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15 ottobre, 2021

Pensiero del 15 ottobre 2021

 Meditazione sul Vangelo di Lc 12,1-7

Vincere l’ipocrisia.

Gesù, uscito dalla casa dove aveva mangiato, istruisce una grande folla invitando a non essere ipocriti. Spiega che l’ipocrisia non avrà futuro nel Regno dei Cieli e che tutto verrà alla luce. Nella seconda parte del brano, sembra aver intuito la paura della gente, soprattutto dei suoi seguaci più stretti. Gesù, infatti, aveva apertamente aggredito la “classe dirigente” e chi lo segue temeva evidentemente delle ritorsioni. Allora Gesù chiama i suoi discepoli “amici” per rassicurarli, poi dice loro di temere solo il diavolo; Dio, invece, li conosce e li protegge.

Non è necessario mostrarci diversi da ciò che siamo per essere più apprezzati o stimati. Forse, così facendo, potremmo riuscire ad ingannare gli uomini, ma non certo Dio! Il nostro rappresentarci diversi da ciò che siamo prima o poi verrà alla luce. Quando Gesù chiama “ipocriti” i farisei, lo fa mettendo in guardia la gente che lo segue, affinché non si faccia “contagiare” da questo modo di fare. L’ipocrisia, infatti, facilmente genera altra ipocrisia, rendendo la nostra vita tutta una finzione. Talvolta è la paura che ci fa seguire la via dell’ipocrisia. Ci mostriamo diversi da come siamo per non doverne subire conseguenze. O anche perché non riusciamo a guardarci dentro, non siamo in grado – per varie ragioni – di essere veramente onesti con noi stessi. Non riusciamo ad essere semplicemente così com’è il nostro cuore, ma pensiamo di dover fingere con noi stessi, con gli estranei e a volte anche con Dio. Gesù ci dice che non c’è ragione per questa ipocrisia. Ci chiama amici – nonostante le nostre paure, le nostre debolezze e i nostri limiti -, ci sta vicino. Un amico non è come un servo o un impiegato che può essere licenziato sulla base del suo rendimento. L’amicizia è un legame più profondo, che non si basa su calcoli di convenienza. Quantomeno l’amicizia che ci offre Gesù. Dinanzi ad un vero amico possiamo e dobbiamo essere onesti. Sarebbe peraltro assai ingenuo non esserlo. Gesù ci dice che addirittura i passeri sono conosciuti da Dio e sono amati da Lui ad uno ad uno. E ciò che abbiamo di “superfluo”, come i nostri capelli, sono contati da Dio. Egli ci conosce meglio di quanto ci conosciamo noi stessi: è quindi inutile fingere. Dovremmo, anzi, chiedergli di mostrarci dove e come cambiare! E se poi, nonostante Lui ci conosca così bene, ci chiama “amici”, comprendiamo che i giudizi degli uomini non ci possono fare alcunché.

15 Ottobre 

Tu sei il mio rifugio, Signore

Su di noi, sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo.

(Salmo 32,22)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 31)
Rit: Tu sei il mio rifugio, Signore.

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

Rallegratevi nel Signore
ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore,
gridate di gioia!

Su di noi, sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo.

(Salmo 32,22)

14 ottobre, 2021

Così Giovanni Paolo I ha salvato una bambina dalla morte. “Fu un miracolo”, Papa Luciani Beato

Così Giovanni Paolo I ha salvato una bambina dalla morte. “Fu un miracolo”, Papa Luciani Beato

Una ragazzina argentina rischiava la vita o di rimanere allo stato vegetativo. Dopo una notte di preghiera guarì da una gravissima encefalopatia: l’episodio attribuito al Pontefice avvenne il 23 luglio 2011 a Buenos Aires




CITTÀ DEL VATICANO. È disperato il volo dell’elicottero da un ospedale dello Stato argentino del Paraná al prestigioso Istituto Favaloro, nosocomio tra i più all’avanguardia nella capitale Buenos Aires. Ci sono scarsissime speranze di salvare la vita alla piccola Irene (nome di fantasia), una bambina affetta da «grave encefalopatia infiammatoria acuta, stato di male epilettico refrattario maligno, shock settico», come si legge nel bollettino medico. È il mese di maggio dell’anno 2011. La migliore aspettativa per la ragazzina è lo stato vegetativo. E invece dieci anni dopo, quella bambina è diventata una ragazza di 21 anni che sta bene, ha finito regolarmente gli studi secondari e adesso frequenta, allegra e determinata, l’università nell’entroterra argentino, dando prospettive incoraggianti alla sua famiglia - madre e due sorelle - che vive in dignitosa povertà. E Irene con la sua famiglia ieri ha esultato e festeggiato - «era felicissima», assicura chi le ha parlato - alla notizia giunta dall’altra parte del mondo, dalle Sacre Stanze vaticane: il suo «salvatore», Albino Luciani diventato papa Giovanni Paolo I per trentatré giorni nel 1978, diventerà beato per volere di un successore, Francesco, conterraneo della «miracolata». Per la beatificazione di un non martire, la Chiesa «pretende» un miracolo. Ecco com’è andata.

Il calvario di Irene è iniziato «il 20 marzo 2011» - si legge nelle carte della Congregazione delle Cause dei Santi - con «un forte mal di testa che continuò sino al 27 marzo, quando si manifestarono febbre, vomito, disturbi comportamentali e della parola». La diagnosi è devastante: «Encefalopatia epilettica ad insorgenza acuta, con stato epilettico refrattario ad eziologia sconosciuta». Il quadro clinico è gravissimo, con numerose crisi epilettiche quotidiane, «tanto che fu necessario intubarla». Passano due mesi, e la situazione non migliora. Così, il 26 maggio «la piccola venne trasferita, con prognosi riservata, a Buenos Aires». Altri due mesi senza luce all’orizzonte. E il 22 luglio la condizione clinica «peggiorò ulteriormente per la comparsa di uno stato settico da broncopolmonite». I dottori convocano i familiari per pronunciare la sentenza di «morte imminente».

Ma non hanno tenuto conto di un parroco, padre Josè, il pastore della parrocchia vicina. Il prete «si recò al capezzale della piccola e propose alla madre di chiedere insieme l’intercessione di Giovanni Paolo I, al quale era molto devoto». Quella notte - con «un lungo momento di preghiera», racconta il postulatore della causa, il cardinale Beniamino Stella - chi vuole bene a Irene si aggrappa spiritualmente alla veste bianca del Papa veneto morto 33 anni prima, per domandargli di «convincere» Dio a compiere il prodigio.


Il giorno dopo, 23 luglio 2011, nella sorpresa generale, si registra «un rapido miglioramento dello shock settico, che continuò con il recupero della stabilità emodinamica e respiratoria». E nelle settimane successive sarà un susseguirsi di buone e straordinarie novità. L’8 agosto la paziente viene «estubata»; il 25 agosto «lo stato epilettico apparve risolto e il 5 settembre la paziente venne dimessa». La bambina riacquisterà «la completa autonomia fisica e psico-cognitiva-comportamentale». Guarita. Inspiegabilmente dal punto di vista medico-scientifico. Per i teologi si è dimostrato chiaro «il nesso causale con l’invocazione a Giovanni Paolo I».

Oltretevere spiegano che si tratta di una «restitutio ad integrum», uno di quei miracoli «grossi», di più c’è solo la resurrezione: significa che sono stati pienamente ricostituiti i gravi danni, in particolare al cervello, provocati dalla malattia.

Pensiero del 14 ottobre 2021

 Non ci accada, di farci bastare la sicurezza, che nasce dal sentirsi a posto davanti a Dio, e che non accada di contaminare altri. con questa auto salvezza.

Meditazione sul Vangelo di Lc 11,47-54

Profeti del nostro tempo

Il passo odierno della lettera ai Romani sintetizza quanto abbiamo visto fino ad ora: tutti sono sottoposti al peccato, pertanto tutti hanno bisogno della grazia di Dio in Cristo. Ne hanno bisogno non solo i pagani, ma anche i Giudei perché nessuno può pretendere di accumulare crediti di fronte a Dio. Il tema del sangue di Cristo, strumento di espiazione, collega la prima lettura al Vangelo, dove si parla del sangue dei profeti, anticipazione del sangue di Cristo. Questo è il destino dei profeti e degli apostoli.

Tutto l’arco della storia della salvezza, dall’inizio alla fine, è segnato dall’uccisione degli inviati di Dio. Questa generazione deve rendere conto del sangue dei profeti e degli apostoli. L’affermazione vale prima di tutto per il tempo di Gesù: i capi religiosi di Israele devono rispondere della morte dell’inviato definitivo di Dio. Gesù non è un profeta come gli altri. L’affermazione, tuttavia, ha valore anche oggi. Ogni generazione deve mantenere un atteggiamento di umiltà, e non giudicare troppo facilmente le generazioni passate. Dio, infatti, manda continuamente i suoi messaggeri, e non sempre si è in grado di riconoscerli. Nel momento in cui condanniamo i nostri padri perché non hanno accolto gli inviti alla conversione rivolti loro dai profeti del loro tempo, siamo sicuri di seguire i profeti del nostro tempo? E’ più facile sapere come avrebbero dovuto comportarsi gli uomini del passato, che sapere come dobbiamo comportarci noi oggi. Come faccio a discernere la Volontà di Dio trasmessa dai suoi messaggeri oggi? Il criterio fondamentale è la Parola di Dio: il messaggio è in sintonia con quanto dice la Bibbia? E il secondo criterio è l’attenzione ai  segni dei tempi: come Dio si manifesta oggi? La Bibbia è il Codice di interpretazione della realtà: una realtà senza codice, rimane indecifrabile, e un codice senza aggancio alla realtà, non ha più la capacità di parlare. I dottori della legge si rifiutano di interpretare correttamente la Scrittura perché non ne accolgono il criterio fondamentale di accesso: Cristo. Solo in Cristo tutto assume significato. E Lui la chiave di interpretazione della realtà, dell’esistenza, della mia vita. Ho mai letto la mia vita alla luce di Cristo? L’ho fatto diventare il criterio in base al quale comprendere e comprendermi? Il danno peggiore che posso fare a una persona è impedirle l’accesso all’interpretazione della vita a partire da Cristo. E, al contrario, questo è il dono più bello che posso darle.

14 Ottobre

Con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione

Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore.
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

 (Giovanni 14,6)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 129)
Rit: Con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione.

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica.

Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore.

Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora.

Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore.
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

 (Giovanni 14,6)

13 ottobre, 2021

13 ottobre 1917 104 anni fa

 13 ottobre 1917 104 anni fa

Con il Miracolo del Sole, si concludono le Apparizioni Mariane di Fatima.
È curioso osservare come il Giornale portoghese "O Seculo", noto per essere laicista e anticattolico, riportò la narrazione del miracolo con la testimonianza dei presenti.
Charlie Bunga Banyangumuka



Papa Luciani, riconosciuto il miracolo: «sarà proclamato beato».

Papa Luciani, riconosciuto il miracolo: «sarà proclamato beato».


Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sulla guarigione miracolosa attribuita all’intercessione di Giovanni Paolo I, un Pontefice rimasto nel cuore della gente

VATICAN NEWS

Papa Francesco ricevendo stamane in udienza il cardinale Marcello Semeraro ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che riconosce un miracolo attribuito all’intercessione di Giovanni Paolo I. Si tratta della guarigione avvenuta il 23 luglio 2011 a Buenos Aires, di una bambina undicenne affetta, si legge sul sito del dicastero, da “grave encefalopatia infiammatoria acuta, stato di male epilettico refrattario maligno, shock settico” e ormai in fin di vita: il quadro clinico era molto grave, caratterizzato da numerose crisi epilettiche giornaliere e da uno stato  settico da broncopolmonite. L’iniziativa di invocare Papa Luciani era stata presa dal parroco della parrocchia a cui apparteneva l’ospedale.

Il Pontefice veneto è dunque ormai prossimo alla beatificazione e ora si attende soltanto di conoscerne la data, che sarà stabilita da Francesco.
 


Nato il 17 ottobre 1912 a Forno di Canale (oggi Canale d’Agordo), in provincia di Belluno, e morto il 28 settembre 1978 in Vaticano, Albino Luciani è stato Papa soltanto per 33 giorni, uno dei pontificati più brevi della storia. È figlio di un operaio socialista che aveva lavorato a lungo da emigrante in Svizzera. Nel biglietto che gli scrive suo padre, dandogli il consenso a entrare in seminario, si legge: “Spero che quando tu sarai prete, starai dalla parte dei poveri, perché Cristo era dalla loro parte”. Parole che Luciani metterà in pratica durante tutta la sua vita.

Albino viene ordinato prete nel 1935 e nel 1958, subito dopo l’elezione di Giovanni XXIII che da patriarca di Venezia l’aveva conosciuto, viene nominato vescovo di Vittorio Veneto. Figlio di una terra povera caratterizzata dall’emigrazione, ma anche molto vivace dal punto di vista sociale, e di una Chiesa segnata da figure di grandi sacerdoti, Luciani partecipa all’intero Concilio Ecumenico Vaticano II e ne applica con entusiasmo le direttive. Trascorre molto tempo in confessionale, è un pastore vicino alla sua gente. Negli anni in cui si discute della liceità della pillola anticoncezionale, più volte si esprime in favore di un’apertura della Chiesa sul suo impiego, avendo ascoltato molte giovani famiglie. Dopo l’uscita dell’enciclica Humanae vitae, con la quale Paolo VI nel 1968 dichiara moralmente illecita la pillola, il vescovo di Vittorio Veneto si farà promotore del documento, aderendo al magistero del Pontefice. Paolo VI, che ha avuto modo di apprezzarlo, alla fine del 1969 lo nomina patriarca di Venezia e nel marzo 1973 lo crea cardinale.
 

Luciani, che ha scelto per il suo stemma episcopale la parola “humilitas”, è un pastore che vive sobriamente, fermo in ciò che è essenziale nella fede, aperto dal punto di vista sociale, vicino ai poveri e agli operai. È intransigente quando si tratta dell’uso spregiudicato del denaro ai danni della gente, come dimostra la sua fermezza in occasione di uno scandalo economico a Vittorio Veneto che vede coinvolto un suo sacerdote. Nel suo magistero insiste particolarmente sul tema della misericordia. A Venezia, da patriarca, avrà molto da soffrire a causa della contestazione che caratterizza gli anni del post-concilio. Nel Natale 1976, in un periodo in cui le fabbriche del polo industriale di Marghera erano occupate, pronuncia parole ancora oggi attualissime: “Sfoggiare lusso, sprecare denaro, rifiutare di investirlo, trafugandolo all’estero, non costituisce solo insensibilità ed egoismo: può diventare provocazione e addensare sulle nostre teste quella che Paolo VI chiama ‘la collera dei poveri dalle conseguenze imprevedibili’ ”. Grande comunicatore, è autore di un fortunato libro che si intitola “Illustrissimi”, con lettere da lui scritte e idealmente spedite ai grandi del passato con giudizi sul presente. Particolare importanza rivestono per lui la catechesi e la necessità per chi trasmette i contenuti della fede di farsi capire da tutti. Dopo la morte di Paolo VI, il 26 agosto 1978 viene eletto in un conclave che dura lo spazio di una giornata. 

Il doppio nome è già un programma: unendo Giovanni e Paolo, egli non soltanto offre un tributo di riconoscenza ai Papi che l’hanno voluto vescovo e cardinale, ma segna anche una via di continuità nell’applicazione del Concilio, sbarrando la strada sia a nostalgici ripiegamenti nel passato sia a incontrollate fughe in avanti. Abbandona l’uso del “Noi”, del plurale maiestatis, e nei primi giorni rifiuta l’uso della sedia gestatoria, piegandosi alla richiesta dei suoi collaboratori solo quando si rende conto che procedendo a piedi le persone che non stanno nelle prime file faticano a vederlo. Le udienze del mercoledì durante il suo brevissimo pontificato sono incontro di catechesi: il Papa parla senza testo scritto, cita poesie a memoria, invita un ragazzo e un chierichetto ad avvicinarsi e dialoga con loro. In un discorso a braccio, ricorda di aver patito la fame da bambino e ripete le coraggiose parole del suo predecessore sui “popoli della fame” che interpellano i “popoli dell’opulenza”. Esce una sola volta dal Vaticano, nelle afose settimane della fine estate 1978, per prendere possesso della sua cattedrale, San Giovanni in Laterano, e riceve l’omaggio del sindaco di Roma, il comunista Giulio Carlo Argan, rivolgendosi al quale il nuovo Papa cita il Catechismo di san Pio X ricordando che tra “i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio” ci sono “opprimere i poveri” e “defraudare la giusta mercede agli operai”.

Muore improvvisamente nella notte del 28 settembre 1978. Viene ritrovato senza vita dalla suora che ogni mattina gli portava il caffè in camera. In poche settimane di pontificato era entrato nel cuore di milioni di persone, per la sua semplicità, per la sua umiltà, per le sue parole in difesa degli ultimi e per il suo sorriso evangelico. Attorno a quella morte improvvisa e inaspettata si sono costruite molte teorie su presunti complotti che sono serviti per vendere libri e produrre film. Una ricerca documentata sulla morte, che chiude definitivamente il caso, è stata firmata dalla vice-postulatrice del processo di beatificazione, Stefania Falasca (Cronaca di una morte, Libreria Editrice Vaticana).

La fama di santità di Albino Luciani si è diffusa molto presto. Tante persone lo hanno pregato e lo pregano. Tante persone semplici e anche un intero episcopato – quello del Brasile – hanno chiesto l’apertura del processo che ora, dopo un iter ponderato, è arrivato alla sua conclusione.

Pensiero del 13 ottobre 2021

 Se il cuore, non si lega in modo indissolubile al Padre celeste, la religione è falsata qualsiasi cosa si faccia, anche la più buona. Una religione incentrata sul proprio io e sull'apparire giusti agli occhi del mondo, è la peggiore delle religioni.

Meditazione sul Vangelo di Lc 11,42-46

L’autogiustificazione.

Nel Vangelo di oggi Gesù critica due categorie: i farisei e i dottori della legge. Non critica la loro attenzione alla legge. Ma li critica perché sono così orgogliosi da ritenere di essere gli unici a sapere cosa significa l’obbedienza alla legge. Inoltre, essi non riconoscono che Dio può dire ed esigere ben oltre la legge. E che lo fa in Gesù. Contro questo atteggiamento Gesù risponde con estrema forza.

Sembra assai duro il Signore. Non riconosciamo quasi quel Gesù che perdona, che accoglie anche il peccatore, che ci accetta così come siamo. Riprende, invece, in modo assai duro i farisei, quelli che si giustificano da sé. Sono coloro che meticolosamente si attengono ad ogni regola, anche la più piccola, ma perdono di vista ciò che è ben più importante: l’amore e la giustizia di Dio. E nel fare ciò che è giusto vogliono anche essere lodati, riveriti, vogliono ricevere onore. Si sentono i modelli da seguire. Gesù, invece, dice loro che sono “morti dentro”, che sono marci e che il contatto con loro rende la gente – anche se non lo sa – impura. Udito ciò, i dottori della legge si sentono chiamati in causa. Sono loro che interpretano la legge. E lo fanno a loro vantaggio. Mentre pretendono dagli altri un’assoluta attenzione alle leggi, loro trovano le scappatoie. Gesù condanna severamente il loro modo di fare. Gesù non è cambiato in questi versetti di Luca. È sempre lo stesso Gesù che perdona e che ci accoglie. Ma il peccatore deve pentirsi, e l’uomo deve riconoscere che non può farsi giustizia da solo. Seguire alla lettera le regole non rende automaticamente più giusti, più buoni, più grandi davanti al Signore. È l’amore e la fiducia nella giustizia di Dio che, nel seguire le norme e le leggi, ci apre la porta alla salvezza. Gesù lo mostra chiaramente quando i suoi discepoli non seguono farisaicamente le regole del sabato. La legge di Gesù non è quella dei dottori della legge. Egli non interpreta meticolosamente ogni piccolo dettaglio, non riprende coloro che non si attengono a questo regolamento. Non stila cataloghi di leggi, ma offre due comandamenti chiave che racchiudono tutto. Come dire che Gesù riesce a perdonare le trasgressioni – è morto portando i nostri peccati affinché noi avessimo salva la vita – ma nulla può fare con chi non si affida a lui, con chi si appoggia solo alla propria giustizia.

13 Ottobre

Secondo le sue opere, Signore, tu ripaghi ogni uomo

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore, ed io le conosco ed esse mi seguono.

(Giovanni 10,27)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 61)
Rit: Secondo le sue opere, Signore, tu ripaghi ogni uomo.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.

Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore:

«Nostro rifugio è Dio».

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore, ed io le conosco ed esse mi seguono.

(Giovanni 10,27)

12 ottobre, 2021

Pensiero del 12 ottobre 2021

 Meditazione sul Vangelo di Lc 11,37-41

Lavare l’interno.

Il pranzo al quale il fariseo ha invitato Gesù fa da cornice per un nuovo rimprovero. Questo nasce dalla domanda circa il perché Gesù non si fosse lavato prima di mettersi a mangiare, come d’uso presso gli ebrei. Dopo aver ripreso i suoi interlocutori sulla pulizia interna ed esterna dell’uomo, Gesù propone l’esemplo dell’elemosina per dire come dovrebbe essere l’uomo, per essere pulito.

 “Puliti dentro, belli fuori” recita una pubblicità per un’acqua minerale. E ha sicuramente ragione: una bellezza interiore traspare anche all’esterno. Persone “trasparenti” alla volontà di Dio, persone che dentro sono veramente “pulite”, lasciano il segno per quel qualcosa “di più” – spesso non descrivibile a parole – che colpisce il prossimo. Non è certo questo il senso della pubblicità. Ma questo ritornello dell’acqua minerale ce lo può ricordare. I farisei, lavandosi le mani non facevano altro che seguire le disposizioni prescritte dalla legge di Mosè alle quali essi scrupolosamente si attenevano. E Gesù li riprende. Riprende così anche quella parte di ciascuno di noi che è “farisea”, che si cela dietro alle prescrizioni e ai comandamenti, quando invece dovrebbero essere la libertà e l’amore a governarci. La storia narrataci dall’evangelista oggi non ha neppure bisogno di molta fatica per essere interpretata. Quante volte ci laviamo a causa di microbi e batteri che ci potrebbero attaccare, quante docce facciamo e quanti “detersivi” usiamo per noi stessi e per la pulizia delle nostre case? E poi diamo uno sguardo al nostro “interno”. Quanti “microbi”, quanti “batteri” lasciamo tranquillamente proliferare senza occuparcene minimamente. Tiriamo su “batteri” di invidia, cattiveria, superbia, avidità… e le nostre pulizie, rare e poco profonde, si limitano a togliere lo sporco superficiale, che è più evidente. Forse, se diamo “qualcosa di noi” ad altri, tirando fuori quel che siamo e abbiamo per donarlo, possiamo renderci conto di cosa siamo. Può essere qualcosa di materiale, ma potrebbe essere anche qualcosa di più profondo. A chi ci chiede l’elemosina, possiamo dare i centesimi che ci avanzano. Possiamo anche dare un saluto di cuore, o un sorriso. Ci riusciremo se al nostro interno la gioia sarà tanta da poter traboccare, e il nostro cuore tanto colmo da poter accogliere anche l’altro. La premessa è la pulizia: solo togliendo quanto è “sporco” potremmo dare qualcosa di “pulito”!

12 Ottobre

I cieli narrano la gloria di Dio

La parola di Dio è viva, efficace; discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

(Ebrei 4,12)

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 18)
Rit: I cieli narrano la gloria di Dio.

I cieli narrano la gloria di Dio,
l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il racconto
e la notte alla notte ne trasmette notizia.

Senza linguaggio, senza parole,
senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
ed ai confini del mondo il loro messaggio.

La parola di Dio è viva, efficace; discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

(Ebrei 4,12)

11 ottobre, 2021

Nel transito del beato Carlo Acutis

 Benedetta la tua anima e il tuo cuore caro Beato Carlo Acutis, proteggimi dal male, con tanta gratitudine, grazie di tutto, sempre



Dice Papa Giovanni XXIII: «Quando tornate a casa, date una carezza, ai vostri bambini e dite a loro, che la carezza, gliela dona il Papa».


Dice Papa Giovanni XXIII: «Quando tornate a casa, date una carezza, ai vostri bambini e dite a loro, che la carezza, gliela dona il Papa».

"Signore, fammi diventare come tu desideri"

Beato Carlo Acutis

Beato Carlo Acutis

Nome: Beato Carlo Acutis
Titolo: Adolescente
Nascita: 3 maggio 1991, Londra, Inghilterra
Morte: 11-12 ottobre 2006, Monza, Monza e Brianza
Ricorrenza: 11-12 ottobre
Tipologia: Commemorazione
Protettore:del web




Carlo Acutis nacque a Londra il 3 maggio 1991 da Andrea Acutis e Antonia Salzano, milanesi provvisoriamente in città per lavoro. Carlo fin da piccolo manifesta un'indole particolarmente devota tanto che tornati in Italia a soli 7 anni chiese di poter ricevere la Prima Comunione.

Richiesta insolita ma che venne accolta dopo averla sottoposta a Monsignor Pasquale Macchi il quale diede il suo benestare dopo aver interrogato il ragazzo, ritenendolo idoneo. Carlo ricevette così l'Eucaristia il 16 giugno 1998, giovanissimo, e restò un punto fermo nella sua breve vita assieme alla messa quotidiana alla quale assisteva.

La sua esistenza si svolgeva come quella di tutti i ragazzi della sua età, ma sempre caratterizzata dalla sua voglia di aiutare gli altri e dalla sua gioia, diceva infatti “La tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio. La conversione non è altro che spostare lo sguardo dal basso verso l’alto. Basta un semplice movimento degli occhi”. La sua fede fu talmente coinvolgente da spingere il collaboratore domestico di casa, un bramino induista, a convertirsi al cristianesimo, colpito proprio da “la sua profonda fede, la sua carità e la sua purezza”.

Carlo era anche bravo in informatica tantochè è stato proclamato patrono del web, e così dopo aver assistito ad un incontro di presentazione del Piccolo Catechismo eucaristico decise di dare vita ad una mostra sui miracoli eucaristici, per testimoniare la vera presenza di Gesù nell'ostia. Dopo tre anni di ricerche in giro per l'Europa con in genitori la mostra era pronta e talmente ben fatta da essere richiesta dalle diocesi di tutto il mondo.

Il sogno di Carlo era di farsi sacerdote, ma purtroppo all'età di 15 anni fu stroncato da una leucemia fulminante, e dopo aver dedicato la sua vita “al suo amico Gesù” torna alla casa del Padre il 12 ottobre 2006. Venne sepolto ad Assisi e successivamente dal cimitero viene traslato nel Santuario della Spogliazione: attraverso una speciale procedura di imbalsamazione viene esposto alla visita dei pellegrini.

Dichiarato venerabile nel 2008 è stato beatificato il 10 ottobre 2020 dopo averne accertato almeno un miracolo, ovvero la guarigione di un ragazzo brasiliano avvenuta dopo averne toccato le reliquie.

La madre: «Vi racconto il suo miracolo»

Intervista realizzata da Stefano Lorenzetto alla madre di Carlo, Antonia Salzano, e pubblicata dal Corriere

Intercede. Salva. Guarisce. Converte. Appare. I devoti di quello che già viene chiamato il patrono di Internet, almeno 1 milione nei cinque continenti, vedono la sua presenza ovunque. L’ultimo segno, il 15 agosto. Scrivono i fan su Facebook: Questa notte, nella solennità della Santissima Vergine Maria Assunta, Carlo venuto a prendersi la sua cagnolina Briciola di quasi 17 anni. Ora corre e gioca anche lei nei meravigliosi giardini del Paradiso assieme agli altri animali di Carlo che l’hanno preceduta, i cani Poldo, Stellina e Chiara, i gatti Bambi e Cleopatra. Non le pare eccessivo che associno l’Assunzione alla morte di una bestiola? Sorride indulgente Antonia Salzano, mamma di Carlo Acutis, stroncato a 15 anni da una leucemia fulminante nel breve volgere di 72 ore.

Prima che ci lasciasse, gli dissi: se in cielo troverai i nostri amici a quattro zampe, compari con Billy, il cane della mia infanzia. Lui non lo conosceva. Un giorno zia Gioia, ignara del nostro accordo, mi telefonò: “Stanotte in sogno ho visto Carlo. Teneva fra le braccia Billy”.

Ma sono ben altri i segni per cui lo studente milanese, già venerabile dal 2018, verrà proclamato beato dalla Chiesa il 10 ottobre ad Assisi, ultima tappa prima di diventare santo. Quando il 23 gennaio 2019 si eseguì la ricognizione canonica sulle spoglie mortali del giovanissimo servo di Dio, la sua salma fu trovata intatta.

Io stavo lì, mio marito non volle vedere. Era ancora il nostro ragazzone, alto 1,82, solo la pelle un po’ più scura, con tutti i suoi capelli neri e ricci. E lo stesso peso, quello che si era predetto da solo. Pochi giorni dopo il funerale, all’alba fui svegliata da una voce: “Testamento”. Frugai in camera sua, pensavo di trovarvi uno scritto. Nulla. Accesi il pc, lo strumento che preferiva. Sul desktop c’era un filmato brevissimo che si era girato da solo ad Assisi tre mesi prima: “Quando peserò 70 chili, sono destinato a morire”. E guardava spensierato il cielo.

La vita di Carlo durò solo 5.641 giorni.

In realtà 5.640. Entrò in coma alle 14 dell’11 ottobre 2006, con il sorriso sulle labbra. Credevamo che si fosse addormentato. Alle 17 fu dichiarata la morte cerebrale, la mattina del 12 quella legale. Avremmo voluto donare i suoi organi, ma non fu possibile, ci dissero che erano compromessi dalla malattia. Un bel paradosso, perché il cuore, perfetto, ora sarò esposto in un ostensorio nella basilica papale di San Francesco ad Assisi.

Quand’ stato prelevato?

Durante la ricognizione del 2019. Con atto notarile abbiamo voluto donare il corpo al vescovo di Assisi. Era giusto che appartenesse alla Chiesa universale.

In che modo Carlo scoprì la fede?

Non certo per merito di noi genitori, lo scriva pure. In vita mia ero stata in chiesa solo tre volte: prima comunione, cresima, matrimonio. E quando conobbi il mio futuro marito, mentre studiava economia politica a Ginevra, non che la domenica andasse a messa.

Allora come spiega questa religiosità?

Un ruolo lo ebbe Beata, la bambinaia polacca, devota a papa Wojtyla. Ma c’era in lui una predisposizione naturale al sacro. A 3 anni e mezzo mi chiedeva di entrare nelle chiese per salutare Gesù. Nei parchi di Milano raccoglieva fiori da portare alla Madonna. Volle accostarsi all’eucaristia a 7 anni, anziché a 10. Lo lasciammo libero. Ci pareva una cosa bella, perciò chiedemmo una deroga. Per me fu una “Dio-incidenza”. Carlo mi salvò. Ero un’analfabeta della fede. Mi riavvicinai grazie a padre Ilio Carrai, il padre Pio di Bologna, altrimenti mi sarei sentita screditata nella mia autorità genitoriale. un percorso che dura tuttora. Spero almeno di finire in purgatorio.

Carlo fu precoce solo nella preghiera?

In tutto. Era un mostro di bravura. A 6 anni già padroneggiava il computer, girava per casa con il camice bianco e il badge “Scienziato informatico”. A 9 scriveva programmi elettronici grazie ai testi acquistati nella libreria del Politecnico.

Non era troppo piccolo per usare il pc?

I promotori della causa di beatificazione hanno analizzato in profondità la memoria del suo computer con le tecniche dell’indagine forense, senza riscontrare la minima traccia di attività sconvenienti. Sognava di adoperare il pc e il web per diffondere il Vangelo. Papa Francesco nella Christus vivit cita Carlo come esempio per i giovani. “Sapeva molto bene”, spiega, “che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati”, ma lui ha saputo uscirne “per comunicare valori e bellezza”. Il suo sguardo spaziava ben oltre Internet. Alle mense dei poveri, quelle delle suore di Madre Teresa di Calcutta a Baggio e dei cappuccini in viale Piave, dove prestava servizio come volontario. La sera partiva da casa con recipienti pieni di cibo e bevande calde. Li portava ai clochard sotto l’Arco della Pace, per i quali con i risparmi delle sue mance comprava anche i sacchi a pelo. Lo accompagnava il nostro cameriere Rajesh Mohur, un bramino della casta sacerdotale indù, che si convertì al cattolicesimo vedendo come Carlo aiutava i diseredati.

Avrebbe mai detto che un giorno sarebbe salito all’onore degli altari?

Ero certa che fosse santo gi in vita. Fece guarire una signora da un tumore, supplicando la Madonna di Pompei.

Il miracolo riconosciuto dalla Chiesa?

No, solo uno dei tanti che nemmeno sono entrati nel processo di canonizzazione. Quello che lo far proclamare beato accadde in Brasile nel settimo anniversario della morte, il 12 ottobre 2013, a Campo Grande. Matheus, 6 anni, era nato con il pancreas biforcuto e non riusciva a digerire alimenti solidi. Padre Marcelo Tenrio invitò i parrocchiani a una novena e appoggi un pezzo di una maglia di Carlo sul piccolo paziente, che l’indomani cominci a mangiare. La Tac dimostrò che il suo pancreas era divenuto identico a quello degli individui sani, senza che i chirurghi lo avessero operato. Una guarigione istantanea, completa, duratura e inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche.

Suo figlio come si ammalò?

Sembrava una banale influenza. Dopo alcuni giorni comparvero forte astenia e sangue nelle urine. Lui se ne uscì con una delle sue frasi: “Offro queste sofferenze per il Papa, per la Chiesa e per andare dritto in paradiso senza passare dal purgatorio”, ma in famiglia non vi demmo troppo peso. Chiamai il professor Vittorio Carnelli, che era stato il suo pediatra. Ci consigli l’immediato ricovero nella clinica De Marchi. E l avemmo la diagnosi infausta: leucemia mieloide acuta M3. Carlo ne fu informato dagli ematologi. Reagì con dolcezza e commentò: “Il Signore mi ha dato una bella sveglia”. Fu trasferito all’ospedale San Gerardo di Monza. Appena giuntovi, scosse la testa: “Da qui non esco vivo”.

Lei invocò un miracolo per suo figlio?

Sì, da Gesù, dalla Madonna e dal venerabile fra Cecilio Maria, al secolo Pietro Cortinovis, il cappuccino fondatore dell’Opera San Francesco per i poveri di Milano. Ma i piani di Dio erano altri. Quelli che avevo proposto a Carlo prima che spirasse: chiedi al Signore di manifestarci un segno della sua presenza.

E suo figlio che cosa le rispose?

“Non preoccuparti, mamma. Ti darò molti segni”. Nove giorni dopo la sua morte, a Tixtla, in Messico, un’ostia si arrossì di sangue. Una commissione composta anche da scienziati non credenti accertò che era del gruppo AB, lo stesso presente nella Sindone e nel miracolo di Lanciano, e che si trattava di cellule del cuore. A distanza di quattro anni, negli strati sottostanti alla coagulazione restava ancora presente del sangue fresco.

Suo figlio aveva allestito Segni, una mostra sui miracoli eucaristici.

Sì, sta girando tutti i santuari del mondo. Negli Stati Uniti l’hanno ospitata 10.000 parrocchie. Sono eventi soprannaturali come quello accaduto il 12 ottobre 2008, nel secondo anniversario della sua morte, a Soklka, in Polonia. Un’ostia caduta a terra durante la comunione, e conservata in cassaforte, una settimana dopo divenne un pezzo di carne di origine miocardica, gruppo sanguigno AB.

Ha avuto solo questi, di segni?

Anche altri. Carlo mi predisse che sarei diventata di nuovo madre, benché stessi per compiere 40 anni. E nel 2010, quando gi ne avevo 43, diedi alla luce due gemelli, Michele e Francesca.

Perché fu sepolto ad Assisi?

Abbiamo una casa in Umbria. Un cartello avvertiva che c’erano in vendita nuovi loculi nel cimitero comunale. Chiesi a Carlo che cosa ne pensasse. “Sarei felicissimo di finire qua”, rispose. Il suo corpo intatto stato poi traslato nel santuario della Spogliazione, dove ora i fedeli potranno venerarlo per sempre.

Che cosa le manca di più di suo figlio?

L’allegria. Appena morì, ricordo d’aver pensato: e ora chi mi far ridere? e chi mi aiuterò con il computer? Mi restano i suoi pensieri, detti e scritti: “Non io, ma Dio!”. “Da qualunque punto di vista la si guardi, la vita sempre fantastica”. “Tutti nascono originali, ma molti muoiono come fotocopie”.

L’ultimo rende bene l’idea dei social.

Così, gli uomini d’oggi sono ripiegati su se stessi. La loro felicità fatta solo di like. Ma Carlo l’influencer di Dio.

Non vorrebbe che fosse ancora qui con lei, anziché avere un santo in cielo?

Ho fatto mia l’invocazione di Giobbe: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”. I figli non ci appartengono, ci sono affidati. Sento Carlo più presente di quando era in vita. Vedo il bene che fa. Mi basta.

PREGHIERA
O Padre,
che ci hai donato la testimonianza ardente,
del giovane Servo di Dio Carlo Acutis,
che dell’Eucaristia fece il centro della sua vita
e la forza del suo quotidiano impegno
perché anche gli altri T'amassero sopra ogni cosa,
fa che possa essere presto
annoverato tra i Beati e i Santi della Tua Chiesa.
Conferma la mia Fede,
alimenta la mia Speranza,
rinvigorisci la mia Carità,
ad immagine del giovane Carlo,
che, crescendo in queste virtù,
ora vive presso di Te.
Concedimi la grazia di cui tanto ho bisogno...
Confido in Te, Padre,
e nel Tuo amatissimo Figlio Gesù,
in Maria Vergine, nostra dolcissima Madre,
e nell’intercessione del Tuo Servo Carlo Acutis.
Pater, Ave, Gloria

Lunedì 11 Ottobre 1954 funerali di mamma Assunta mamma di Marietta

 Lunedì 11 Ottobre 1954 funerali di mamma Assunta.

La salma è condotta di buon mattino in forma privata nella vicina Chiesa di S. Francesco, dove si svolgono i solenni funerali.
Dopo la cerimonia un corteo imponente sfila per le vie di Corinaldo.



San Giovanni XXIII

 San Giovanni XXIII


Nome: San Giovanni XXIII
Titolo: Papa
Nascita: 25 novembre 1881, Sotto il Monte, Bergamo
Morte: 3 giugno 1963, Vaticano
Ricorrenza: 11 ottobre
Tipologia: Commemorazione
Patrono di:Valsamoggia




«Figlioli... tornando a casa, troverete i bambini, date loro una carezza e dite: questa è la carezza del papa. Troverete, forse, qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Dite che il papa è con loro...».

Era una tiepida serata d'autunno e Giovanni XXIII congedava così la gente accorsa in piazza San Pietro per celebrare l'avvio del concilio Vaticano II (11 ottobre 1962). Quelle parole, intrise di umanità e di poesia, commossero il mondo e furono il miglior preludio della grande assise ecumenica destinata a rinnovare profondamente la chiesa e che fece di Giovanni XXIII, come scrisse Frainois Mauriac, il papa che ha gettato «un ponte sui nove secoli che ci dividono dai cristiani dell'oriente e sui quattro che ci separano dai fratelli dell'occidente». Insomma: il papa del dialogo, delle aperture, delle audaci novità che in pochi anni servirono ad avvicinare la chiesa al mondo moderno. Quando lo elessero, ormai prossimo agli ottant'anni, tutti pensarono che sarebbe stato un papa di transizione, per consentire alla chiesa di riordinare le idee di fronte alle sfide che la società le stava imperiosamente ponendo. Invece il suo pontificato fu sì di breve durata, ma come pochi altri significativo e incidente.

L'idea di finire lui stesso sul soglio di Pietro non l'aveva neppure sfiorato quando, il 12 ottobre 1958, lasciava Venezia per andare a Roma a eleggere il successore di Pio XII. Era certo che a Venezia, la città del santo papa Pio X di cui si sentiva onorato di continuare l'opera, si sarebbe conclusa la parabola della sua vita.

La domenica 15 marzo 1953 si era presentato ai veneziani con semplicità, e con stile confidenziale aveva fatto il punto della sua vita: «Desidero parlarvi con la più grande apertura di cuore e con molta franchezza di parola "aveva detto". Sono state dette e scritte cose che sorpassano di molto i miei meriti. Mi presento umilmente io stesso. Vengo dall'umiltà e fui educato a una povertà contenta e benedetta. Da quando nacqui io non ho mai pensato che a essere prete. Da giovane prete non aspiravo che a diventare curato di campagna nella mia diocesi, ma la Provvidenza ha voluto avviarmi per altre strade prima di giungere qui. Mi trasse dal mio villaggio natio e mi rete percorrere le vie del mondo in Oriente e in Occidente. Fui sempre preoccupato più di ciò che unisce che di quello che separa e suscita contrasti. Non guardate dunque al vostro patriarca come a un uomo politico, a un diplomatico: cercate il sacerdote, il pastore d'anime che esercita tra voi il suo ufficio nel nome di Dio».

Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli, era nato a Sotto il Monte, piccolo paese del bergamasco, il 25 novembre 1881. Alla povertà contenta e benedetta lo ha educato la sua patriarcale famiglia contadina che viveva nella cascina «La Colombera», alternando lavoro e preghiera, sotto la guida saggia dello zio Saverio.

Di indole buona e sensibile, sentì presto il desiderio di consacrare la propria vita a Dio per poter servire meglio gli altri nella carità. Nel seminario di Bergamo iniziò la lunga strada di preparazione al sacerdozio, che si concluse a Roma il 10 agosto 1904.

Pretino novello, invece che nella desiderata parrocchietta di campagna, fu mandato a fare il segretario del nuovo vescovo di Bergamo, monsignor Radini Tedeschi, al fianco del quale rimase dieci anni, imparando che un uomo di chiesa deve essere soprattutto buono e caritatevole. Una lezione, accompagnata dall'esempio, che non scorderà mai più. Intanto viveva la terribile esperienza della prima guerra mondiale, alla quale partecipò come sergente di sanità e cappellano militare.

Neppure alla morte del monsignore si aprirono per don Angelo le porte di una canonica. Lo vollero a Roma, all'Opera della propagazione della fede, diretta dal cardinale von Rossum, il quale vide nell'intelligente e saggio prete bergamasco l'uomo giusto da inviare nelle capitali del mondo a intessere rapporti con le chiese e con gli stati. «Dovrete viaggiare, viaggiare molto. Sarete il viaggiatore di Dio», gli disse papa Benedetto XV nell'affidargli l'incarico.

Consacrato vescovo il 15 marzo 1925, cominciò il suo lungo viaggio che lo porterà in missione come visitatore apostolico in Bulgaria, poi delegato apostolico in Turchia e in Grecia e poi nunzio apostolico a Parigi, ultima tappa prima dell'approdo a Venezia.

Partendo per la Bulgaria, annotava nel diario (Giornale dell'anima): «La chiesa mi vuole vescovo per mandarmi in Bulgaria, a esercitare un ministero di pace. Forse nella mia vita mi attendono molte tribolazioni. Con l'aiuto del Signore mi sento pronto a tutto». E con l'aiuto del Signore invocato nella preghiera, e con le sue doti di pazienza, di bontà, di tenacia, di rispetto delle posizioni degli altri, ottenne in Bulgaria, dove i rapporti con la chiesa ortodossa non erano dei migliori, ottimi risultati. Come avvenne poi anche in Grecia e in Turchia.

Il suo spirito ecumenico si formò da quelle parti, sul campo: certi pregiudizi incrostatisi nel tempo cominciarono qua e là a sciogliersi al calore della bontà e della carità di questo insolito rappresentante della chiesa di Roma. Spesso, tra la sorpresa e l'ammirazione dei presenti, gli incontri di monsignor Angelo Roncalli con i vescovi ortodossi si concludevano con un abbraccio, a suggellare un'amicizia che cancellava, nei loro rapporti, secoli di divisioni e di incomprensioni. Fu per questo il primo dignitario della chiesa cattolica a visitare il celebre, e inavvicinabile per i cattolici, monastero del monte Athos in Grecia. E l'ecumenismo sarà un punto forte del suo programma pastorale anche a Venezia, città da sempre considerata ponte tra occidente e oriente.

Eletto papa, al cardinale Tisserant che gli chiedeva con quale nome volesse essere chiamato, disse: «Mi chiamerò Giovanni, un nome dolce e nello stesso tempo solenne». Il 28 ottobre 1958, l'umile figlio della terra bergamasca, a settantasette anni, cominciava il servizio che la provvidenza gli aveva assegnato; lo svolgerà con il suo stile accattivante di bontà, di umiltà, di comprensione che faranno di lui il «papa buono». Una bontà sempre condita dal buon umore, dall'ottimismo della fede.

Monsignor Loris Capovilla, segretario personale, racconta: «Don Gelmo, amico da settant'anni, visita papa Giovanni in Vaticano, s'inchina per baciargli i piedi. Il vecchio amico papa lo richiama, guardandolo negli occhi: "Don Gelmo che cosa fai? Siamo pur sempre gli stessi figlioli delle nostre buone mamme". Don Gelmo si giustifica: "Ma voi siete il vicario di Cristo". E papa Giovanni, abbracciandolo: "Sono però, ancora, il tuo antico compagno di scuola e amico. Ricordati che dal Vaticano e da Seriate [paese di don Gelmo] la strada per giungere al paradiso è la stessa"».

Ad attirare la simpatia della gente, la devozione, l' ammirazione per papa Giovanni, è soprattutto la sua umiltà: «Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto. Io l'ho lasciato fare. Mi sono lasciato condurre in perfetta conformità alle disposizioni della provvidenza, veramente: Voluntas Dei pax nostra (nella volontà di Dio sta la nostra pace)».

A monsignor Giovan Battista Montini (il futuro Paolo VI), che nel novembre del 1952 dalla Segreteria di stato gli comunicava l'intenzione di Pio XII di trasferirlo da Parigi alla sede patriarcale di Venezia, scriveva: «Assicuri Sua Santità che io ho pochissima stima di me stesso: per me tutto è superiore al mio merito; ma avendo da tempo rinunziato a tutto quel che riguarda la mia persona, ciò mi rende tutto più facile e tranquillo, e mi assicura in ogni evento una grande pace».

Riusciva a unire la pazienza al coraggio: «Il coraggio si esercita quando sono in pericolo i supremi interessi dell anima e non meschine rivalità di casta o il desiderio, sia pur legittimo, di personale soddisfazione». L:anziano papa è stato una primavera per la chiesa e, per il mondo intero, una porta aperta alla speranza. Non hanno avuto ragione quanti avevano ravvisato nelle sue aperture la rovina della chiesa.

Il 3 giugno 1963, alle ore 19.45, in Vaticano, si spegneva una grande luce sul mondo. Il suo nome era Giovanni. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 3 settembre 2000 ed è stato canonizzato il 27 aprile 2014 da Papa Francesco.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, San Giovanni XXIII, papa: uomo dotato di straordinaria umanità, con la sua vita, le sue opere e il suo sommo zelo pastorale cercò di effondere su tutti l'abbondanza della carità cristiana e di promuovere la fraterna unione tra i popoli; particolarmente attento all'efficacia della missione della Chiesa di Cristo in tutto il mondo, convocò il Concilio Ecumenico Vaticano II.