo), ucciso da una banda di partigiani slavi ed italiani nel maggio 1944.

Don GIOVANNI FERRUZZI, arciprete di Campanile (Imola), ucciso da partigiani il 3 aprile 1945.

Don ACHILLE FILIPPI, parroco di Maiola (Bologna), ucciso la sera del 25 luglio 1945 perché accusato di simpatie fasciste.

Don GIUSEPPE GABANA, della diocesi di Brescia, cappellano della VI Legione della Guardia di Finanza, ucciso il 3 marzo 1944 da un partigiano comunista.

Don SANTE FONTANA, parroco di Cornano (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 16 gennaio 1945.

Don GIUSEPPE GALASSI, arciprete di S. Lorenzo in Selva (Imola), ucciso il 1° maggio 1945 perché sospettato di simpatie per il fascismo.

Don TISO GALLETTI, parroco di Spazzate Sassatelli (Imola), ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo.

Don DOMENICO GIANNI, cappellano militare in Jugoslavia, prelevato la sera del 21 aprile 1945 e soppresso dopo tre giorni.

Don GIOVANNI GUICCIARDI, parroco di Mocogno (Modena), ucciso il 10 giugno 1945 dopo sevizie inflittegli nella sua canonica.

Don VIRGINIO ICARDI, parroco di Squaneto (Acqui), ucciso il 4 luglio 1944 a Preto da partigiani comunisti.

Don LUIGI ILARIUCCI, parroco di Garfagnolo (Reggio Emilia), ucciso il 19 agosto 1944 da partigiani comunisti.

Don GIUSEPPE JEMMI, cappellano di Felina (Reggio Emilia), ucciso il 19 aprile 1945 perché aveva deplorato gli "eccessi inumani di quanti disonoravano il movimento partigiano".

Don SERAFINO LAVEZZARI, seminarista di Robbio (Piacenza), ucciso il 25 febbraio 1945 dai partigiani insieme alla mamma e a due fratelli.

Don LUIGI LENZINI, parroco di Crocette (Modena), ucciso da partigiani rossi la notte del 21 luglio 1945.

Don GIUSEPPE LORENZELLI, priore di Corvarola di Bagnone (Pontremoli), ucciso da partigiani il 27 febbraio 1945 dopo essere stato obbligato a scavarsi la fossa.

Don LUIGI MANFREDI, parroco di Budrio (Reggio Emilia), ucciso il 14 dicembre 1944 perché aveva deplorato gli "eccessi partigiani".

Don DANTE MATTIOLI, parroco di Coruzzo (Reggio Emilia), prelevato la notte del 1° aprile 1945 e scomparso per sempre.

Don FERNANDO MERLI, mansionario della Cattedrale di Foligno, ucciso il 21 febbraio 1944 presso Assisi da comunisti.

Don ANGELO MERLINI, parroco di Fiamenga (Foligno), ucciso il medesimo giorno dagli stessi, presso Foligno.

Don ARMANDO MESSURI, cappellano delle Suore della S. Famiglia in Marino, ferito a morte da partigiani comunisti e deceduto il 18 giugno 1944. Don GIACOMO MORO, cappellano militare in Jugoslavia, fucilato dai comunisti "titini" a Micca di Montenegro.

Don ADOLFO NANNINI, parroco di Cercina (Firenze), ucciso il 30 maggio 1944 da partigiani comunisti.

Don SIMONE NARDIN, dei Benedettini Olivetani, tenente cappellano dell'Ospedale Militare "Belvedere" in Abbazia di Fiume prelevato da partigiani jugoslavi nell'aprile 1945 e fatto morire tra sevizie orrende.

Don LUIGI OBID, economo di Podsabotino e San Mauro (Gorizia), prelevato da partigiani e ucciso a San Mauro il 15 gennaio 1945.

Don ANTONIO PADOAN, parroco di Castel Vittorio (Imperia), ucciso da partigiani l'8 maggio 1944 con un colpo di pistola in bocca ed uno al cuore.

Don ATTILIO PAVESE, parroco di Alpe Gorreto (Tortona), ucciso il 6 dicembre 1944 da partigiani dei quali era cappellano, perché confortava alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte.

Don FRANCESCO PELLIZZARI, parroco di Tagliolo (Acqui), chiamato nella notte del 10 maggio 1945 e fatto sparire per sempre.

Don POMPEO PERAI, parroco dei SS. Pietro e Paolo di Città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana il 16 giugno 1944.

Don ENRICO PERCIVALLE, parroco di Varriana (Tortona), prelevato da partigiani e ucciso a colpi di pugnale il 14 febbraio 1944.

Don VITTORIO PERKAN, parroco di Elsane (Fiume), ucciso il 9 maggio 1945 da partigiani mentre celebrava un funerale.

Don ALADINO PETRI, pievano di Caprona (Pisa), ucciso il 27 giugno 1944 perché ritenuto filo-fascista.

Don NAZARENO PETTINELLI, parroco di Santa Lucia di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana nel luglio 1944.

Don UMBERTO PESSINA, parroco di San Martino di Correggio, ucciso il 18 giugno 1946 da partigiani comunisti.

Seminarista GIUSEPPE PIERAMI, studente di teologia della diocesi di Apuania, ucciso il 2 novembre 1944 sulla Linea Gotica da partigiani comunisti.

Don LADISLAO PISACANE, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso da partigiani slavi il 5 febbraio 1945 con altre dodici persone.

Don ANTONIO PISK, curato di Canale d'Isonzo (Gorizia), prelevato da partigiani slavi il 28 ottobre 1944 e fatto sparire per sempre.

Don NICOLA POLIDORI, della diocesi di Nocera e Gualdo, fucilato il 9 giugno 1944 a Sefro dapartigiani comunisti.

Don GIUSEPPE PRECI, parroco di Montaldo (Modena), ucciso il 24 maggio 1945 dopo che era stato chiamato ad assistere un morente.

Don GIUSEPPE RASORI, parroco di San Martino in Casola (Bologna), ucciso la notte sul 2 luglio 1945 nella sua canonica sotto accusa di simpatie fasciste.

Don ALFONSO REGGIANI, parroco di Amola di Piano (Bologna), ucciso da comunisti la sera del 5 dicembre 1945.

Seminarista ROLANDO RIVI, di Reggio Emilia, di 14 anni, ucciso il 13 aprile 1945 da partigiani comunisti solo perché indossava la tonaca.

Don GIUSEPPE ROCCO, parroco a Santa Maria, diocesi di S. Sepolcro, ucciso da slavi il 4 maggio 1945.

Don ANGELICO ROMITI, francescano, cappellano degli allievi ufficiali della Scuola di Fontanellato, decorato al v.m., ucciso la sera del 7 maggio 1945 da partigiani comunisti.

Don LEANDRO SANGIORGI, salesiano, cappellano militare decorato al v.m., fucilato a Sordevolo Biellese il 30 aprile 1945.

Don ALESSANDRO SANGUANINI, della Congregazione della Missione, fucilato a Ranziano (Gorizia) il 12 ottobre 1944 da partigiani slavi.

Don LODOVICO SLUGA, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso insieme al confratello don PISACANE il 5 febbraio 1944.

Don LUIGI SOLARO, di Torino, ucciso il 4 aprile 1945 perché familiare del Federale di Torino Giuseppe Solaro, anch'egli soppresso.

Don EMILIO SPINELLI, parroco di Campogialli (Arezzo), fucilato il 6 maggio 1944 dai partigiani sotto accusa di filo-fascismo.

Don EUGENIO SQUIZZATO, francescano, cappellano partigiano, ucciso dai suoi il 16 aprile 1944 fra Corio e Lanzo Torinese perché, impressionato dalle crudeltà che essi commettevano, voleva abbandonare la formazione.

Don ERNESTO TALE', parroco di Castelluccio Formiche (Modena), ucciso insieme alla sorella l'11 dicembre 1944 perché sospettato di simpatie per il fascismo.

Don GIUSEPPE TAROZZI, parroco di Riolo (Bologna), prelevato la notte sul 26 maggio 1945 e fatto sparire.

Don ANGELO TATICCHIO, parroco di Villa di Rovigno (Pola), ucciso da partigiani iugoslavi nell'ottobre 1943.

Don CARLO TERENZIANI, prevosto di Ventoso (Reggio Emilia), fucilato la sera del 29 aprile 1945 perché ex cappellano della Milizia.

Don ALBERTO TERILLI, arciprete di Esperia (Frosinone), morto in seguito a sevizie inflittegli nel maggio 1944.

Don ANDREA TESTA, parroco di Diano Borrello (Savona), ucciso il 16 luglio 1944 da una banda partigiana perché osteggiava il comunismo.

Mons. EUGENIO CORRADINO TORRICELLA, della Diocesi di Bergamo, ucciso il 7 gennaio '44 ad Agen (Francia) da partigiani comunisti.

Don RODOLFO TRCEK, diacono della Diocesi di Gorizia, ucciso il 1° settembre 1944 a Montenero d'Idria da partigiani comunisti.

Don FRANCESCO VENTURELLI, parroco di Fossoli (Modena), ucciso il 15 gennaio 1946 da comunisti.

Don GILDO VIAN, parroco di Bastia (Perugia), ucciso da partigiani comunisti il 14 luglio 1944.

Don GIUSEPPE VIOLI, parroco di Santa Lucia di Madesano (Parma), ucciso il 31 novembre 1945 da partigiani comunisti.

Don ANTONIO ZOLI, parroco di Morra del Villar (Cuneo), ucciso da partigiani comunisti perché durante la predica del Corpus Domini del 1944 aveva deplorato l'odio tra fratelli.


Rolando Rivi: testimone della talare insanguinata

 

La storiografia contemporanea sta sempre più scoprendo i fatti di sangue che nell’immediato dopoguerra italiano interessarono preti e seminaristi per mano di partigiani comunisti. Fra essi edifica e commuove la figura del giovane Rolando Rivi, individuato, rapito e poi ucciso per quella talare che amava e gli richiamava la veste inconsunta di Cristo e il suo impegno d’imitarlo e celebrarlo una volta diventato sacerdote.

 

In Emilia, nella chiesetta di Visignolo di Baiso, sulle prime alture dell’Appennino, in un grande quadro con il crocifisso attorniato di santi, si nota la presenza di un seminarista con la veste e il cappello da prete.

Lo fece dipingere circa trent’anni fa il parroco, convinto che quel giovane aspirante al sacerdozio sarebbe diventato prima o poi un santo canonizzato.

Colpisce il suo viso pulito, il suo sguardo profondo. Si tratta del seminarista Rolando Rivi, una delle vittime che nell’immediato dopoguerra, a pochi chilometri da quel luogo, caddero a causa della furia omicida dei partigiani comunisti.

La storia, fino a pochi anni fa, ne ha parlato con reticenza, ma è innegabile che la terra emiliana fu particolarmente irrorata dal sangue di preti e seminaristi che in quel periodo furono vittime di una persecuzione in odio a Cristo e alla Chiesa.

Poche settimane prima della sua uccisione, un partigiano  appostato nel paese di Rolando ed armato fino ai denti, disse apertamente: “I fascisti e i tedeschi ormai sono alla fine… La nostra lotta deve essere fatta ora contro  i padroni, contro i ricchi e certi preti… Questi sono adesso i nostri nemici”.

L’odio che aveva dilagato durante la guerra, continuava ad accecare le menti e seminare morte innocente attraverso l’ideologia della lotta di classe e la rivoluzione proletaria operata da un gruppo di uomini violenti che saranno celebrati ancora alcuni decenni dopo, persino nei libri di scuola, come liberatori ed eroi nazionali.

Rolando Rivi fu rapito, torturato e ucciso per la sua fedeltà all’abito talare che suscitava stizza nei partigiani e lo riteneva facilmente individuabile e vulnerabile.

Vollero mettere a tacere un futuro prete, ma la muta eloquenza del suo martirio è diventata predica più forte della morte.

Rolando Rivi nacque a San Valentino di Reggio Emilia il 7 gennaio 1931 da Roberto ed Albertina Canovi, agricoltori umili e ricchi di fede. Fu battezzato il giorno seguente e gli venne aggiunto anche il nome di Maria, poiché al termine del rito fu affidato alla Madonna.

Dopo la trasmissione della vita fisica, la vita soprannaturale attraverso il battesimo,  fu il dono più grande dei suoi genitori. Si trattava di gente semplice, ma animata da un senso corretto della dottrina cristiana e una fede viva che riconosce il peccato originale con le sue conseguenze, ma anche la giustificazione e la grazia santificante attraverso il battesimo.

I parroci di San Valentino, don Luigi Jemmi prima e don Olinto Marzocchini poi, ebbero il merito di formare alla dottrina e alla pietà cristiana generazioni di parrocchiani.

Il loro apostolato fecondo era alimentato da una ricca vita interiore trasparente e percettibile anche agli occhi di un bambino.

Rolando infatti era affascinato dal suo parroco don Olinto: “Che bello - pensava - diventare come lui! Celebrare la Messa con Gesù tra le mani, portare le anime a Gesù…”.

Vedeva il suo farsi tutto a tutti per guidare il suo gregge alla vita cristiana; l’impegno costante per l’Azione Cattolica con le adunanze settimanali ben distribuite nei giorni per favorire la partecipazione delle diverse categorie; la sua presenza tra i ragazzi e i giovani che chiamava a un’intensa vita di preghiera eucaristica e mariana; il suo catechismo agli adulti ogni domenica pomeriggio, assai frequentato; la carità che esercitava verso i poveri; la sua disponibilità continua a confessare e a dirigere le anime, a visitare i malati; la sua preghiera prolungata presso il tabernacolo da dove, anche a tarda ora, vegliava e pregava per i suoi parrocchiani, specie quelli sul fronte o caduti in guerra.

Il momento più bello della sua infanzia - ricorderà Rolando - era quando poteva assistere alla S. Messa come chierichetto. Era colpito dalle parole del sacerdote. Omelie brevi ma che andavano dritto al cuore, messaggi che interpellavano, interrogavano e facevano riflettere sul senso dell’esistenza e sul destino eterno.

“Sacerdos propter Eucaristiam” (il sacerdote è tale per l’Eucarestia).

Rolando si domandava: “Perché non posso diventare anch’io come lui?”.

Appena undicenne quindi entrò nel seminario diocesano di Marola. Era il 26 ottobre del 1942. Quello stesso giorno, come allora si  usava, il ragazzo vestì con gioia l’abito talare.

Guidato dal direttore spirituale don Alfredo Castagnetti affidò la sua nuova vita alla Madonna nell’ottobre dedicato alla preghiera del rosario. Proprio in quell’anno ricorreva il 25° anniversario delle apparizioni della Madonna a Fatima (1917-1942).

Il rettore mons. Luigi Bronzoni, prete colto, autorevole e paterno, insegnava più con la vita che con le parole offrendo un salutare esempio di amore verso Dio e verso ciascuno dei ragazzi affidati alle sue cure.

All’approssimarsi del periodo estivo, spiegava che in vacanza i seminaristi avrebbero dovuto non solo guardarsi dai compagni cattivi e dalle occasioni di peccato, ma ancora di più distinguersi dagli altri nella preghiera e nel servizio in parrocchia, nello studio e nella purezza, nelle opere buone e nella dedizione al Signore.

“Anche in vacanza - aveva raccomandato -  il seminarista porta sempre l’abito talare, segno della nostra appartenenza a Gesù”.

Rolando incoraggiava i compagni dicendo: “Saremo sacerdoti un giorno con l’aiuto del Signore. Io andrò missionario. Andrò a far conoscere Gesù a quelli che non lo conoscono ancora. Il nostro dovere di sacerdoti è quello di pregare molto e salvare tante anime e portarle in Paradiso”.

Il papà lo considerava con commozione e fierezza: “il mio pretino tanto buono e studioso”.

Rolando anche nei giorni di vacanza dei caldi mesi estivi portava con orgoglio la veste nera con il colletto bianco. Qualche suo compagno, solito a togliersi per comodità l’abito da prete e anche qualcuno dei suoi familiari gli dicevano: “Sei in vacanza togliti la veste! Sei più libero di muoverti, di giocare …” Lui rispondeva: “Non devo lasciare il mio abito, non posso. E’ il segno che io sono di Gesù!”

La veste talare non creava per lui una barriera umana o sociale nelle relazioni con gli altri né tanto meno un impedimento allo svolgimento di ogni attività, anche ricreativa. Il seminarista Rolando Rivi era sempre un trascinatore. Testimonia un compagno di seminario, ora sacerdote e parroco, don Vezzosi: “Rolando era vivace e svelto in tutti i giochi: a pallone, a pallavolo, Campione della classe, della camerata. Attentissimo a scuola, studioso esemplare, innamoratissimo di Gesù. Tutto in lui era superlativo. Si stava volentieri con lui; contagiava gioia e ottimismo. Era l’immagine perfetta del ragazzo santo, ricco di ogni virtù portata, nella vita quotidiana, all’eroismo”.

Dopo aver “incantato” i ragazzi del paese con la sua abilità e conquistati con il suo ascendente, faceva la proposta: “ora andiamo a pregare Gesù in chiesa”. Li trascinava davanti all’altare e insegnava loro a trattenersi con Gesù, il loro più grande Amico.

Tutti sapevano quanto fosse affezionato al suo abito da prete. Lo indossava sempre.

Così per le strade di San Valentino tutti lo vedevano passare, spesso diretto alla chiesa, solo o con altri ragazzi, sereno, sorridente, pronto al saluto, sempre con il suo abito austero.

La sua vita, tuttavia, non fu solo gaiezza e spensieratezza. Alle sue vicende familiari e personali faceva da sfondo la Grande Guerra nella quale gli morirono tre zii. Fu lui che più di ogni altro consolò il cuore della nonna, affranta per la perdita dei figli.

Altre sorprese spiacevoli si profilavano all’orizzonte… Nel settembre 1944 il seminario fu occupato da un centinaio di soldati tedeschi. I seminaristi dovettero sfollare e tornare a casa.

Rolando Rivi, come i suoi amici, dovette tornare in famiglia a San Valentino, ma portò con sé i libri  proponendosi di studiare italiano, latino e matematica per non perdere tempo in attesa di tempi migliori.

A casa continuò  a sentirsi seminarista. Buttato nel mondo, come un fuscello nella bufera, la sua gioia erano la Messa quotidiana con la Comunione, la meditazione, la visita pomeridiana a Gesù Eucaristico, il rosario alla Madonna. Il luogo prediletto era sempre la casa parrocchiale. Oltre allo sport, altra grande sua passione era la musica. Quando poteva posare le mani sulla tastiera dell’harmonium, quasi si estasiava a suonare.

Malgrado quel periodo di prova si mostrava sereno e sapeva essere anche allegro. Mai si era chiuso in se stesso negli anni in seminario, ma, sempre vivace, si rivelava mite e socievole, così che si stava bene con lui. Era talmente simpatico che tutti si fermavano a parlargli. Riprese i contatti con i bambini, con i coetanei. In casa alla sera, guidava lui la preghiera, il rosario, accanto alla nonna Anna.

Ai bambini, ai cuginetti, anche solo di cinque, sei anni, insegnava a servire la Messa e giocava con i più piccoli, per diffondere serenità nei giorni più tristi.

Rolando si sentiva molto sicuro nel suo ruolo per così dire di tutore nei confronti dei giovani.

La vita di San Valentino trascorse abbastanza tranquilla fino all’estate del 1944. Poi iniziarono scorribande di tedeschi, di fascisti e di partigiani. Si ebbero ruberie, razzie, fatti spiacevoli e violenze anche contro i sacerdoti.

Il sacerdote, servo del Vangelo, era diventato veramente il segno di contraddizione prima, durante e dopo la guerra. Chiunque negava l’amore, se la prendeva con questo testimone di Cristo.

Diventava pertanto sempre più forte l’odio contro i preti che operavano per la pacificazione degli animi e denunciavano le violenze, da qualunque parte venissero compiute. I preti uccisi e quelli che si volevano eliminare erano veri amici del popolo. Nei momenti più oscuri, davanti al bisogno di pane, di protezione, di lavoro e di aiuto, essi sapevano offrire tutto, anche privandosi di persona. Ma il sistema di “percuotere il pastore per disperdere i gregge” (Zc 13,7) è proprio dei nemici di Dio in qualsiasi paese e di qualsiasi colore, come la storia dimostra.

Rolando sperimentò questo clima, quando gli capitò di essere deriso dai partigiani comunisti che scorrazzavano per le colline.

Ricorda oggi un suo amico: “I partigiani comunisti, quando ci incontravano per strada, lanciavano nei nostri confronti frasi oscene con minacce per il futuro non certo rassicuranti”.

Rolando sentiva tutto e soffriva senza lasciarsi intimidire da nessuno, fiero d’appartenere a Gesù e di essere un prescelto da Lui per una grande missione.

Continuò ad essere il ragazzo buono e socievole verso tutti. Nella sua semplicità credeva nella bontà degli altri parendogli impossibile che qualcuno potesse fare davvero del male.

A san Valentino fu preso di mira il parroco don Marzocchini che tanto ispirò la vocazione di Rolando. Una mattina d’estate si venne a sapere che durante la notte precedente l’avevano aggredito e umiliato. Gli avevano portato via tutto, comprese le scarpe che aveva ai piedi.

Durante la S. Messa, celebrata dopo la brutale aggressione, don Olinto si sentì male: Rolando e l’altro chierichetto che servivano all’altare capirono che qualcosa di grave era successo. Quando Rolando lo seppe chiaramente, pianse come per un’offesa fatta al proprio padre.

Non disse parole di odio verso i partigiani.

Don Olinto Marzocchini intanto fu fatto riparare in luogo più sicuro. Per assicurare il servizio sacerdotale arrivò in paese un giovane prete venticinquenne: don Alberto Camellini.

Ancora oggi racconta: “Si viveva un’atmosfera di paura e di tensione che rendeva spesso difficili i rapporti tra la gente. Per conoscere luoghi e parrocchiani mi facevo accompagnare nelle visite da alcuni seminaristi tra cui Rolando Rivi”.

Il seminarista ne profittò per spiegargli bene chi era e i suoi progetti per l’avvenire (… sarò prete e missionario) per rivelargli il suo cuore, il suo amore a Gesù e alla Chiesa e anche il suo stile vivace, a volte estroso, le sue doti musicali. Don Alberto prese a conoscerlo e ad apprezzarlo.

Tutti vedevano passare per la strada il giovane seminarista, tutti conoscevano il suo stile di vita, indicato come “il pretino”.  I genitori gli dicevano: “Togliti la veste nera. Non portarla per ora…”. Gli fecero notare che forse era conveniente farlo in quei momenti così insicuri.

Ma Rolando rispondeva: “Ma perché, che male faccio a portarla? Non ho motivo di togliermela. Io studio da prete e la veste è segno che io sono di Gesù”.

 Di Gesù, di Gesù solo, Rolando voleva essere tutti i giorni, tutti gli istanti della sua esistenza.

“Gesù della mia vita”. Gesù del mio cuore”, scriveva. Per Gesù era pronto a qualsiasi cosa: non solo a perdere la faccia, ma anche al sacrificio.

Certo quella veste richiamo al Dio eterno e a Cristo che salva e giudica irritava quelli che non volevano saperne. Irrita anche oggi: costringe a pensare a Qualcuno più facile da bestemmiare che da dimenticare.

Nonostante il rischio, Rolando non volle togliersi mai quell’abito che per lui significava già un impegno per tutta la vita.

Affezionatissimo alla talare, riteneva onore e gloria indossarla sempre senza lasciarla mai, come una dichiarazione d’amore e d’appartenenza.

 Intuiva cosa significasse prepararsi al sacerdozio in quel clima, ad essere prete un domani in un ambiente simile. Ma non si scoraggiò, né si chiuse in casa: mai impaurito, sempre sereno e presente nel paese, con il suo abito ben visibile, il suo inconfondibile stile, con la sua identità sempre chiara, il gusto di una missione da compiere, diremmo noi oggi. In quel clima tremendo nonostante tutto continuava a portare la veste talare.

Diceva: “No, non posso, non devo togliermi la veste. Io non ho paura, io sono fiero di portarla. Non posso nascondermi, io sono del Signore”.

Aveva solo 14 anni, poco più di un bambino, ma mai si era mimetizzato né aveva nascosto la sua chiara identità d’aspirante appassionato al sacerdozio. Continuava ad indossare la veste nera e spesso il cappello da prete.

In maniera istintiva era consapevole che la mimetizzazione mortifica la pastorale che si avvale di segni e di simboli, ma anche di gesti concreti.

Ieri come oggi l’abito ecclesiastico non lascia indifferenti chi lo porta e chi lo vede.

Può essere odiato, non in se stesso, ma per una realtà più profonda alla quale richiama, per molti scomoda.

Può essere dismesso per le esigenze che esso comporta a chi lo porta come rivelatore di coerenza di impegni assunti davanti a Dio e davanti agli uomini.

In tutti, però, se non ammirazione suscita rispetto perché soprattutto in ambienti ostili al cristianesimo mostra che chi lo usa serve una realtà nella quale crede piuttosto che servirsi d’essa.

Racconta Mons. Giuseppe Mora: “Spesso in paese scoppiavano dispute alle quali non era facile rispondere. Era più conveniente tacere. Capitò che in una discussione alcuni attaccarono ingiustamente la Chiesa e l’attività dei sacerdoti. Rolando difese a fronte alta Gesù, il Papa, la chiesa e i sacerdoti, senza paura alcuna”.

 Allo stesso modo difendeva il parroco don Marzocchini dalle calunnie dei partigiani comunisti.
Era conosciuto per la sua fede e il suo coraggio, era ammirato, ma anche da taluni malvisto perché aveva apertamente dimostrato che voleva diventare prete.

Il Giovedì Santo del 1945 scrisse: “Grazie Gesù perché ci hai donato te stesso nell’Ostia Santa e rimani sempre con noi… Aiutami a ritornare presto in seminario e diventare sacerdote…”

Il Venerdì, baciando il Crocifisso, ha ripetuto l’offerta al suo grande Amico: “Tutta la mia vita per Te, o Gesù, per amarti e farti amare”.

Il 10 aprile 1945, martedì dopo la Domenica in Albis, al mattino presto è già in chiesa.

Esce contento perché ha già ricevuto l’Eucarestia. Non sa ancora che sarà per lui il Viatico.

Torna a casa, libri sottobraccio va al boschetto a studiare. Indossa come sempre la talare.

A mezzogiorno, non vedendolo rientrare, i genitori lo cercano. Tra i libri trovano un biglietto:

NON CERCATELO, VIENE UN MOMENTO CON NOI. I PARTIGIANI.

Il papà e il curato don Camellini lo cercano dappertutto.

I partigiani lo hanno portato alla loro base sull’Appennino Emiliano. Lo spogliano della veste talare che li irrita troppo. Lo insultano, lo percuotono con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiano. Adesso hanno davanti un ragazzino coperto di lividi, piangente. Così era stato fatto un giorno a Gesù. Per tre giorni Rolando rimane nelle mani di quegli uomini senza Dio.

Una valanga melmosa di bestemmie contro Cristo, insulti contro la chiesa e il sacerdozio, di scherni volgari si abbatte su di lui, povero piccolo. Quindi, l’orrore della flagellazione sul suo corpo puro di ragazzo. E’ la sua Via Crucis.

Rolando innocente, piange e geme come un agnello condotto al macello, prega nel suo cuore e chiede pietà. Tuttavia nella sua anima posseduta da Cristo è forte e sereno. Qualcuno si commuove e propone di lasciarlo andare perché è soltanto un ragazzo e non c’è motivo o pretesto per ucciderlo.

Ma altri si rifiutano: “Taci o farai anche tu la stessa fine”. Prevale l’odio al prete, all’abito che lo rappresenta. Decidono di ucciderlo:”Avremo domani un prete in meno!”.

 Scende la sera ormai, lo portano sanguinante in un bosco presso Piane di Monchio (Modena).

Davanti alla fossa già scavata Rolando comprende tutto. Singhiozza, implora di essere risparmiato. Gli viene risposto con un calcio. Allora dice: “Voglio pregare per la mia mamma e per il mio papà”.

S’inginocchia sull’orlo della fossa e prega per sé, per i suoi cari, forse per i suoi stessi uccisori. Due scariche di rivoltella lo rotolano a terra nel suo sangue. Un ultimo pensiero, un ultimo palpito del cuore per Gesù, perdutamente amato… poi la fine.

I partigiani lo coprono con poche palate di terra e di foglie secche.

La veste da prete diventa un pallone da calciare, poi sarà appesa come “trofeo da guerra” sotto il porticato di una casa vicina.

Era il 13 aprile 1945 ricorrenza del giovane martire sant’Ermenegildo (+ 585 d.C.), venerdì come quello in cui Gesù si immolò sulla croce. Rolando aveva quattordici anni e tre mesi.

Rolando Maria Rivi con la vita, la parola e perfino il suo sangue aveva proclamato: “Quanto ho di più caro al mondo è Cristo”.

In quei giorni di sangue Alberto Camellini si recò a Reggio dal vescovo diocesano mons. Eduardo Brettoni.

Il vescovo era malato, a letto, affranto dall’età e dal dolore per l’uccisione di una decina dei suoi preti. Il 19 aprile era stato ucciso don Giuseppe Jemmi, viceparroco a Felina. Mons. Brettoni ascoltò; poi scoppiò in un pianto inconsolabile ed esclamò tra i singhiozzi: “Adesso mi ammazzano anche seminaristi!”

Pio XII il 19 marzo 1958 rivolgendosi a centomila giovani dell’Azione Cattolica, in piazza San Pietro a Roma, disse: “La terra bagnata di lacrime sorriderà con perle di amore e irrorata con il sangue dei martiri farà germogliare i cristiani… Dopo uno degli inverni più lunghi e più crudi, verrà una primavera che precede una delle estati più ricche e luminose”.

I Partigiani che odiavano la Chiesa e i preti pensavano che per Rolando tutto fosse finito con due colpi di rivoltella e poche badilate di terra sul suo corpo martoriato nel buio del bosco di Piane di Monchio.

Invece tutto comincia ora.

Giovanni Paolo II il 23 settembre 1990 a Ferrara, parlando dei sacerdoti e dei seminaristi martiri disse: “ Torturati e straziati hanno ricalcato le orme degli antichi testimoni della fede … Una parola voglio dire ai giovani che si preparano al sacerdozio: è necessario coltivare in se stessi un amore sincero e profondo a Cristo ed ai fratelli. É necessario disporre il proprio cuore alla donazione totale”.

É il messaggio di Rolando che come seme vivente porta frutto e si sta realizzando.

Rolando Rivi visse solo 14 anni. Visse solo per farsi prete, per salire l’altare e offrirvi l santo Sacrificio della Messa, per annunciare - da vero missionario - Gesù ai fratelli.

C’è dunque un altare vuoto al quale questo giovane non è salito, ma sul quale tanti altri giovani chiamati al sacerdozio e entusiasmati proprio dal suo esempio vi saliranno.

Rolando è salito direttamente sull’altare della gloria facendo di se stesso un’ostia pura, santa ed immacolata da offrire a Dio per la salvezza dei fratelli.

 

P. Alfonso M. A. Bruno FI



Sant' Ubaldo da Gubbio

 Sant' Ubaldo da Gubbio


Nome: Sant' Ubaldo da Gubbio
Titolo: Vescovo
Ricorrenza: 16 maggio
Tipologia: Commemorazione




Ubaldo nacque a Gubbio intorno al 1085. Orfano di entrambi i genitori, venne educato da uno zio molto religioso, il quale tuttavia ostacolò il suo progetto, manifestato quando aveva quindici anni, di ritirarsi a vita solitaria; gli consentì, però, di associarsi ai canonici di San Secondo.

Ordinato nel 1114 sacerdote dal vescovo Giovanni, Ubaldo intraprese r opera di riforma della chiesa ritirandosi, come già aveva fatto san Pier Damiani, nel monastero di Fonte Avellana. A Gubbio fece ritorno nel 1129 per reggere come vescovo la diocesi su preciso ordine dello stesso papa Onorio II.


Gubbio era allora una città piuttosto inquieta, divisa da feroci discordie che contrapponevano fazione a fazione, casato a casato. E sulle strade cittadine spesso correva il sangue. 11 vescovo Ubaldo si offrì a fare da paciere e un giorno mise a repentaglio la propria vita nel tentativo di sedare una delle tante violente sommosse. Si era gettato tra i contendenti supplicandoli di desistere, ma era stato travolto. Solo quando gli eugubini si accorsero d'averlo lasciato malconcio sul terreno, posero fine alla rissa, preoccupati della sorte del loro vescovo e pentiti della loro insensatezza. Da quel giorno gli animi si calmarono. Ubaldo, amato dal popolo perché era sempre pronto a difenderlo dall'arroganza dei potenti, resse la città per oltre trent'anni, salvandola dalla distruzione minacciata da Federico Barbarossa.

Come papa Leone aveva fatto con Attila, il vescovo Ubaldo andò incontro all'imperatore, armato solo della forza della fede e del prestigio della sua dignità episcopale. Barbaross, colpito da tanto coraggio, mutò proposito e risparmiò la città.

Ubaldo morì il 16 maggio 1160. Trent'anni dopo sull'onda della sincera venerazione tributata degli eugubini al loro santo vescovo eletto anche a patrono della città. Ubaldo venne incluso nell'albo dei santi.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Gubbio in Umbria, sant’Ubaldo, vescovo, che si adoperò per il rinnovamento della vita comunitaria del clero.


Sant'Ubaldo da Gubbio Vescovo

Ascensione di Gesù

 Ascensione di Gesù

autore Benjamin West anno 1801 titolo L'Ascensione
Nome: Ascensione di Gesù
Titolo: Ascesa corporea di Gesù al cielo.
Ricorrenza: 16 maggio
Tipologia: Solennità




Gesù dopo la risurrezione, nei 40 giorni che rimase ancora in terra, confortò gli Apostoli e con diverse prove li convinse di essere veramente risuscitato. Li istruì intorno al regno di Dio, sul modo di governare la Chiesa, d'amministrare i Sacramenti, di salvare le anime. Avvicinandosi il giorno dell'addio: « Bisogna che me ne vada, disse, perchè se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore ». Ordinò quindi agli Apostoli che dalla Galilea si recassero a Gerusalemme.

Il momento solenne era vicino.

Fece con essi il banchetto d'addio, durante il quale apri loro maggiormente le menti, mostrando ad essi come la Sacra Scrittura parla di Cristo, della sua passione, morte e risurrezione. Comandò di predicare il Vangelo, diede loro il potere di rimettere i peccati e li mandò ad annunziare il regno di Dio a tutte le genti.

Finita la sua istruzione si incamminò, seguito dagli Apostoli e Discepoli, al monte dell'ascensione. Giunto alla vetta, diede l'addio alla Madre, alle pie donne, a tutti i presenti, e alzando il braccio li benedisse.

Mentre li benediceva, per propria virtù si alzò verso la maestà dei cieli davanti a quegli occhi che meravigliati lo guardavano, finchè mia nube lo nascose.

Quei Giudei stavano ancora inginocchiati a braccia aperte e con gli occhi rivolti al cielo meravigliati e commossi, quando comparve un Angelo giulivo in volto e dall'aspetto maestoso dicendo: « O uomini di Galilea, che state a guardar in cielo? Quello stesso Gesù che fu tolto a voi, ritornerà nella stessa gloria con cui salì ».

Gli Apostoli a quell'avviso ritornarono a Gerusalemme comprendendo le parole che Gesù aveva detto: « Vado a preparare un luogo per voi. Vi manderò il Consolatore ».

Oggi la Chiesa celebra una delle sue feste più belle facendo riflettere ai Cristiani quale sia la loro patria. Gesù non salì al cielo solo per ricevere la corona della virtù, ma anche per preparare un posto per noi. Cristiani, il cielo è la nostra patria, non questa misera terra!

Alziamo gli occhi, contempliamo come è meraviglioso quel cielo! Lassù Gesù sale per prepararci un posto. Egli ci attende: non badiamo alle difficoltà, ma ricordiamo che non i pigri ma i violenti lo rapiscono, cioè quelli che lottando vincono se stessi.

Il cielo s'acquista combattendo le nostre passioni, la nostra carne, la malvagia inclinazione al male.

Nei momenti in cui ci sembrerà di esser sopraffatti dal male, quando intorno a noi sarà buio, alziamo gli occhi e le mani al Cielo, chiedendo aiuto a Colui che è la luce che rischiara le tenebre, a Colui che è nostro Re, nostro Salvatore, nostro Avvocato e nostro Mediatore; egli ci libererà.

PRATICA. Pensiamo sovente alla nostra vera, eterna patria, il paradiso.

PREGHIERA. Deh! concedi, Dio onnipotente, che come crediamo che il tuo Unigenito, nostro Redentore, è asceso al cielo, così anche noi con la mente abitiamo in cielo.


Pensiero del 16 maggio 2021

Mentre attendiamo il ritorno del Signore, Egli è con noi tutti i giorni, nel Suo Spirito, nei Misteri della Chiesa è viva e certa la Sua Presenza. E nell'attesa, già battezzati, siamo già abitati dal Mistero Trinitario.

Santa Ascensione del Signore

16 Maggio

Ascende il Signore tra canti di gioia

Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.

(Matteo 28,19.20)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 46)
Rit: Ascende il Signore tra canti di gioia.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

Soltanto, non vi ribellate al Signore e non abbiate paura del popolo della terra, perché ne faremo un boccone.

(Numeri 14,19)



15 maggio, 2021

Gigi Proietti ritira il Telegatto 1996

Il Maresciallo Rocca - Sigla Iniziale

Giornata mondiale dedicata alla famiglia

 15 Maggio 2021

Giornata mondiale dedicata alla famiglia

Auguri di cuore, a tutte le famiglie!

Dio, vi benedica!



Pensiero del 15 maggio 2021

 Il vero fine della preghiera, non è quello di piegare DIO ai nostri bisogni, Lui sa cosa vogliamo e ce lo dona, s'è per il nostro bene. Fino a quando non capiremo questo la nostra preghiera, non sarà mai autentica e profonda.

15 Maggio

Dio è re di tutta la terra

Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo;
ora lascio il mondo e vado al Padre.

(Giovanni 16,28)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 46)
Rit: Dio è re di tutta la terra.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

I capi dei popoli si sono raccolti
come popolo del Dio di Abramo.
Sì, a Dio appartengono i poteri della terra:

«Egli è eccelso».


Mosè disse al popolo: “Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate”.

(Esodo 20,20)





14 maggio, 2021

San Mattia

 San Mattia


Nome: San Mattia
Titolo: Apostolo
Nascita: I secolo , Gerusalemme
Morte: I secolo, Sebastopoli
Ricorrenza: 14 maggio
Tipologia: Festa




S. Mattia fu uno dei settantadue discepoli di Gesù Cristo, cresciuto alla sua scuola, e testimone dei suoi prodigi.

Salito Gesù al cielo. Mattia rimase nel cenacolo in unione di preghiere con gli Apostoli, in attesa dello Spirito Santo. Dovendosi eleggere un altro apostolo al posto di Giuda prevaricatore, furono presentati agli Apostoli due discepoli: Giuseppe soprannominato il Giusto, e Mattia. Da tutta l'assemblea si pregò dicendo: « Tu, o Signore, che vedi il cuore di tutti, mostra quale dei due tu abbia eletto a prendere, in questo ministero, il posto del prevaricatore Giuda ». Quindi si venne alla sorte, e questa cadde appunto su Mattia, che perciò fu aggregato agli altri undici Apostoli. Fu questa la prima elezione a dignità ecclesiastica.

Mattia accettò quella carica di somma responsabilità con rendimento di grazie a Dio. Rimase quindi nel cenacolo in compagnia degli altri Apostoli fino a quel giorno fortunato in cui il Divin Paraclito scese dal cielo a portare i suoi doni.

Nella divisione del mondo da evangelizzare, S. Mattia ebbe come campo di apostolato l'Etiopia. Da quel momento egli consacrò l'intera vita alla predicazione della dottrina della salute eterna. Copiosissimi furono i frutti riportati. Nelle sue istruzioni insisteva massimamente sulla necessità di mortificare la carne reprimendo i desideri della sensualità, come aveva imparato da Gesù Cristo e come egli stesso praticava.

Per quanti anni abbia predicato, non lo sappiamo con precisione; ma è certo che fu fedele al suo apostolato, e che coronò le sue virtù ed il suo zelo col martirio. Fu ucciso a Sebastopoli dopo essere stato decapitato, e le sue reliquie, molto venerate, si conservano, parte a Treviri nella Germania e parte in Santa Maria Maggiore a Roma.

PRATICA. Il sacerdote è il ministro di Dio, il maestro ed il padre delle anime nostre. Che rispetto ne abbiamo?

PREGHIERA. Dio, che aggregasti il beato Mattia al collegio dei tuoi Apostoli, deh! concedi, per sua intercessione, che sempre sentiamo in noi gli effetti della tua misericordia

MARTIROLOGIO ROMANO. Festa di san Mattia, apostolo, che seguì il Signore Gesù dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui Cristo fu assunto in cielo; per questo, dopo l’Ascensione del Signore, fu chiamato dagli Apostoli al posto di Giuda il traditore, perché, associato fra i Dodici, divenisse anche lui testimone della resurrezione.

Pensiero del 14 maggio 2021

 Siamo conosciuti da Dio perché figli, amati, voluti e pensati dall'eternità. Noi dobbiamo corrispondere a questo Amore, amandoci gli uni e gli altri. Solo questo il Signore ci chiede.

14 Maggio

Il Signore lo ha fatto sedere tra i principi del suo popolo

Io ho scelto voi, dice il Signore,
perché andiate e portiate frutto
ed il vostro frutto rimanga.

 (Giovanni 15,16)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 112)
Rit: Il Signore lo ha fatto sedere tra i prìncipi del suo popolo.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.

Dal sorgere del sole al suo tramonto
sia lodato il nome del Signore.
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.

Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?

Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.

 Invocami nel giorno dell’angoscia: «Ti libererò e tu mi darai gloria».

(Salmo 50,15)


13 maggio, 2021

La mia testimonianza sui fatti di Ghiaie di Bonate Sopra - REGINA DELLA FAMIGLIA -

 Le persone, mi hanno chiesto sempre perché non vado ai pellegrinaggi Mariani; ed io ho detto sempre:


«La Vergine Maria, è sempre accanto ad ognuno di noi, nel nostro cuore e poi la Vergine Maria, è apparsa anche a Ghiaie di Bonate Sopra (Bg), a pochi chilometri da casa mia, dal sabato 13 maggio al 21 maggio dal 28 maggio al mercoledì 31 Maggio 1944, ad una bimba di appena sette anni, di nome Adelaide Roncalli e quindi spero che la Vergine Maria, illumini la mente delle persone insieme a suo Figlio Prediletto e faccia una buona giustizia anche per queste Apparizioni Mariane, chiedo perdono alla piccola veggente per tutto il Martirio da lei subito, adesso è diventata adulta e deceduta, domenica 24 agosto 2014 alle ore 3.00, finalmente ha incrociato lo sguardo del Divin Maestro e della Divina Madre».
E' l'unica Veggente Mariana, che nell'ultima apparizione della VERGINE MARIA, ebbe il dono di ricevere un bacio in fronte dalla Madonna, prima di scomparire.
A mio parere, il bacio dato dalla SANTA VERGINE MARIA, è il dono, più bello che possa esistere».


Canzano Barbara


Pensiero del 13 maggio 2021


 Chissà che gioia ha provato Maria nel ritrovarsi con il Figlio tornato vivo dai morti. Dopo il dolore la gioia! Nei nostri dolori portiamo la gioia della Madre e invochiamo con Lei lo Spirito Santo che ci introduce nella Gioia senza misura.

13 Maggio

Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia

Non vi lascerò orfani, dice il Signore;
vado e ritorno a voi, e il vostro cuore sarà nella gioia.

(Giovanni 14,18)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 97)
Rit: Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.

Oppure:
La tua salvezza, Signore, è per tutti i popoli.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Ora, un ragazzo di nome Eutico, seduto alla finestra… fu preso da un sonno profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: “Non vi turbate; è vivo!”

(Atti degli Apostoli 20,9-10)



12 maggio, 2021

1967 intervista ad otto frank, sulla pubblicazione del diario della figl...


BUON COMPLEANNO AD OTTO FRANK

Il 12 maggio 1925, Otto Frank ed Edith Holl änder, si sono sposati nella sinagoga di Aquisgrana, Germania.

Pensiero del 12 maggio 2021

 Ci sono delle verità di noi stessi, di DIO, della nostra storia che già conosciamo, ce ne sono altre che ancora dobbiamo scoprire. Ci sono delle verità, dice Gesù che conosceremo grazie alla Presenza del Suo Spirito in noi, che ci darà la forza e la luce per affrontare la strada.

12 Maggio

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria

Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito
perché rimanga con voi per sempre.

(Giovanni 14,16)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 148)
Rit: I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.

Lodate il Signore dai cieli,
lodatelo nell’alto dei cieli.
Lodatelo, voi tutti, suoi angeli,
lodatelo, voi tutte, sue schiere.

I re della terra e i popoli tutti,
i governanti e i giudici della terra,
i giovani e le ragazze,
i vecchi insieme ai bambini
lodino il nome del Signore.

Perché solo il suo nome è sublime:
la sua maestà sovrasta la terra e i cieli.
Ha accresciuto la potenza del suo popolo.
Egli è la lode per tutti i suoi fedeli,
per i figli d’Israele, popolo a lui vicino.


Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine.

(Luca 21,9)