Aldo Moro nacque a Maglie, in
Puglia, nel 1916 e meglio di chiunque altro seppe condurre la
propria attività politica all'insegna della moderazione, del
dialogo e della ricerca del compromesso e dell'accordo tra le
diverse parti politiche.
Fin dai tempi dell'Assemblea
Costituente Moro applicò il dialogo e la ricerca di convergenza
tra le parti in causa nella sua opera politica.
Alla
Costituente rappresentò la Democrazia Cristiana di cui era stato
eletto deputato e si fece promotore delle istanze più solidali
del gruppo vicino alle posizioni di Giorgio La Pira e di Giuseppe
Dossetti; era il "personalismo cattolico" per cui il
ruolo e la funzione dello Stato erano da vedere nel rispetto della
persona umana: lo Stato era in funzione dell'uomo e del cittadino
e non viceversa.
L'opera del giovane Aldo Moro fu di
straordinaria utilità per l'evoluzione e la buona riuscita
dell'Assemblea Costituente.
Fin dalla fine degli anni '40
Moro ricopri importanti cariche pubbliche politiche e di governo:
fu sottosegretario, ministro ed infine segretario generale
organizzativo dello "scudo crociato" dopo la disfatta
fanfaniana nel secondo decennio degli anni '50.
Dalla
segreteria di Piazza del Gesù, Moro iniziò a tessere una sottile
ragnatela di peculiari rapporti politici il cui compito principale
era il contribuire, pur mantenendo inalterato il ruolo
fondamentale della DC, allo sviluppo della democrazia
italiana.
Moro, uomo di potere e di governo, capiva i limiti
ed i disagi del sistema politico e sociale della Repubblica
italiana, della salvezza e dello sviluppo dell'Italia repubblicana
era sicuro a patto che esso avvenisse all'insegna del dialogo tra
tutte le forze politiche democratiche e tutte le parti sociali ed
economiche legittimate alla partecipazione a tale processo di
convergenza democratica.
L'elemento cardine e lo spirito
della politica morotea consistevano nel progressivo e lento
"allargamento delle basi della democrazia" italiana
coinvolgendo e legittimando tutte le forze politiche democratiche
e figlie della Resistenza componenti "l'arco
costituzionale".
Ciò doveva avvenire senza colpire o
minare la centralità democristiana, che nell'ottica di Moro era
vista come elemento base per la salvezza del sistema; la DC era
"condannata a governare" per il bene del nostro Paese e
della nostra Democrazia.
In nome di tale interesse supremo
Moro cadde come un martire, martire della civiltà e delle proprie
idee, alle quali fu fedele fino alla fine proprio come altri due
famosi Martiri, questi però della fede, a cui sembra giusto
affiancare lo statista pugliese: San Thomas Bechet e San Tommaso
Moro (mai nessuna omonimia fu più appropriata!).La politica
morotea diede i suoi primi frutti all'inizio degli anni '60 quando
l'aliora segretario democristiano si fece portavoce, dopo
l'esperienza tambroniana del 1959, della "apertura a
sinistra", ossia del coinvolgimento dei socialisti del PSI di
Pietro Nenni, che dopo i fatti d'Ungheria del 1956 si erano
allontanati dai comunisti rompendo l'unità d'azione con il PCI ed
imboccando la strada dell'autonomismo, prima, con i governi
presieduti da Fanfani, nell'area della maggioranza di governo,
poi, con i governi presieduti dallo stesso Moro, l'ingresso di
ministri socialisti nell'esecutivo.
Moro diede al suo
centro-sinistra un'impronta più moderata nel campo economico e
sociale rispetto all'esperienza fanfaniana, ma fu all'avanguardia
per quanto riguarda gli equilibri politici.
Il
centro-sinistra subì un duro colpo dal tentativo di colpo di
stato del generale Giovanni De Lorenzo (Piano Solo) che pose fine
alla fase propulsiva di tale formula politica di governo.
Tappe
fondamentali dell'incontro tra democristiani e socialisti furono i
congressi dei due partiti, rispettivamente a Firenze ed a Napoli
ed al teatro La Fenice di Venezia, l'incontro tra Nenni e Moro al
residence della Camilluccia ed infine la convenzione degli
economisti della sinistra democristiana di Pasquale Saraceno a San
Pellegrino.
L'incontro tra Nenni e Moro doveva riprendere il
filo interrotto di un dialogo mai nato tra don Sturzo e Turati,
unica possibilità, nel 1922, di sbarrare il passo alle camicie
nere di Benito Mussolini.
Finita la spinta propulsiva del
governo con i socialisti vi fu la bufera del 1968 con la
contestazione studentesca e l'autunno caldo del 1969 con le lotte
operaie.
Aldo Moro fu uno dei pochi politici a capire la
portata storica di quegli eventi che, forse, egli stesso aveva
contribuito a provocare, avendo addormentato, dopo il 1964, il
centro-sinistra convincendo i socialisti a rinviare le riforme
strutturali del sistema, riforme che tanto stavano a cuore a
Riccardo Lombardi ed ad Antonio Giolitti, "a data da
destinarsi".
In risposta a tale ondata impetuosa di
richieste di innovazione del sistema e della vita italiana, il
moderatissimo Aldo Moro formulò una nuova teoria politica: il
progressivo incontro con il Partito Comunista allora guidato da
Enrico Berlinguer.
Ciò doveva avvenire in tre differenti e
successive fasi: astensione di tutti i partiti dell'arco
costituzionale, quindi compresi anche i comunisti, su di un
governo monocolore democristiano; successivo voto favorevole dei
sopracitati partiti nei confronti del medesimo governo ed infine
la partecipazione diretta di esponenti di tutti i partiti
dell'arco costituzionale ad un nuovo ed innovativo governo.
Le
prime due fasi (astensione e voto favorevole) di tale programma
politico si realizzarono realmente e Moro le diresse in qualità
di Presidente della DC, la terza fase, invece, non si ebbe mai:
per impedirla menti e braccia crudeli la soffocarono nel sangue
dello stesso Moro, che la avrebbe dovuta guidare dal Quirinale,
essendo il candidato naturale dei partiti democratici alla
successione del Presidente della Repubblica, che proprio nel 1978
vedeva scadere il proprio mandato, Giovanni Leone nell'oneroso ed
onorato compito di ricoprire la Somma Magistratura dello
Stato.
Ancora oggi nella vita politica italiana c'è il
ricordo di quella immane tragedia; mai la vita pubblica
repubblicana fu così duramente scossa: aleggia tuttora il
fantasma.
In una calda primavera di vent'anni fa si consumò
l'evento più tragico della storia della Repubblica italiana: un
gruppo di terroristi composto da brigatisti rossi, dopo averne
trucidato la scorta, rapi Aldo Moro, presidente della Democrazia
Cristiana, e, dopo più di un mese di prigionia, lo uccise
causando una ferita nel tessuto democratico del Paese che non è
stata più sanata.
Non è intenzione delle seguenti pagine
analizzare la vicenda Moro dal punto di vista giudiziario e non si
vuole nemmeno formulare giudizi morali sul comportamento dei
differenti attori della vicenda.
Le righe che seguiranno
hanno come obiettivo una breve e sintetica analisi
storica-politica degli eventi precedenti all'omicidio del leader
DC e delle conseguenze che tale atto ebbe nella vita del Paese.
Le
elezioni del 1976 avevano visto l'affermazione del PCI di Enrico
Berlinguer che era giunto a sfiorare il sorpasso sullo storico
avversario, la DC in quel momento guidata dal moroteo Benigno
Zaccagnini: furono le elezioni dei due vincitori.
I comunisti
si facevano portavoce di richieste di rinnovamento della politica
nazionale e furono i primi ad affrontare la denuncia della
"questione morale", ossia della disinvoltura con cui
molti politici agivano.
All'inizio degli anni '70, a seguito
del colpo di stato reazionario effettuato in Cile dal generale
Pinochet, Berlinguer si era fatto promotore di un accordo di
sistema tra le grandi culture politiche di massa: comunisti,
cattolici e socialisti; il "compromesso storico".
I
principali interlocutori del leader comunista furono Moro ed il
leader repubblicano Ugo La Malfa, entrambi sostenitori di un forte
rinnovamento del sistema politico italiano.
II "compromesso
storico" doveva servire alla legittimazione del PCI potendo
rendere possibile un'alternanza ed una alternativa anche nella
vita politica italiana.
Si prospettava una soluzione di tipo
tedesco: negli anni '60 in Germania(RFT) vi era stata una "grande
coalizione" tra democristiani e socialdemocratici la cui
conclusione fu una serie di governi a guida socialdemocratica.
I
governi Andreotti (DC) che si formarono dopo le elezioni del 1976
ebbero, in un primo momento l'astensione di tutti i partiti
dell'arco costituzionale (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI] che
successivamente, tranne i liberali che si espressero contro,
tramutarono tale voto in voto favorevole.
A tale esperimento
si opposero numerose forze, sia palesi, sia occulte, tanto a
livello nazionale quanto a livello internazionale.
La morte
di Moro comportò la fine dell'esperienza della solidarietà
nazionale e si assistette alla trasformazione dello scenario
politico italiano.
II ruolo riformatore dei comunisti
italiani venne di molto ridimensionatoci PCI venne rimandato
all'opposizione) e si affacciò nel panorama politico italiano
l'on. Bettino Craxi il cui ruolo di "ago della bilancia"
fruttò per tutti gli anni '80 una notevole rendita di
posizione.
Durante i cinquantacinque giorni del sequestro ci
fu il dibattito e lo scontro tra la linea della fermezza eia linea
favorevole alla trattativa: fu giusto non trattare, fare
altrimenti sarebbe stato come legittimare, rinforzandole, le
Brigate Rosse; ciò che è da condannare furono i ritardi e le
omissioni che avrebbero potuto portare alla salvezza del
Presidente democristiano.
Ancora oggi attorno al caso Moro
esistono numerosi ed irrisolti misteri.
Non si sa neppure e
non sembra, quindi, giusto esprimersi al riguardo nulla di preciso
a riguardo della veridicità delle lettere inviate da Moro durante
la prigionia.
Probabilmente ha ragione Alessandro Natta,
anche se ciò può apparire di un grado di cinismo molto elevato,
quando dice che la grande sfortuna di Moro, la cui sorte era ormai
stata decisa al momento del rapimento, fu quella di non essere
rimasto ucciso in via Fani, seguendo, cosi, il truce e tragico
destino del maresciallo Oreste Leonardi e degli altri agenti della
scorta.
Chi scrive, anche per ragioni anagrafiche, non può
essere iscritto tra i nostalgici del compromesso storico ed è ben
conscio dell'impossibilità e della difficoltà di avanzare
ipotesi storiche postume, ma è altrettanto convinto che se la
sorte dello statista DC, non avesse il dialogo tra i cattolici ed
i social-comunisti, all'Italia ed agli italiani si sarebbero
risparmiati i rampanti anni '80, gli anni del craxismo imperante,
della "governabilità craxiana" e del "successo
senza moralismi", alla fine dei quali gli Italiani si sono
trovati pieni di debiti e con forti lacerazioni nel rapporto
fiduciario tra cittadini ed istituzioni.
Sarebbe ora di poter
trovare la verità conclusiva del caso Moro, appurando la verità
e trovando tutti i responsabili di tale efferato atto di
barbarie.
Aldo Moro e le altre vittime hanno il diritto di
poter riposare in pace e gli italiani di conoscere la verità: lo
sviluppo democratico dell'Italia non può avvenire mantenendo tali
scheletri negli armadi.
Di Aldo Moro resta, come lo defini
Papa Paolo VI, il ricordo di "un uomo mite e buono", il
cui pensiero politico è ora più che mai attuale ed utile
all'Italia democratica e repubblicana.
DISCORSO
DEL SANTO PADRE PAOLO VI PER L'UCCISIONE DELL'ON. ALDO
MORO
Mercoledì, 10 maggio 1978
Ragazzi
carissimi!
Come certamente voi tutti sapete, ieri è stato
compiuto, qui a Roma, un fatto tristissimo, un delitto orribile. È
stato ucciso vilmente l'onorevole Aldo Moro, e abbandonato in
un'automobile nel centro della città. Era una persona di grande
autorità, un uomo politico di molta importanza e di carattere
buono e tranquillo. La sua uccisione premeditata, calcolata,
compiuta di nascosto e senza pietà ha fatto inorridire la città,
tutta l'Italia e ha commosso di sdegno e di pietà il mondo
intero. Noi lo abbiamo conosciuto fino dagli anni della sua
giovinezza, fino a quando era Studente all'Università. Era uomo
buono e savio, incapace di fare male ad alcuno; professore molto
bravo e uomo di politica e di governo, persona di grande valore,
padre di famiglia esemplare, e ciò che più conta era un uomo di
ottimi sentimenti religiosi, sociali ed umani. Questo delitto ha
scosso tutto il mondo delle persone oneste, tutta la società; è
come una macchia di sangue, che disonora il nostro Paese; tutti ne
parlano, tutti ne sono indignati; e anche voi, giovani e fanciulli
riuniti in questa Basilica, provate orrore e dolore per questo
avvenimento.
Ebbene, Figli carissimi, e voi Insegnanti e
Parenti che siete qui con loro per un momento comune di preghiera
serena e solenne, in occasione specialmente della santa Comunione
di questa fanciullezza col Signore Gesù, sollevate il vostro
pensiero con noi, e recitate, ora, all'inizio della nostra breve
cerimonia, una preghiera per Aldo Moro, per la sua desolata
Famiglia e per tutta la Nazione.
Successivamente alle
11,30, nell'Aula delle udienze, ai numerosissimi visitatori
provenienti da ogni parte del mondo, Paolo VI ricorda ancora il
tristissimo evento con le seguenti parole, che premette al
discorso sulla Pentecoste.
Figli carissimi e Fedeli e
Visitatori tutti presenti!
Sembrerebbe a noi una mancanza di
sincerità e di pietà, se prima di rivolgere a voi le brevi
parole spirituali preparate per questa Udienza, noi non
associassimo voi tutti al dolore che ha colpito il nostro cuore
per la barbara morte dell'onorevole Aldo Moro, della quale voi
pure dalla pubblicità che ne è fatta dovete essere informati.
Noi ora vi diremo soltanto che questo fatto omicida è grave in se
stesso e per le ripercussioni morali e sociali che esso può
avere. Noi vorremmo invece che la stessa riflessione su tale
avvenimento richiamasse tutti a pensieri molto seri e pratici
circa la nostra partecipazione, privata o pubblica che sia, alla
vita sociale del nostro tempo, la quale deve farci sentire non
solo partecipi, ma in parte responsabili del suo svolgimento, nel
senso che dobbiamo tutti procurare che la nostra mentalità ed il
nostro costume siano guidati da una forte coscienza
morale.
Bisogna che la bontà delle idee e delle opere di
tutti sia più presente e più operante nel nostro mondo, affinché
gli sia risparmiata la degenerazione di cui la ingiusta e tragica
fine d'un uomo di Stato, buono, sereno, colto e pio come fu Aldo
Moro è un segno che fa paura e rossore. Noi desideriamo a tal
fine pregare per lui, per i suoi familiari e per tutta questa
società, che ci circonda e per la quale noi abbiamo, tanto di più
quanto più tristi si prospettano i tempi, il nostro pastorale
interesse e la nostra paterna affezione. Pregate, soffrite ed
amate anche voi.
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