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31 gennaio, 2021

Celebrazione Eucaristica con le realtà di Vita Consacrata


A partire dalle ore 16 di sabato 30 gennaio, il Centro Comunicazioni sociali della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla trasmette la Celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Massimo Camisasca. con le realtà di Vita Consacrata. Nel corso della Celebrazione i religiosi rinnoveranno il loro proposito di Consacrazione e renderanno grazie, insieme al Vescovo, per gli anniversari giubilari di professione monastica o religiosa.


Omelia nella santa Messa per la Giornata della Vita Consacrata. IV domenica del Tempo Ordinario

 Omelia nella santa Messa per la Giornata della Vita Consacrata. IV domenica del Tempo Ordinario

Cattedrale di Reggio Emilia
30-01-2021


Cari fratelli e sorelle,

questa celebrazione ci vede qui raccolti in un numero limitato, nella certezza che a questa nostra preghiera partecipano tutte le persone consacrate che vivono nella nostra Chiesa e a cui è rivolta questa nostra Eucaristia.

 

Nel Vangelo che abbiamo appena proclamato, troviamo ben due volte uno sguardo sulla persona di Gesù attraverso le parole “insegnamento” e “autorità”. All’inizio, l’evangelista ci narra che Gesù, come era solito fare, partecipa un sabato a Cafarnao alla liturgia sinagogale. Il più delle volte, non solamente come uno tra gli altri, egli insegnava. I vangeli spesso ci mostrano Gesù che insegna nella sinagoga. Egli sa di avere un posto particolare nel suo popolo, una missione da svolgere. Sa che questa missione avviene innanzitutto attraverso l’insegnamento, cioè la rivelazione del disegno di Dio sul mondo, un disegno che ha al centro la sua Persona. Come riporta l’evangelista Luca, è Gesù stesso a rivelare, nella sinagoga di Nazareth, che le profezie si compiono nella sua missione (cfr. Lc 4,21).

Ma l’evangelista Marco non ci parla soltanto di un insegnamento. Egli descrive Gesù come un maestro dotato di autorità. Cosa vuole dirci? Vuole prepararci a ciò che il popolo stesso, presente nella sinagoga, maturerà dentro di sé. Nel luogo di preghiera, infatti, c’era un uomo posseduto da uno spirito immondo. Da lui esce una voce demoniaca che non può trattenersi e finisce per dare un’alta testimonianza di chi sia il Nazareno. Sei venuto a rovinarci. Io so che tu sei il Santo di Dio (cfr. Mc 1,24). A questo punto Gesù impone allo spirito immondo di uscire dal corpo di quello sventurato. Ed egli, gridando, scappa lontano.

Tra i presenti si diffonde stupore e timore. Non avevano mai visto nulla di simile. Hanno la chiara percezione di trovarsi di fronte a un evento in cui agisce Dio. Ma, forse, sono ancora più interrogati dalle parole del demonio: Tu sei il Santo di Dio. L’evangelista conclude riportando le frasi che correvano tra le bocche dei presenti: Che cosa è accaduto? A che cosa abbiamo assistito? Abbiamo visto qualcosa di assolutamente nuovo, una parola non solo rivelatrice, ma dotata di una forza di azione e di trasformazione, capace di inaugurare una nuova epoca nel mondo, quella in cui il male è cacciato e perciò il dolore e la morte, i grandi nemici dell’uomo, sono vinti.

 

La vita consacrata non è nient’altro che l’esistenza di uomini e donne chiamati nel mondo ad annunciare che Cristo è il santo di Dio, ad annunciare cioè che è possibile sulla terra iniziare un’esistenza liberata dal male e dalla morte. Tutto questo può avvenire soltanto ad una condizione: che essi si lascino interamente permeare dall’insegnamento di Gesù e, più ancora, dalla forza della sua azione risanatrice.

La vita consacrata non è la vita perfetta di colui che riesce con le proprie energie ad allontanare l’azione del demonio dalle ore della propria giornata, dai meandri della propria mente e del proprio cuore. Essa è piuttosto la vita di chi ama Gesù con tutte le forze del proprio cuore e della propria mente, perché ha visto in lui l’unico che può salvare la sua vita dal vuoto e dalla disperazione. Dal vuoto delle promesse del mondo e dalla disperazione che ci distrugge quando seguiamo gli idoli della terra. «Sulla vita religiosa – ci ricorda il Papa – incombe questa tentazione: avere uno sguardo mondano. È lo sguardo che non vede più la grazia di Dio come protagonista della vita e va in cerca di qualche surrogato: un po’ di successo, una consolazione affettiva, fare finalmente quello che voglio. Ma la vita consacrata, quando non ruota più attorno alla grazia di Dio, si ripiega sull’io. Perde slancio, si adagia, ristagna… Così si diventa abitudinari e pragmatici, mentre dentro aumentano tristezza e sfiducia, che degenerano in rassegnazione»[1].

 

La vita consacrata è la vita dell’innamorato, di colui che ha incontrato l’amore di Gesù e che vive per rispondere a questo amore, per contraccambiare questo amore, per piacere al Signore, come ci ha insegnato san Paolo nel brano della prima lettera ai Corinti che abbiamo ascoltato in questa liturgia (cfr. 1Cor 7,32-35).

La vita consacrata è un dialogo continuo tra innamorati. Là dove questo dialogo si attutisce o si spegne, la consacrazione si riduce a un insieme di regole pesanti, a cui è impossibile obbedire. Senza fascino, senza attrattiva. Consacrare la propria vita a Gesù equivale a lasciar penetrare in noi il profumo e il calore della sua presenza, seguire le tracce delle sue parole, delle sue azioni, dei suoi profumi. «La gioia di appartenergli per sempre è un incomparabile frutto dello Spirito Santo, che voi avete già assaporato»[2].

 

Nella prima lettura, tratta dal Deuteronomio, Dio parla con Mosè e gli ricorda le parole che il condottiero del popolo gli ha rivolto sull’Oreb. Mosè aveva detto a Dio: “non parlare più e non apparirmi più perché il tuo fuoco è troppo caldo, troppo luminoso, io ne vengo abbagliato e bruciato. Invece di vivere, ne morirò” (cfr. Dt 18,16). Dio ascolta la parola di Mosè, certamente ardita e, in un certo senso anche irriverente. Egli promette un profeta che parli in mezzo al popolo al suo posto e che abbia la sua luminosità senza essere così devastante. In questo brano del Deuteronomio abbiamo una stupenda profezia dell’incarnazione: l’umanità di Gesù diventa la parola che può essere capita, la luce che può essere accolta. Ciò che vale per lui, vale per ogni vita profetica. Il profeta è la trasparenza di Dio. In questo modo ci viene rivelato il valore e il significato profetico di ogni esistenza che poggia interamente la sua speranza di gioia e realizzazione nella sequela dell’umanità di Gesù.

 

Lascio a ciascuno di voi la meditazione di queste mie riflessioni che voglio soltanto facilitare con alcune domande.

Quale è per me l’origine della mia vita, della mia consacrazione?

Come avviene durante la mia giornata l’incontro con l’umanità di Gesù? Nella preghiera? Nel silenzio? Nella meditazione? Nell’incontro con i poveri, gli abbandonati, gli indemoniati?

Come vivo la profezia, la missione verso gli uomini e le donne che cercano Cristo?

 

Affido a Maria, Regina dei profeti, consacrata interamente a Dio, la fecondità di questa giornata nelle persone consacrate della nostra Chiesa.

Amen.

✝ Massimo Camisasca FSCB

Mons. Vescovo Reggio Emilia - Guastalla



[1] Francesco, Omelia nella santa Messa per la XXIV Giornata della Vita Consacrata, Basilica Vaticana 1 febbraio 2020.

[2] Paolo VI, Esortazione apostolica “Evangelica Testificatio”, n. 55.



27 gennaio, 2021

27 Gennaio.. il giorno della memoria...Auschwitz

 

Se osservassimo per un minuto in silenzio ogni vittima della shoah ... Resteremmo in silenzio per anni....😢
27 Gennaio.. il giorno della memoria...Auschwitz

"...eri ad Auschwitz, sapevi delle camere a gas come non lo so ma noi, sapevamo d'aver visto quella grande fiamma nera che abbiamo vissuto la mia bandiera fumo "profumato" che non puoi dimenticare...."
❤Janny Brandes-Brilleslijper❤



🙏Per non dimenticare
🙏


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Ⓒ Blog Site official di Canzano Barbara : LUIGI TENCO - MI SONO INNAMORATO DI TE: LUIGI TENCO - MI SONO INNAMORATO DI TE  Mi sono innamorato di te Perché non avevo niente da fare Il giorno volevo qualcuno da incontrare La ...





27 novembre 2020 27 gennaio 2021 due mesi senza don Antonio Maffucci (FSCB)

 27 novembre 2020 27 gennaio 2021 due mesi senza don Antonio Maffucci (FSCB)

Caro don Antonio, lei è come un petalo di giglio che si adagia sul nostro cuore e lo sconvolge, dal cielo, ci protegga e ci asciughi le lacrime, ci aiuti a conservare la sua memoria.


Canzano Barbara



REQUIEM AETERNAM
Réquiem aetérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace. Amen.

L'ETERNO RIPOSO
L'eterno riposo dona a don Antonio, o Signore,
e splenda a Lui la luce perpetua.
Riposi in pace. Amen.


19 gennaio, 2021

Il 19 Gennaio nel 1940 nasceva Paolo Borsellino all'anagrafe Paolo Emanuele.

 Il 19 Gennaio nel 1940 nasceva a Palermo il futuro magistrato, assassinato poi dalla mafia, Paolo Borsellino, all'anagrafe Paolo Emanuele Borsellino.




27 dicembre, 2020

Un mese senza don Antonio Maffucci FSCB

 Un mese senza don Antonio Maffucci FSCB

Signore misericordioso, che al tuo servo, sacerdote, ANTONIO MAFFUCCI FSCB, nel tempo della sua dimora tra noi, hai affidato la tua parola ed i tuoi sacramenti, donagli d'esultare per sempre nella liturgia del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.



REQUIEM AETERNAM
Réquiem aetérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace. Amen.

L'ETERNO RIPOSO
L'eterno riposo dona a don Antonio, o Signore,
e splenda a Lui la luce perpetua.
Riposi in pace. Amen.


24 dicembre, 2020

Natale del Signore


A partire dalle 19 di giovedì 24 dicembre, il Centro Comunicazioni sociali della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla trasmette la Messa della Notte di Natale presieduta dal vescovo Massimo Camisasca.


14 dicembre, 2020

1857: 14 dicembre si fondò l'Odine delle Suore Orsoline in Somasca

 Aiutata da un Padre Somasco, stende la bozza delle Regole attingendo a quelle delle Orsoline di Milano e le presenta al Vescovo di Bergamo, Mons. Speranza, che l'accoglie bruscamente e le nega l'approvazione.

Umiliata ma non abbattuta, Caterina si rimette all'opera, ma non avrà la gioia di vedere compiuto il suo sogno: muore il 5 maggio 1857... Mons. Speranza si recherà a Somasca il 14 dicembre dello stesso anno!

Così è il destino dei santi: gustare nell'aldilà, nella luce di Dio, il premio delle loro fatiche.

Papa Pio IX approva il decreto dell'ordine delle Suore in Somasca



11 dicembre, 2020

Don Antonio: un «Nuovo inizio» che si è compiuto nell’eternità

 Bastava guardarlo durante la consacrazione del pane e del vino, mentre celebrava la santa Messa, per capire che Gesù è vero. Così era don Antonio Maffucci: l’intensità della sua partecipazione al mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo era così profonda da stupire quanti lo incontravano. Un’appartenenza totale a Gesù che riverberava nella passione per il bene dei moltissimi amici che aveva in ogni parte d’Italia. Di questa passione è testimonianza l’ultimo messaggio che ci ha inviato il 7 ottobre scorso. Un testo in cui ripercorre tutti i passi della sua vita, dal giorno della nascita, e che contiene quasi un annuncio profetico della sua chiamata al cielo, il 27 novembre, dopo quasi un mese di ricovero in terapia intensiva. Don Antonio anelava a “un nuovo inizio, in un profondo silenzio, senza clamore, potente e discreto”. Quel “nuovo inizio” che si è compiuto nell’eterno.




02 dicembre, 2020

Funerale di don Antonio Maffucci F S C B


Omelia per il funerale di don Antonio Maffucci, FSCB


Cattedrale di Reggio Emilia, 2 dicembre 2020


Cari fratelli e sorelle,

questa liturgia di comminato, che celebriamo con commozione e abbandono filiale alla volontà di Dio, si colloca all’inizio del periodo di Avvento. Non possiamo vedere in ciò se non un segno misterioso e provvidente di Dio che ci richiama a considerare non soltanto la venuta di Gesù nella storia – nella capanna di Betlemme –, non soltanto la sua venuta di ogni istante nel nostro cuore – attraverso il dono dello Spirito –, ma anche la sua venuta nella gloria quando, compiuto il tempo e riconosciuto che tutto è ormai nelle sue mani, consegnerà al Padre l’universo (cfr. 1Cor 15, 24). Da allora in poi sarà definitivamente concluso il tempo del dolore e della morte come abbiamo sentito profetizzare con chiarezza da Isaia nella lettura che la Chiesa oggi ci ha proposto.

Non solo: ogni nostra lacrima sarà asciugata, ogni menzogna apparirà come tale perché Dio strapperà il velo che copre il destino di tutti i popoli (cfr. Is 25,7). La nostra vita sarà soltanto gioia e comunione. Nella comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito appariranno in trasparenza le nostre esistenze completamente purificate: il banchetto ricco di vivande grasse e di vini eccellenti – a cui ci hanno preparato non solo l’Antico Testamento, ma anche le parole stesse di Gesù – rivela per noi, poveri uomini, attraverso un’immagine seppur sbiadita e lontana, ciò che ci attende.

In questa luce il mistero della morte ci appare come uno strappo dolorosissimo, ma insieme anche come il giorno della nascita: dies natalis, secondo l’espressione bellissima già in uso nelle origini cristiane. Abbiamo passato tutta la vita nel buio verso la luce. Il genio di Platone aveva già compreso tutto: viviamo in una caverna[1], come il bambino nella placenta della madre durante i mesi di gravidanza, ma questa non è ancora la vita piena, anche se è già vita, anche se è già illuminata e conquistata dalla grazia di Dio. È vita in attesa del suo compimento definitivo. Così come dolorosamente il bambino esce dal seno della madre, allo stesso modo noi usciamo dolorosamente da questa esistenza per entrare nella vita definitiva. Come sapientemente e semplicemente ha scritto Teresa di Lisieux: «Non muoio. Entro nella vita»[2].

 

Questa liturgia di commiato mi richiede, con dolce obbligazione, di parlare di don Antonio affinché il segno così luminoso della sua vita non sia dimenticato. Don Antonio è stato il primo giovane che ho incontrato fra coloro che sarebbero poi entrati nella Fraternità san Carlo. Io avevo 21 anni, lui 18. È stato subito un avvenimento di amicizia, che non si è mai interrotto per più di 50 anni. Nessuno di noi due allora poteva immaginare, neppur lontanamente, dove ci avrebbe portato la vita. Eravamo due giovani entusiasti di Cristo e della Chiesa, conquistati dall’ardore missionario di don Giussani, desiderosi di fare conoscere la ragione della nostra gioia a tutti i nostri coetanei. Dopo un po’ di anni ci siamo trovati assieme in seminario a Bergamo e lì, con Umberto Fantoni, è nato il primo seme, assolutamente inconsapevole, di quello che sarebbe stata poi la Fraternità san Carlo. Non abbiamo mai fatto progetti. Ci lasciavamo semplicemente portare da ciò che lo Spirito ci dettava attraverso le richieste degli amici e della Chiesa. Antonio era mosso da una generosità senza limiti, che ai miei occhi appariva anche un po’ folle. Già da giovanissimo stringeva rapporti con un’infinità di persone che non sarebbero più svanite dalla sua memoria e che avrebbe rivisitato dopo anni e decenni come fosse la prima volta, arrivando naturalmente sempre in ritardo perché il suo cuore lo portava a programmare più di quanto poi potesse realizzare. L’automobile era la sua casa e io tremavo pensando ai pericoli che correva ogni giorno senza assolutamente riuscire a farlo demordere. Attraverso di lui, centinaia di giovani – prima a Pescara, poi a Roma e poi a Grosseto, dove ha insegnato nelle scuole superiori per più di 20 anni – hanno conosciuto Cristo per la prima volta o l’hanno incontrato di nuovo secondo una modalità affascinante che non avrebbero più dimenticato. Decine di questi ragazzi avrebbero poi scoperto una vocazione di dedizione totale a Dio nelle diverse forme che la Chiesa offriva loro. Per tutti questi ragazzi don Antonio è stato un padre.

Mi ha commosso leggere in questi giorni alcune loro lettere. «Con lui muore una parte di me, muore perché sento strapparmi l’esperienza di un affetto e di una paternità che ha segnato la mia adolescenza e giovinezza. Mi ha insegnato che tutto ciò che di bello abbiamo vissuto sarà per l’eternità»: così mi ha scritto un suo scolaro, ora sacerdote nei cappellani militari. Aggiunge anche: «Era confusionario, macinatore di chilometri, sbadato, stralunato, non aveva il senso del tempo, te lo trovavi a casa a qualunque ora, proveniente da ogni parte d’Italia». Un altro mi scrive: «Entrò in classe al liceo classico di Grosseto con un accento del Nord. Ci chiedeva di proporre delle canzoni o delle poesie per parlarne assieme. Le sue lezioni avevano sempre un taglio esistenziale che era per me totalmente nuovo. Iniziò un cammino nel quale io e don Antonio ci vedevamo quasi ogni giorno. Il più grande amore che mi ha trasmesso è stato quello per l’Eucaristia. Ho imparato da lui la passione missionaria. Il suo essere perennemente in ritardo ci faceva proprio arrabbiare». E conclude in modo commovente: «Non poteva arrivare in ritardo anche stavolta?».

Col tempo don Antonio è cambiato. Sono entrati nella sua vita un’infinità di persone malate nel corpo e nello spirito. È cresciuta così la sua devozione a Maria, i pellegrinaggi a Međugorje, le preghiere di liberazione. Talvolta mi sono trovato a correggerlo su alcuni aspetti della sua pastorale che mi sembravano esagerati. Ma egli, come sempre, non conosceva se non una regola: la dedizione senza risparmio alle persone che si rivolgevano a lui.

Quando è arrivato a Reggio come rettore del santuario di san Valentino, don Antonio era visibilmente invecchiato. Anche se il calendario diceva che avrebbe potuto avere ancora molti anni davanti a sé, il suo volto e la sua voce mi parlavano di una stanchezza interiore che mi rattristava. Aveva chiaramente dato tutto se stesso.

 

Questa morte per me non è come le altre, come la morte di altri amici che ormai, molto numerosi, mi hanno preceduto nella casa del Padre. Si tratta di un fratello con cui ho condiviso un’infinità di momenti. È strano: dopo aver firmato con me e altri fratelli la fondazione della Fraternità, non è entrato nel governo di essa, non gliel’ho chiesto e non si è mai lamentato. Progressivamente ha preferito una vita solitaria. Non perché rifuggisse la compagnia, ma perché questo era il suo modo di essere nella Chiesa. Anche in una Società di vita apostolica si può vivere da solitari. Benché questa sia un’eccezione, dobbiamo ricordarci che lo Spirito ha sempre la prevalenza su ogni nostro schema, anche quello più motivato.

La scomparsa di don Antonio, avvenuta in questo modo strano e terribile che ci ha impedito di salutarci, richiama la mia vita con molta semplicità e serenità all’approssimarsi del suo compimento. Come ci invita san Paolo, dobbiamo aspirare alle cose di lassù e pensare alle cose di lassù (cfr. Col 3, 1-4), non assolutamente per sottrarci alla vita presente, ma per assaporarne con più profondità e intelligenza l’eterno che già cova in essa come la brace sotto la cenere.

 

Grazie don Antonio della tua vita donata, non solo e non tanto senza risparmio, ma senza vanagloria, quasi senza pensarci! Grazie della tua gioia, della tua freschezza infantile, del tuo amore per Cristo e per la Chiesa!

 Amen.

 ✝ Mons. Massimo Camisasca FSCB

Vescovo Reggio Emilia - Guastalla


[1] Cfr. Platone, La Repubblica, Libro VII, 514b-520°.

[2] Teresa di Lisieux, Lettera 244.


L' intervento di don Paolo Sottopietra al funerale di Padre Antonio Maffucci F S C B

Mercoledì 2 dicembre 2020: Perfetti nell'amore amando i nemici


La parola del vescovo Massimo di Mercoledì 2 dicembre 2020


Lettera a Don Antonio Maffucci FSCB

 Lettera a Don Antonio Maffucci FSCB

mercoledì 2 dicembre 2020

Autore: Amato, Avv. Gianfranco Curatore: don Gabriele 




Il Signore lo ha chiamato a sé. La sua vita è ora nella gioia

Caro Antonio,
avrei voluto vedere
il tuo sorriso
quando hai sentito
accarezzarti la fronte
dalla mano del piccolo Rolando.
Era lì,
accanto al tuo letto
col suo cappello da seminarista.
Sapevi già
che sarebbe stato proprio lui
a venirti a prendere
per accompagnarti
verso la Bellezza
di quel Mistero Infinto
cui ha anelato
ogni singolo istante
della tua irrequieta esistenza.
Erano in tanti
ad attenderti lassù.
Ma soprattutto Lei.
Solo la sua materna carezza
è riuscita a farti commuovere
fino alle lacrime.
Hai portato con te
tutte le sofferenze, le angosce,
i dolori, le ansie, i problemi, le necessità,
i bisogni materiali e spirituali
delle migliaia di persone
che hai incontrato sulla Terra
e che ti hanno chiesto aiuto.
Hai portato con te
questo pesante fardello
nel tuo cuore,
talmente grande
da riuscire a contenere tutto.
Pensavano di farti riposare,
ma non ti conoscevano.
Ignoravano
che aspettavi proprio
di giungere in Paradiso
per poter aiutare finalmente
tutti gli amici che hai lasciato
e tutti quelli che nel mondo
hanno bussato alla tua porta.
Lassù, oramai, ti conoscono tutti.
Sei quello dell’Alfa 75 rossa,
che sfreccia di nuvola in nuvola,
perché c’è sempre qualcuno
da incontrare, qualcuno a cui chiedere
un consiglio o un favore,
un Santo da andare a trovare per risolvere
un problema.
Continui a correre anche lassù.
Ora che hai un’autostrada
tutta per te, e non hai più paura di cadere
nell’agguato del colpo di sonno.
O nella trappola dell’Autovelox.
A nulla sono valse
le rimostranze di San Pietro.
Dio ti ha guardato,
ha scosso la testa,
e ha sorriso compiaciuto.
Neppure Lui ha il potere di fermarti.
Ormai, sono certo, hai già girato
tutto il Paradiso.
Non c’è un angolo,
neppure il più remoto e nascosto,
che tu non abbia già visto
o dove tu non sia già stato.
Se un giorno avrò la grazia
di raggiungerti, caro Antonio,
mi piacerebbe visitare il Paradiso
insieme a te.
Magari a bordo della tua 75 rossa.
Un abbraccio.

Gianfranco

Mangiarotti Fonte:CulturaCattolica.it