“IL GIUDICE ROSARIO ANGELO LIVATINO lavorava infaticabilmente, senza alcuna smania di protagonismo, senza ostentazione.
Rifuggiva, anzi, con ogni mezzo la notorietà. Una volta, in occasione di un’udienza piuttosto movimentata, con molti cronisti e fotografi, si nascose dietro un carabiniere per non essere immortalato («Sono in tribunale per lavorare…», si schermì). Il suo profondo senso del dovere messo al servizio della giustizia ne fa una specie di missionario: il «missionario» del diritto. La preghiera mattutina, la visita a Gesù nella chiesa accanto al Palazzo di Giustizia, il lavoro indefesso al Tribunale di Agrigento fino a sera inoltrata, la visita a qualche bisognoso. Rosario era così. Un viso dai lineamenti dolci, il sorriso appena accennato, i capelli neri pettinati con la riga di lato. Gli occhi scuri e fondi; lo sguardo fermo, penetrante. Un fisico minuto, da adolescente. Semplice e austero. Sobrio persino nel vestire: giacca e cravatta anche in piena estate, che non è facile da sopportare col caldo isolano. Rosario conosce sant’Agostino, il De vera religione: come per il vescovo africano, anche per lui non c’è contraddizione alcuna tra fede e ragione (e Dio sa quanto la ragione, il raziocinare logico, sia preponderante nella mentalità tipicamente «cartesiana» dei siciliani), perché entrambe vanno alla ricerca di Dio. Rosario ha una profonda conoscenza delle Sacre Scritture, dei Documenti conciliari, della Patristica. Il suo è un cristianesimo che si nutre di studio, di letture meditate, di riflessione. È un uomo di preghiera, e la preghiera è il cuore delle sue giornate, è la guida che informa la sua vita e che, parafrasando il grande mistico spagnolo san Giovanni della Croce, la trascina «verso il centro che è Dio, e fa discendere dei gradini sempre più profondi...».”
Dal sito: gesuiti.it
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