Omelia per l’anniversario del martirio del beato Rolando Rivi
Cari fratelli e sorelle,
sono molto contento di trovarmi con voi anche quest’anno per godere assieme di ciò che il beato Rolando sta generando in questi luoghi e in tantissime vite. Guardando a questa bellissima Pieve, alle strutture di accoglienza che sono sorte e che stanno sorgendo, ai pellegrinaggi che stanno via via crescendo, comprendiamo che l’uccisione di Rolando non è stata la vittoria del male, dell’ingiustizia, della morte. Il suo martirio è in realtà il trionfo della vita. La sua giovane esistenza infatti non è stata strappata via dalla terra, ma vi è stata deposta come un seme silenzioso. E ora, a distanza di tanti anni, non smette di crescere e benedirci con tanti frutti. Ecco dunque il primo motivo di gioia per essere qui assieme.
Questa seconda domenica del tempo pasquale è chiamata dalla tradizione della Chiesa domenica in albis. Perché questo nome? Anticamente, i fedeli che ricevevano il battesimo nella notte di Pasqua indossavano una tunica bianca per i successivi otto giorni, fino alla domenica seguente. La veste rappresentava la loro vita rinata dalle acque del peccato, la loro anima ripulita dai peccati precedenti, i loro corpi rivestiti dalla luce di Cristo. Essa era il simbolo di un passaggio a una vita nuova e più vera, di un’appartenenza definitiva a Cristo. Ritengo che anche questo fatto sia significativo oggi. Conosciamo bene l’attaccamento di Rolando alla sua veste talare. Anche per lui, la tunica ha rappresentato il passaggio a una nuova vita. Un passaggio cruento, feroce, brutale. Eppure un passaggio a una vita di luce. Il martirio è stato il momento in cui la sua veste è stata lavata con il sangue dell’agnello ed è diventata candida e splendente (cfr. Ap 7,14).
Questa seconda domenica di Pasqua, inoltre, è significativa anche perché Giovanni Paolo II ha voluto che fosse dedicata alla Divina Misericordia. Vorrei leggere assieme a voi le parole con cui Gesù stesso descrive a suor Faustina le grazie che elargirà in questa festa: «In quel giorno sono aperte le viscere della mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione e alla santa comunione riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine» (Diario di santa Maria Faustina Kowalska, 699). Sotto le usuali condizioni, oggi è dunque possibile ottenere l’indulgenza plenaria. In questa giornata, pertanto, ci sono poste innanzi un’infinità di grazie, segno dell’inesauribile abbondanza che sprigiona dall’evento pasquale.
E ora uno sguardo alle letture che abbiamo appena ascoltato. Tutte ci parlano del sorgere di una nuova vita dopo la resurrezione di Cristo. Gli Atti ci raccontano la vita di comunione della prima comunità. Nella lettera di san Pietro i fedeli sono confermati nella speranza viva e incorruttibile della partecipazione alla resurrezione di Cristo. Nel brano di Giovanni, Gesù dona agli apostoli il suo Spirito e li invia nel mondo a portare il suo perdono. Ma quali sono le caratteristiche della nuova vita inaugurata dalla resurrezione di Cristo?
Ritengo che ci siano due tratti che scaturiscono l’uno dall’altro vicendevolmente: la pace e la gioia. Pace a voi (Gv 20,19) sono le prime parole di Gesù agli apostoli dopo essere risorto. E dopo avere ripetuto lo stesso saluto una seconda volta, soffia lo Spirito su di loro (cfr. Gv 20,22). È lo stesso soffio che Dio ha insufflato nella terra per dare vita ad Adamo (cfr. Gen 2,7); lo stesso soffio che rigenera e infonde vita alle ossa inaridite della distesa di Ezechiele (cfr. Ez 37). La prima creazione è stata separata da Dio per il peccato, è stata dispersa, ridotta in polvere, dilaniata dalle divisioni del male.
Ora il Cristo risorto inaugura una creazione nuova che è riconciliata nell’unità. Tale unità si fonda sulla presenza viva di Cristo in mezzo ai suoi – stette nel mezzo (Gv 20,19) – ed è ottenuta e continuamente rinvigorita dal Suo perdono. La potenza di Cristo risorto distrugge il nostro male, il nostro peccato, le nostre divisioni, ci riavvicina a sé e così ci ristabilisce in unità con gli altri e con l’universo. La comunione pertanto è definitivamente ristabilita e diventa la sorgente della pace che Cristo aveva promesso. Una pace che il mondo non può costruire né offrire. Essa può solo essere ricevuta come grazia dall’azione di Cristo: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14,26-27).
Cari amici, invochiamo l’intercessione del beato Rolando. Possa rendere i nostri cuori sempre disponibili a ricevere la pace di Cristo risorto; possa condurre le nostre comunità alla scoperta dell’unità che Gesù ha inaugurato e della misericordia con cui continuamente le rigenera; possa mostrarci la gioia e il giubilo che si sperimentano nella comunione vissuta. Gli affidiamo inoltre gli ordinandi della nostra Diocesi che saranno consacrati il 27 maggio, nella prossimità della sua festa liturgica.
Amen.
✝ Massimo Camisasca FSCB
Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla