Ⓒ Blog Site official di Canzano Barbara sono una ragazza disabile, dalla nascita. Sono devota a Maria Regina della Famiglia apparsa nel maggio 1944 a Ghiaie di Bonate (Bg) ad Adelaide Roncalli a soli sette anni. Scopo mantenere viva la Memoria. Sono devota al GIUDICE ROSARIO ANGELO LIVATINO UOMO MARTIRE PER LA GIUSTIZIA INDIRETTAMENTE ANCHE DELLA FEDE
Testimonianze dei compagni di seminario di Rolando Maria Rivi
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08 gennaio, 2021
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07 gennaio, 2021
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27 dicembre, 2020
Un mese senza don Antonio Maffucci FSCB
Un mese senza don Antonio Maffucci FSCB
Signore misericordioso, che al tuo servo, sacerdote, ANTONIO MAFFUCCI FSCB, nel tempo della sua dimora tra noi, hai affidato la tua parola ed i tuoi sacramenti, donagli d'esultare per sempre nella liturgia del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
REQUIEM
AETERNAM
Réquiem
aetérnam dona eis, Dómine,
et
lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant
in pace. Amen.
L'ETERNO
RIPOSO
L'eterno
riposo dona a don Antonio,
o Signore,
e
splenda a Lui la luce perpetua.
Riposi
in pace. Amen.
24 dicembre, 2020
Natale del Signore
A partire dalle 19 di giovedì 24 dicembre, il Centro Comunicazioni sociali della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla trasmette la Messa della Notte di Natale presieduta dal vescovo Massimo Camisasca.
14 dicembre, 2020
1857: 14 dicembre si fondò l'Odine delle Suore Orsoline in Somasca
Aiutata da un Padre Somasco, stende la bozza delle Regole attingendo a quelle delle Orsoline di Milano e le presenta al Vescovo di Bergamo, Mons. Speranza, che l'accoglie bruscamente e le nega l'approvazione.
Umiliata ma non abbattuta, Caterina si rimette all'opera, ma non avrà la gioia di vedere compiuto il suo sogno: muore il 5 maggio 1857... Mons. Speranza si recherà a Somasca il 14 dicembre dello stesso anno!
Così è il destino dei santi: gustare nell'aldilà, nella luce di Dio, il premio delle loro fatiche.
Papa Pio IX approva il decreto dell'ordine delle Suore in
Somasca
11 dicembre, 2020
Don Antonio: un «Nuovo inizio» che si è compiuto nell’eternità
Bastava guardarlo durante la consacrazione del pane e del vino, mentre celebrava la santa Messa, per capire che Gesù è vero. Così era don Antonio Maffucci: l’intensità della sua partecipazione al mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo era così profonda da stupire quanti lo incontravano. Un’appartenenza totale a Gesù che riverberava nella passione per il bene dei moltissimi amici che aveva in ogni parte d’Italia. Di questa passione è testimonianza l’ultimo messaggio che ci ha inviato il 7 ottobre scorso. Un testo in cui ripercorre tutti i passi della sua vita, dal giorno della nascita, e che contiene quasi un annuncio profetico della sua chiamata al cielo, il 27 novembre, dopo quasi un mese di ricovero in terapia intensiva. Don Antonio anelava a “un nuovo inizio, in un profondo silenzio, senza clamore, potente e discreto”. Quel “nuovo inizio” che si è compiuto nell’eterno.
05 dicembre, 2020
Sabato 5 dicembre 2020: "Mater clementissima"
La parola del vescovo Massimo di sabato 5 dicembre 2020
02 dicembre, 2020
Funerale di don Antonio Maffucci F S C B
Omelia per il funerale di don Antonio Maffucci, FSCB
Cattedrale di Reggio Emilia, 2 dicembre 2020
Cari fratelli e sorelle,
questa liturgia di comminato, che celebriamo con commozione e abbandono filiale alla volontà di Dio, si colloca all’inizio del periodo di Avvento. Non possiamo vedere in ciò se non un segno misterioso e provvidente di Dio che ci richiama a considerare non soltanto la venuta di Gesù nella storia – nella capanna di Betlemme –, non soltanto la sua venuta di ogni istante nel nostro cuore – attraverso il dono dello Spirito –, ma anche la sua venuta nella gloria quando, compiuto il tempo e riconosciuto che tutto è ormai nelle sue mani, consegnerà al Padre l’universo (cfr. 1Cor 15, 24). Da allora in poi sarà definitivamente concluso il tempo del dolore e della morte come abbiamo sentito profetizzare con chiarezza da Isaia nella lettura che la Chiesa oggi ci ha proposto.
Non solo: ogni nostra lacrima sarà asciugata, ogni menzogna apparirà come tale perché Dio strapperà il velo che copre il destino di tutti i popoli (cfr. Is 25,7). La nostra vita sarà soltanto gioia e comunione. Nella comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito appariranno in trasparenza le nostre esistenze completamente purificate: il banchetto ricco di vivande grasse e di vini eccellenti – a cui ci hanno preparato non solo l’Antico Testamento, ma anche le parole stesse di Gesù – rivela per noi, poveri uomini, attraverso un’immagine seppur sbiadita e lontana, ciò che ci attende.
In questa luce il mistero della morte ci appare come uno strappo dolorosissimo, ma insieme anche come il giorno della nascita: dies natalis, secondo l’espressione bellissima già in uso nelle origini cristiane. Abbiamo passato tutta la vita nel buio verso la luce. Il genio di Platone aveva già compreso tutto: viviamo in una caverna[1], come il bambino nella placenta della madre durante i mesi di gravidanza, ma questa non è ancora la vita piena, anche se è già vita, anche se è già illuminata e conquistata dalla grazia di Dio. È vita in attesa del suo compimento definitivo. Così come dolorosamente il bambino esce dal seno della madre, allo stesso modo noi usciamo dolorosamente da questa esistenza per entrare nella vita definitiva. Come sapientemente e semplicemente ha scritto Teresa di Lisieux: «Non muoio. Entro nella vita»[2].
Questa liturgia di commiato mi richiede, con dolce obbligazione, di parlare di don Antonio affinché il segno così luminoso della sua vita non sia dimenticato. Don Antonio è stato il primo giovane che ho incontrato fra coloro che sarebbero poi entrati nella Fraternità san Carlo. Io avevo 21 anni, lui 18. È stato subito un avvenimento di amicizia, che non si è mai interrotto per più di 50 anni. Nessuno di noi due allora poteva immaginare, neppur lontanamente, dove ci avrebbe portato la vita. Eravamo due giovani entusiasti di Cristo e della Chiesa, conquistati dall’ardore missionario di don Giussani, desiderosi di fare conoscere la ragione della nostra gioia a tutti i nostri coetanei. Dopo un po’ di anni ci siamo trovati assieme in seminario a Bergamo e lì, con Umberto Fantoni, è nato il primo seme, assolutamente inconsapevole, di quello che sarebbe stata poi la Fraternità san Carlo. Non abbiamo mai fatto progetti. Ci lasciavamo semplicemente portare da ciò che lo Spirito ci dettava attraverso le richieste degli amici e della Chiesa. Antonio era mosso da una generosità senza limiti, che ai miei occhi appariva anche un po’ folle. Già da giovanissimo stringeva rapporti con un’infinità di persone che non sarebbero più svanite dalla sua memoria e che avrebbe rivisitato dopo anni e decenni come fosse la prima volta, arrivando naturalmente sempre in ritardo perché il suo cuore lo portava a programmare più di quanto poi potesse realizzare. L’automobile era la sua casa e io tremavo pensando ai pericoli che correva ogni giorno senza assolutamente riuscire a farlo demordere. Attraverso di lui, centinaia di giovani – prima a Pescara, poi a Roma e poi a Grosseto, dove ha insegnato nelle scuole superiori per più di 20 anni – hanno conosciuto Cristo per la prima volta o l’hanno incontrato di nuovo secondo una modalità affascinante che non avrebbero più dimenticato. Decine di questi ragazzi avrebbero poi scoperto una vocazione di dedizione totale a Dio nelle diverse forme che la Chiesa offriva loro. Per tutti questi ragazzi don Antonio è stato un padre.
Mi ha commosso leggere in questi giorni alcune loro lettere. «Con lui muore una parte di me, muore perché sento strapparmi l’esperienza di un affetto e di una paternità che ha segnato la mia adolescenza e giovinezza. Mi ha insegnato che tutto ciò che di bello abbiamo vissuto sarà per l’eternità»: così mi ha scritto un suo scolaro, ora sacerdote nei cappellani militari. Aggiunge anche: «Era confusionario, macinatore di chilometri, sbadato, stralunato, non aveva il senso del tempo, te lo trovavi a casa a qualunque ora, proveniente da ogni parte d’Italia». Un altro mi scrive: «Entrò in classe al liceo classico di Grosseto con un accento del Nord. Ci chiedeva di proporre delle canzoni o delle poesie per parlarne assieme. Le sue lezioni avevano sempre un taglio esistenziale che era per me totalmente nuovo. Iniziò un cammino nel quale io e don Antonio ci vedevamo quasi ogni giorno. Il più grande amore che mi ha trasmesso è stato quello per l’Eucaristia. Ho imparato da lui la passione missionaria. Il suo essere perennemente in ritardo ci faceva proprio arrabbiare». E conclude in modo commovente: «Non poteva arrivare in ritardo anche stavolta?».
Col tempo don Antonio è cambiato. Sono entrati nella sua vita un’infinità di persone malate nel corpo e nello spirito. È cresciuta così la sua devozione a Maria, i pellegrinaggi a Međugorje, le preghiere di liberazione. Talvolta mi sono trovato a correggerlo su alcuni aspetti della sua pastorale che mi sembravano esagerati. Ma egli, come sempre, non conosceva se non una regola: la dedizione senza risparmio alle persone che si rivolgevano a lui.
Quando è arrivato a Reggio come rettore del santuario di san Valentino, don Antonio era visibilmente invecchiato. Anche se il calendario diceva che avrebbe potuto avere ancora molti anni davanti a sé, il suo volto e la sua voce mi parlavano di una stanchezza interiore che mi rattristava. Aveva chiaramente dato tutto se stesso.
Questa morte per me non è come le altre, come la morte di altri amici che ormai, molto numerosi, mi hanno preceduto nella casa del Padre. Si tratta di un fratello con cui ho condiviso un’infinità di momenti. È strano: dopo aver firmato con me e altri fratelli la fondazione della Fraternità, non è entrato nel governo di essa, non gliel’ho chiesto e non si è mai lamentato. Progressivamente ha preferito una vita solitaria. Non perché rifuggisse la compagnia, ma perché questo era il suo modo di essere nella Chiesa. Anche in una Società di vita apostolica si può vivere da solitari. Benché questa sia un’eccezione, dobbiamo ricordarci che lo Spirito ha sempre la prevalenza su ogni nostro schema, anche quello più motivato.
La scomparsa di don Antonio, avvenuta in questo modo strano e terribile che ci ha impedito di salutarci, richiama la mia vita con molta semplicità e serenità all’approssimarsi del suo compimento. Come ci invita san Paolo, dobbiamo aspirare alle cose di lassù e pensare alle cose di lassù (cfr. Col 3, 1-4), non assolutamente per sottrarci alla vita presente, ma per assaporarne con più profondità e intelligenza l’eterno che già cova in essa come la brace sotto la cenere.
Grazie don Antonio della tua vita donata, non solo e non tanto senza risparmio, ma senza vanagloria, quasi senza pensarci! Grazie della tua gioia, della tua freschezza infantile, del tuo amore per Cristo e per la Chiesa!
Amen.
✝ Mons. Massimo Camisasca FSCB
Vescovo Reggio Emilia - Guastalla
[1] Cfr. Platone, La Repubblica, Libro VII, 514b-520°.
[2] Teresa di Lisieux, Lettera 244.
L' intervento di don Paolo Sottopietra al funerale di Padre Antonio Maffucci F S C B
Mercoledì 2 dicembre 2020: Perfetti nell'amore amando i nemici
La parola del vescovo Massimo di Mercoledì 2 dicembre 2020
Lettera a Don Antonio Maffucci FSCB
Lettera a Don Antonio Maffucci FSCB
mercoledì 2 dicembre 2020
Autore: Amato, Avv. Gianfranco Curatore: don Gabriele
Il Signore lo ha chiamato a sé. La sua vita è ora nella gioia
avrei voluto vedere
il tuo sorriso
quando hai sentito
accarezzarti la fronte
dalla mano del piccolo Rolando.
Era lì,
accanto al tuo letto
col suo cappello da seminarista.
Sapevi già
che sarebbe stato proprio lui
a venirti a prendere
per accompagnarti
verso la Bellezza
di quel Mistero Infinto
cui ha anelato
ogni singolo istante
della tua irrequieta esistenza.
Erano in tanti
ad attenderti lassù.
Ma soprattutto Lei.
Solo la sua materna carezza
è riuscita a farti commuovere
fino alle lacrime.
Hai portato con te
tutte le sofferenze, le angosce,
i dolori, le ansie, i problemi, le necessità,
i bisogni materiali e spirituali
delle migliaia di persone
che hai incontrato sulla Terra
e che ti hanno chiesto aiuto.
Hai portato con te
questo pesante fardello
nel tuo cuore,
talmente grande
da riuscire a contenere tutto.
Pensavano di farti riposare,
ma non ti conoscevano.
Ignoravano
che aspettavi proprio
di giungere in Paradiso
per poter aiutare finalmente
tutti gli amici che hai lasciato
e tutti quelli che nel mondo
hanno bussato alla tua porta.
Lassù, oramai, ti conoscono tutti.
Sei quello dell’Alfa 75 rossa,
che sfreccia di nuvola in nuvola,
perché c’è sempre qualcuno
da incontrare, qualcuno a cui chiedere
un consiglio o un favore,
un Santo da andare a trovare per risolvere
un problema.
Continui a correre anche lassù.
Ora che hai un’autostrada
tutta per te, e non hai più paura di cadere
nell’agguato del colpo di sonno.
O nella trappola dell’Autovelox.
A nulla sono valse
le rimostranze di San Pietro.
Dio ti ha guardato,
ha scosso la testa,
e ha sorriso compiaciuto.
Neppure Lui ha il potere di fermarti.
Ormai, sono certo, hai già girato
tutto il Paradiso.
Non c’è un angolo,
neppure il più remoto e nascosto,
che tu non abbia già visto
o dove tu non sia già stato.
Se un giorno avrò la grazia
di raggiungerti, caro Antonio,
mi piacerebbe visitare il Paradiso
insieme a te.
Magari a bordo della tua 75 rossa.
Un abbraccio.
Gianfranco
Mangiarotti Fonte:CulturaCattolica.it
01 dicembre, 2020
Martedì 1 dicembre 2020: Beati quelli che non vedono e credono
La parola del vescovo Massimo di Martedì 1 dicembre 2020
29 novembre, 2020
È morto don Antonio Maffucci: ha insegnato religione per oltre vent’anni
È morto don Antonio Maffucci: ha insegnato religione per oltre vent’anni
a Diocesi di Grosseto comunica che nel pomeriggio di domenica 29 novembre la salma di don Antonio Maffucci, deceduto all’alba di ieri all’ospedale di Guastalla, sarà trasferita nella Pieve di San Valentino, a Reggio Emilia, dove resterà esposta fino alla mattina di mercoledì 2 dicembre. In tale data il feretro raggiungerà la cattedrale di Reggio Emilia, dove alle 15 il vescovo Massimo Camisasca presiederà la santa Messa esequiale. Dopo il funerale, la tumulazione avverrà nel cimitero di San Valentino.
Questa mattina, alle prime luci dell’alba, all’ospedale di Guastalla (Reggio Emilia), è deceduto don Antonio Maffucci, sacerdote della fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo.
Il decesso è avvenuto per infezione da covid-19.
Don Antonio era stato ricoverato all’ospedale di Reggio Emilia il 2 novembre scorso, per un’infezione – in stadio piuttosto avanzato – da coronavirus. Subito intubato, aveva avuto un lieve miglioramento che faceva sperare in una possibilità di ripresa. Trasferito all’ospedale di Guastalla, la situazione è di nuovo precipitata e il sacerdote è deceduto questa mattina poco dopo le 5. Durante la degenza è stato assistito da un confratello, che ha potuto amministrargli il sacramento del perdono e l’unzione degli infermi nei primi giorni dal ricovero ospedaliero.
Le esequie, presiedute da mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e fondatore della Fraternità dei missionari di San Carlo Borromeo, dovrebbero tenersi mercoledì 2 dicembre a Reggio Emilia.
71 anni, don Antonio era nato a Milano, aveva frequentato il seminario a Bergamo ed era sacerdote da 41 anni. Aveva fatto parte del nucleo originario di preti che con don Camisasca dettero vita all’esperienza della Fraternità di San Carlo Borromeo, società di vita apostolica per formare dei giovani alla missione e per rispondere al mandato che, nel settembre 1984, Giovanni Paolo II aveva consegnato a Comunione e liberazione, in occasione dell’udienza per il trentennale della nascita del movimento: “Andate in tutto il mondo – aveva detto il Papa – a portare la verità, la bellezza e la pace che si incontrano in Cristo redentore”.
Il nome di don Maffucci è legato alla storia recente della diocesi di Grosseto, dove arrivò nei primissimi anni ’90 insieme ai primi sacerdoti della Fraternità (don Anastasio, don Onofrio), chiamati dall’allora vescovo Scola. Il suo inserimento, fin da subito, è stato nella scuola. Per oltre vent’anni è stato insegnante di religione al liceo classico “Carducci-Ricasoli” e al liceo scientifico “Marconi”, tirando su la prima generazione di Gs (Gioventù studentesca), ramo studentesco del movimento di Comunione e Liberazione, coinvolgendo i ragazzi in numerose iniziative. Da quella prima esperienza sono maturate anche alcune vocazioni sacerdotali di giovani grossetani che oggi, preti della Fraternità dei missionari di San Carlo, operano in varie parti del mondo.
In Diocesi ha prestato la sua opera anche in alcune parrocchie (Pian d’Alma-Punta Ala, San Giuseppe e Rispescia) e fra il 2009 e il 2012 è stato esorcista diocesano.
Maturata l’età della pensione, ha chiesto di lasciare Grosseto e di raggiungere Reggio Emilia, nella diocesi retta da don Camisasca. Lì ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.
Chi ne tratteggia un ricordo a tuttotondo è don Gianni Malberti, parroco di Castiglione della Pescaia e suo confratello tra i missionari di San Carlo. “Ho conosciuto don Antonio – dice – negli anni del seminario a Bergamo e la nostra vita si è intrecciata per sempre. Insieme abbiamo fatto parte del nucleo di sacerdoti che fin da principio hanno aderito alla Fraternità di San Carlo e poi ci siamo ritrovati in Maremma, dove Antonio ha fatto da apripista. Era un uomo molto generoso ed entusiasta del suo essere prete. Due le sue caratteristiche peculiari: l’attenzione che sapeva prestare alla singola persona, interessandosi della sua vita e il suo spirito ‘zingaresco’. Era difficile tenerlo fermo in un posto, per la frenesia del fare che ne faceva una sorta di ‘girovago della fede’, ma sempre molto disponibile ai bisogni di questa Chiesa diocesana”.
“Ricordiamo fin d’ora don Antonio al Signore per il suo zelo e per tutto il bene che ha compiuto anche nella nostra Diocesi di persona, nella scuola, con i giovani, con i sofferenti, con Comunione e liberazione. Il Signore gli dia pace”, dice il vescovo Rodolfo, che questa mattina ha portato telefonicamente le condoglianze della Chiesa di Grosseto al superiore generale della Fraternità di san Carlo, don Paolo Sottopietra.
27 novembre, 2020
Venerdì 27 novembre 2020: Il silenzio, spazio per l'ascolto
La parola del vescovo Massimo di Venerdì 27 novembre 2020
Vita di don Antonio Maffucci (FSCB)
«Comprendo sempre di più che la sorgente della mia missione è essere parte di Lui, entrare in Lui, dentro di Lui. È il motore della passione per ogni uomo e per la sua Chiesa, altrimenti il rischio è quello dell’attivismo. Il Beato Rolando Rivi, nel momento culminante del suo martirio, ha gridato: “Io sono di Gesù”». Con queste parole, poco più di anno fa, don Antonio Maffucci concludeva il messaggio di saluto che aveva voluto mandare, in occasione dei suoi settant’anni, ai suoi amici e alle tante persone che gli volevano bene. In quelle parole è condensata la sua vita di prete e di missionario.
Era nato 08 ottobre nel 1949 a Milano e aveva abitato in zona San Siro, fino alla decisione di entrare nel Seminario missionario di Bergamo. Ordinato sacerdote il 24 giugno 1979 a Roma, in piazza San Pietro, da san Giovanni Paolo II, don Antonio ha cominciato in Abruzzo, a Pescara, il suo lungo viaggio a servizio di Cristo e della Chiesa d’Italia, facendo il viceparroco e l’insegnante. Si è poi trasferito a Roma, con l’incarico di viceparroco nella parrocchia santa Margherita Maria Alacoque, a Tor Vergata e insegnante di religione nei licei romani. Don Antonio faceva parte di quel gruppo di sacerdoti provenienti dal Seminario di Bergamo che, assieme a monsignor Massimo Camisasca, il 14 settembre del 1985 ha dato vita alla Fraternità San Carlo, realtà oggi presente in venti Paesi del mondo.
Nel 1992 è stato destinato da monsignor Camisasca alla diocesi di Grosseto, dove è rimasto fino al 2016, ricoprendo gli incarichi di parroco, viceparroco e responsabile della pastorale scolastica della diocesi. Ma la sua passione è sempre stata l’insegnamento della religione nelle scuole superiori, incarico grazie al quale ha incontrato tantissimi ragazzi, alcuni dei quali, attraverso l’incontro con lui, hanno potuto fare per la prima volta un’esperienza cristiana ed altri hanno fatto il primo passo verso la scoperta della propria vocazione sacerdotale.
Dal 2017 era collaboratore dell’unità pastorale “Madonna di Campiano” di Castellarano, in diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, e viveva presso la Pieve di San Valentino dove sono custoditi il corpo e la memoria del Beato Rolando Martire.
Nel pomeriggio di domenica 29 novembre la salma di don Antonio sarà trasferita nella Pieve di San Valentino, dove resterà esposta fino alla mattina di mercoledì 2 dicembre. In tale data il feretro raggiungerà la Cattedrale di Reggio Emilia, dove alle ore 15 il vescovo Camisasca presiederà la santa Messa esequiale. Dopo il funerale, la tumulazione avverrà nel cimitero di San Valentino (Castellarano).
RICORDO DI DON ANTONIO MAFFUCCI
+ Massimo Camisasca
Ho conosciuto Antonio Maffucci nei lontanissimi anni 1967 o 1968. Io ero stato appena nominato responsabile per la città di Milano dei giovani di Azione Cattolica. Provenivo dall’esperienza di GS vissuta intensamente accanto a don Giussani. Iniziai a girare le parrocchie della città. A Quinto Romano, una comunità a Nord di Milano, accanto al quartiere di san Siro, trovai un gruppo di giovani guidati da un bravissimo sacerdote, don Giampiero Baldi, accompagnato da un diacono, don Giacomo Tantardini. Tra quei giovani spiccava Antonio Maffucci. Aveva 3 anni meno di me, ma quando sì è giovani le differenze di età sembrano più marcate. Era un operaio della Siemens in un tempo di grandissime lotte operaie. In quella fabbrica lavorava Renato Curcio e si formarono i primi germi delle Brigate Rosse.
Nelle settimane e nei mesi successivi mi trovai Antonio come “incollato” alla mia vita. I suoi genitori venivano da Calitri, un paesino dell’Irpinia. Da quel popolo Antonio ereditò una rocciosità di carattere che ha mantenuto tutta la vita e una certa abitudine alla soditarietà che lo ha sempre accompagnato.
Dopo il periodo militare ci trovammo assieme a Bergamo, nel 1974, nel seminario della Comunità Paradiso dove io diventai prete nel 1975 e lui nel 1979, ordinato a Roma da Giovanni Paolo II. La sua prima missione fu a Pescara. Abitava presso una famiglia. Don Giussani, che aveva concordato con i superiori della Comunità Paradiso questa sua prima destinazione missionaria, voleva dare un prete a quella diocesi per l’amicizia con il vescovo Iannucci e ritenendo Antonio troppo giovane, lo fece custodire dalla famiglia Marcucci.
Antonio era un tornado. Stabiliva rapporti con decine e decine di giovani e con un numero imprecisato di famiglie che avrebbe poi continuato a seguire per tutta la vita assieme a quelle conosciute negli anni di Bergamo. Questa è stata una caratteristica fondamentale della sua vita. Ha sempre avuto un’automobile Alfa Romeo, prevalentemente una Alfa 75 rossa, sempre un po’ scassata, sempre con le bombole a gas per risparmiare. Inseguiva gli amici in ogni parte d’Italia. Io sostenevo che egli era l’inventore di una nuova religione che chiamavo “maffuccianesimo”, la religione dell’essere dovunque, e avevo inventato questa battuta: “Dio è dovunque. Maffucci ci è già stato”.
Quando don Giacomo Tantardini divenne parroco a Roma nel quartiere Tor Vergata, dove sarebbe sorta l’Università, lo volle come viceparroco. Maffucci da Pescara si trasferì a Roma. Quand’era a Pescara ci vedevamo raramente, talvolta a metà strada in un autogrill autostradale. A Roma, invece, la frequenza divenne assidua. Nel frattempo era nata la Fraternità san Carlo. In sei preti provenienti tutti dalla Comunità missionaria del Paradiso, fondammo – il 14 settembre 1985 -quella che sarebbe diventata una Società di Vita Apostolica diffusa in tutto il mondo. Maffucci era naturalmente tra quei 6.
Nel 1991 don Angelo Scola divenne vescovo di Grosseto e volle una casa della San Carlo affidandole una parrocchia a Punta Ala. Maffucci ne divenne il parroco. Contemporaneamente continuò il suo insegnamento di religione nei licei che a poco a poco lo assorbì interamente. Lasciò la parrocchia errando di casa in casa, come d’altra parte aveva sempre fatto. Un’apolide di Dio che non ha mai avuto sosta. Temevo sempre di svegliarmi di notte al suono del telefono dove una voce mi annunciava che Antonio era morto per un incidente automobilistico. Invece non accadde mai. Intanto intorno a lui, oltre agli studenti, si andava radunando una folla di uomini e donne bisognosi di preghiere. Cominciarono i viaggi a Međugorje e in tanti santuari. Si approfondì la sua confidenza con Maria, la Madre di Dio, e con le apparizioni mariane. Divenne il padre spirituale di un numero imprecisato di persone che nessuno di noi conosceva e che a poco a poco costituirono la sua nuova famiglia.
Diventato io vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e andato lui in pensione dalla scuola lo chiamai, nel 2017, a custodire il tesoro del martirio del beato Rolando Rivi diventando rettore del santuario di San Valentino. A lui si devono molte delle iniziative di questi tre anni.
In questo periodo incontra Alleanza Cattolica e il messaggio controrivoluzionario. Grazie a lui l’associazione organizza presso il Santuario diversi incontri, fra i quali in particolare quello del 12 maggio 2019 sul tema “L’unica Europa possibile attraverso il passato e il presente della nazione polacca”, che vede, peraltro, la partecipazione dello scrittore e vaticanista polacco Wlodzimierz Redzioch.
Lascia come “testamento spirituale” quanto scritto ad amici e conoscenti un anno prima, in occasione del suo settantesimo compleanno: «L’8 ottobre per me è un giorno dove non si può che ringraziare per il dono della vita. Potevamo non esserci…e non ho fatto nulla per essere dentro questa immensa realtà! Esisto ed esistiamo non come una delle tante cose, ma come persona, con la libertà, la volontà e l’intelligenza. ‘Chiamati’ nella vita. Questa è la cosa grande che ad un certo punto si scopre e si capisce. Non un semplice esserci, un esserci inconsapevole, inconscio, ma con la coscienza di essere persone! E la caratteristica dell’esserci come ‘persona’ porta alla scoperta della vita come responsabilità, chiamati per nome a ‘rispondere’. E’ vertiginoso. Un compito!!! Questo vuol dire riconoscere un autore del tutto che ci invita ad essere collaboratori della sua creazione. Per me l’avvenimento cristiano, con il suo apice che è l’Incarnazione – il Dio che si fa uomo come noi (Verbum caro factum est) – è stato ciò che mi ha permesso di comprendere e capire la grandezza e la bellezza della vita e soprattutto scoprire il mio essere voluto e amato, proprio nel potere essere parte di una storia. Una storia dove ha potuto prendere forma quella modalità con cui sono stato chiamato a vivere la ‘responsabilità’, che è la caratteristica fondamentale dell’esistenza: il Sacerdozio”.
Ora il Covid, improvvisamente, lo ha portato via dalla nostra vista, ma non dal nostro affetto e, soprattutto, gli ha concesso di godere nella gioiosa comunione con Dio e con i santi quella pace che il suo cuore cercava.
Pensiero del 27 novembre 2020
don Antonio Maffucci FSCB ✝ |
“Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino”.
Gesù sembra dare la chiave di lettura per discernere la sua venuta. E per farlo usa l’immagine del fico. È una scelta familiare per chi lo ascolta, ma è anche la pianta che germoglia e porta frutto senza passare attraverso la fioritura. Il fico non ha nessuna apparente bellezza, ma produce frutti buonissimi. È così anche per il legno della croce, per quell’esperienza che Gesù è venuto ad inaugurare: non ha nessuna bellezza apparente, eppure è l’unica che porta frutti veri e duraturi.
C’è una particolare insistenza di Gesù nell’aprire gli occhi, nel vedere, nell’accorgersi. L’ultimo miracolo che ha compiuto prima di queste parole riguarda proprio la guarigione del cieco. Luca sembra suggerire che la fede ci aiuta a guardare finalmente le cose per ciò che sono e non per ciò che a noi appaiono. Vedere la verità di qualcosa ci dispone anche a fare delle scelte conseguenti.
Ma a noi piace sempre pensare che non toccano a noi le scelte, ma a qualcuno altro, magari al successivo. Pensiamo, ad esempio, che non riguarda noi il problema della terra ferita, delle guerre irrisolte, delle situazioni di ingiustizia. Pensiamo sempre che ciò che conta, e con ciò anche la possibilità di fare i conti, riguardi altri.
Ma Gesù è chiaro: “In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Siamo noi la generazione a cui Gesù sta rivolgendo questo invito.
Ogni uomo e ogni epoca si ritrova rivolta questa Parola che gli è costantemente contemporanea. Il Vangelo riguarda sempre il presente e non un futuro prossimo o remoto. Gesù mi parla oggi e chiede che nell’oggi io faccia la differenza.
Allora se non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, non c’è peggior cieco di chi non distoglie lo sguardo da ciò che c’ha davanti.
27 Novembre
Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Risollevatevi e alzate il capo,
perché la vostra liberazione è
vicina.
(Luca 21, 28)
Salmo Responsoriale dal Salmo 83 84
Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
L'anima mia anela
e
desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia
carne
esultano nel Dio vivente.
Anche il passero
trova una casa,
e la rondine il nido dove porre i suoi
piccoli,
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,
mio
re e mio Dio.
Beato chi abita
nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l'uomo
che trova in te il suo rifugio:
cresce lungo il cammino il suo
vigore.
Ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra.
(Atti degli Apostoli 1,8)
REQUIEM
AETERNAM
Réquiem
aetérnam dona eis, Dómine,
et
lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant
in pace. Amen.
L'ETERNO
RIPOSO
L'eterno
riposo dona a don Antonio,
o Signore,
e
splenda a Lui la luce perpetua.
Riposi
in pace. Amen.
16 novembre, 2020
Lunedì 16 novembre 2020. Il tallone d'Achille dell'impazienza
La parola del vescovo Massimo di Lunedì 16 novembre 2020
12 novembre, 2020
Giovedì 12 novembre 2020. La speranza va più lontano dell'attesa.
La Parola del vescovo Massimo di giovedì 12 novembre