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29 settembre, 2020

I sacerdoti di Monte Sole Bologna

 I sacerdoti di Monte Sole Bologna

    In aiuto ai vecchi parroci pieni di anni e di malanni l'arcivescovo Nasalli Rocca, che più volte aveva visitato Monte Sole, mandò due giovanissimi collaboratori: don Ferdinando Casagrande  e don Giovanni Fornasini.
    […] Il primo a mettere piede quassù fu don Casagrande, il 5 agosto 1938. Con lui si apre il capitolo dei pastori martiri di Monte Sole. Meteore della carità. Il loro sangue era nel conto della prima Messa.
    […] Sono sacerdoti secolari ordinati, come si dice, titulo paupertatis seu servitío dioecesis: volgarmente il «diritto della sporta». Appena freschi del crisma, e quindi senza lo spessore di esperienza di cui potevano disporre i colleghi anziani maturati nel periodo antecedente la dittatura fascista, si trovarono in mezzo a tensioni oltre ogni limite di sopportabilità.
    Erano andati sul campo di lavoro come bastoni della vecchiaia; ma ben presto, ancor prima del congedo dei vecchi parroci, diventarono loro i protagonisti.
    […] Don Ferdinando, don Giovanni e don Ubaldo, ultimo aggregato alla giovane schiera, seppero unire lo spirito di profezia a un'insolita concretezza. E fu il frutto della volontà e della grazia.
    Fra tutte le aree di questa topografia dell'Ecclesia patiens, Monte Sole rappresenta il punto culminante; e i nostri tre giovani preti si comportano in modo esemplare, come teleguidati dallo Spirito; ciascuno con un segno specifico e una sua luce. Don Giovanni fu l'angelo nel senso biblico, pronto per ogni emergenza, sempre e dovunque; don Ubaldo la sentinella di Dio sulla cima del monte; don Ferdinando un amico e un fratello per tutti.
(Brano tratto da "Le querce di Monte Sole" di mons. Luciano Gherardi)

Il Servo di Dio don Ferdinando CASAGRANDE


Nato il 5 novembre 1914 a Castelfranco Emilia da Augusto e Ghermandi Anna, ordinato sacerdote nella chiesa di S. Martino di città il 16 luglio 1938 da S. Em.za il Cardinale Nasalli Rocca, cappellano a S. Martino di Caprara, poi parroco a Gugliara dal maggio 1944. Ucciso a S. Martino di Caprara il 9 ottobre 1944.

Il buon vecchio a stento riesce a frenare il tremito che dall'ottobre 1944 ha invaso le sue membra ed è andato aumentando con il crescere della sua ansia dolorosa. Ci guarda coi suoi occhi un po’ appannati, ma ancor vividi di luce intelligente. Una austerità misteriosa trapela dal suo volto scarnito.
— Volete che vi parli del mio don Ferdinando? — incomincia incerto. — Beh! vi dirò quel che so, e non potrà che fare un po’ di bene anche a me parlare di lui. Pensate! Ci è stato tolto a trentanni appena, da solo cinque mesi parroco a Gugliara. Eravamo tutti assieme lassù: mia moglie, i miei cinque figli! e son rimasto solo! Si vede che il Signore voleva così! — Sospira profondo, e ripiglia dopo una breve pausa in cui lo contempliamo in silenzio.
— Siamo al 22 settembre del '44. Di tanto in tanto si fa più aspra la lotta fra «quelli» nascosti nella montagna e le truppe tedesche. In una scaramuccia resta colpito mortalmente un soldato delle S.S.: ed ecco la rappresaglia. Tutte le case della borgata «la Quercia». ove è avvenuto lo scontro, sono interamente distrutte dal fuoco e s'inizia una caccia spietata alla gente del paese.
Il mio don Ferdinando, che si trovava proprio nel rifugio della galleria «La Quercia» fugge assieme alla sorella Gabriella, e viene a nascondersi nella casa «Calvane» ove eravamo già raccolti noi tutti. Laggiù alle «Quercie» dove era la nostra casa, non era più possibile la vita, e speravamo un po’ di pace lassù alle «Calvane» nella casa del nostro contadino.
Alle ore sei del 29 settembre siamo avvertiti da un contadino che ormai stanno per giungere i tedeschi. Dove fuggire? Ovunque c'era in agguato la morte: i tedeschi ci braccavano come selvaggina, gli alleati, ormai a pochi chilometri, ci tempestavano di proiettili.
Decidiamo di lasciare le donne, ed io, con don Ferdinando e l'altro figlio Giannino ci andiamo a nascondere in un piccolo rifugio dietro il cimitero di S. Martino di Caprara. Il rifugio ci parve sicuro: scavato nel tufo, su uno strapiombo con l'ingresso nascosto dal folto degli alberi, a cui si accedeva per un sentiero da capre, attraverso la roccia dello strapiombo. Nemmeno i tedeschi lo avrebbero saputo individuare.
Decidemmo di andar a prendere le nostre donne e così dal 1° ottobre ci ritrovammo ancora uniti e qui rimanemmo rintanati fino al nove ottobre.
Furono quelle, giornate di angoscia incredibile: sopra di noi stava in vedetta un soldato tedesco, e solo di notte, con mille precauzioni potevamo fare qualche sortita per cercare un po’ di alimenti. La sera dello stesso 1 ottobre, giunsero fino a noi gli spari dei tedeschi contro i disgraziati che si erano rifugiati nella chiesa di S. Martino, e anche l'acre odore nauseabondo dei loro cadaveri dati al fuoco.
Asseragliati come belve sentivamo, giorno e notte la terra sobbalzare sotto l'incessante martellamento dell'artiglieria alleata. Nessuno osava portarsi allo scoperto! si correva il rischio di lasciarci la pelle. Per tutti quei giorni, eterni e sfibranti, ci nutrimmo di castagne crude e di pere acerbe (bottino di una sortita notturna), una al mattino, una a mezzogiorno, una alla sera.
Vedevo i miei cari consumarsi a poco a poco, i volti sbiancati farsi più affilati, e anche il mio don Ferdinando, che era sempre stato magro, come vedete anche da quella fotografia (e ce l'addita appesa al muro), si era ridotto all'osso, i suoi occhi si erano affondati ancor più nell'orbita. Pure era sempre lui che ci teneva alta la fiamma della rassegnazione e della speranza, e fugava col suo esempio di fiducia in Dio la tristezza cupa che ci attanagliava di ora in ora sempre più.
Al nono giorno di tomba però don Ferdinando ha voluto salire al Comando tedesco, che aveva sede a S. Martino onde ottenere il permesso di uscire e di attraversare quelle zone proibite, perchè capiva che ormai non potevamo più resistere agli stimoli della fame. Sua sorella, la Giulia, che era maestra all'asilo della «Gardelletta», ha voluto accompagnarlo in quella missione e dividerne i pericoli. Li accompagnammo fino all'ingresso del rifugio, li abbracciammo, invocando l'aiuto di Dio per loro, li osservammo buttarsi fuori veloci e scomparire. Un cupo presagio ci rimase nel cuore, mentre, seduti in silenzio, ascoltavamo il fischio dei proiettili. Non li abbiamo più visti!... —
Il vecchio china il capo e tace a lungo per ricomporre la sua voce rotta da un singhiozzo. Attendiamo in religioso silenzio.
— Solo passati parecchi giorni ho potuto sapere la loro triste fine; e i particolari ci saranno forse per sempre sconosciuti.
Pare che don Ferdinando riuscisse a raggiungere il Comando tedesco e farsi rilasciale il permesso di transito. Ma lui e la Giulia avevano appena voltato le spalle per ritornare che quelle belve li colpirono a tradimento con scariche di mitraglia. Il mio don Fernando cadde sul sentiero con un proiettile nella nuca; la buona Giulia con cinque pallottole di mitraglia al petto. Sono morti abbracciati stretti, e dai tedeschi buttati così nel precipizio che fiancheggia il sentiero.
Col lento passare dei giorni compresi che ormai era vana la tormentosa attesa dei miei cari.
Ma non era finita l'ascesa al mio doloroso calvario!
L'11 ottobre, giornata piovosa, alle 11,30 precise, un proiettile che scoppia nei pressi del rifugio colpisce con una scheggia l'altra mia figlia, la Gabriella, uscita per un istante, e la butta a terra immersa nel suo sangue. Ne copriamo il cadavere con un panno e ci buttiamo giù verso il Setta in cerca di un luogo più sicuro.
Giunti al fondo de «La Conca» ci fermiamo nascosti nel folto del bosco, in attesa dell'ombra della notte per passare il fronte di guerra; ma appena calate le tenebre, poco dopo le 18, mentre stiamo rannicchiati sotto i bagliori degli scoppi che illuminano i tronchi degli alberi, una cannonata ci colpisce in pieno: mia moglie e gli altri due figli, Lina e Giannino, sono colpiti in pieno. Io ho il piede destro ferito e rimango solo vivo, tra il tormento della mia carne offesa, tra il sangue della moglie e di Giannino che più non possono rispondere alle mie invocazioni, tra gli urli strazianti della Lina che ha le gambe stroncate e chiede disperatamente aiuto... e davvero non so come il cuore non mi sia scoppiato in tanto strazio! —
Due lacrime rigano il suo volto patito e si perdono fra le rughe. Un singulto gli stronca ancora la parola. Pure si fa coraggio e prosegue la sua incredibile avventura.
— Ormai mi sentivo solo al mondo. Eppure quanto è grande nell'uomo l'attaccamento alla vita! Non volevo morire e speravo pazzamente che qualcuno dei miei si potesse ancora salvare: almeno la mia Lina!
Mi alzo per andare in cerca di soccorso. Barcollo, ogni passo è uno strazio: pure resisto, stringendo i denti e appoggiandomi al bastone, e vado solo solo!... vado cercando, invocando ad ogni passo i miei sei cari, disperatamente certo ormai del loro tragico destino!... vado, arrancando, verso posizioni ove speravo trovare aiuto!
A Rivabella c'erano dei civili, lo sapevo, e volevo giungere fin là. Invece, prima del «Beccadello» mi imbatto in una pattuglia di tedeschi che mi fanno prigioniero. Perquisito, derubato di tutto, perfino di una boccetta di aceto che mi serviva per medicare le ferite, mi trattengono con loro. Oh, la notte passata con essi, con la gamba ferita stesa su di una sedia, fra gli spasimi della carne e il martellamento dei ricordi che mi torturavano il cervello!
Al mattino del 12 ottobre, aiutato da una ragazza che era a servizio dai tedeschi, riesco a portarmi fino ad una stalla abbandonata ove buoni amici, che a stento mi riconoscono (ero calato venti chili!) mi hanno assistito e curato; ma non ci fu possibile portare aiuto alla mia cara Lina, e sempre io avevo davanti agli occhi la mia piccola, che illanguidiva a poco a poco, nella perdita del sangue.
Finalmente il 25 ottobre i tedeschi se ne andarono sconfitti e il 27 arrivarono gli alleati.
Io già mi sentivo in forze, la ferita era rimarginata bene ed avevo in cuore una smania che non mi dava riposo: «Bisogna che io vada, mi dicevo, che corra a seppellire la mia famiglia!».
Da Rivabella guardavo giù nella vallata, ma non riuscivo più a vedere nulla che mi orizzontasse: tutte le cose erano ridotte un cumulo di macerie; anche la Chiesa e il campanile di S. Martino di Caprara non apparivano più nel fondo della vallata: tutto il paese era raso al suolo.
Tuttavia sempre lo stesso pungolo mi tormentava il cuore e non mi dava pace: «Voglio vedere i miei cari. Bisogna che vada!».
E un giorno sono andato, appoggiato al mio bastone, con passo sempre più affrettato.
Chiedo, supplico informazioni agli abitanti del luogo. Tre miei amici mi aiutano e riusciamo a rintracciare le salme benedette. Le componiamo sotto la terra ancora sconvolta, con mani tremanti, bagnate di lacrime e di sangue.
Gli Americani poi ci hanno mandato tutti noi che eravamo a Rivabella senza casa, prima a Firenze, poi, in diverse tappe, fino a Roma, a «Cinecittà», ove anch'io sono stato alloggiato per sei mesi. —
Il buon vecchio tace ancora. Nel suo volto non c'è più l'abbattimento che vi aveva prodotto l'emozione del racconto: ora è sereno della serenità che bacia la fronte dei giusti, anche di quelli che sono stati sottoposti alle prove più dure. Con commozione gli stringiamo la mano.

Padre misericordioso,
consolazione e ricompensa di chi confida in te,
tu ami rivelare
la tua grandezza negli umili,
la tua potenza nei deboli,
e nel mistero adorabile della tua provvidenza
hai sostenuto don Ferdinando Casagrande
nei giorni più oscuri
del suo mistero sacerdotale
fino all'olocausto della sua vita.
Donaci di essere
sempre operatori di pace e di giustizia,
animati dalla fede viva
che affronta e supera il dolore e le difficoltà
nell'unione feconda
con la passione gloriosa del Cristo Signore.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.


Il Servo di Dio don Giovanni FORNASINI

Nacque a Pianaccio di Lizzano in Belvedere (Bologna) il 23 febbraio 1915, da Angelo e Maria Guccini. Trasferitosi con la famiglia nel 1925 a Porretta Terme (Bologna), frequentò al collegio Albergati le tre classi del corso di avviamento commerciale; era ritenuto «un somarino che tirava, generosissimo ed entusiasta in ogni cosa. Non era un'aquila nello studio, ma nell'azione e nel sacrificio pochi riuscivano a tenere il suo passo» (don Enrico Marini).

Dopo essere stato di aiuto al parroco don Goffredo Minelli, decise di farsi prete. Entrò nel seminario di Borgo Capanne nell'ottobre 1931. Seguì poi il corso degli studi a Bologna nel seminario arcivescovile di Villa Revedin e nel seminario regionale, partecipando con intensità all'esperienza formativa offertagli. Subito dopo l'ordinazione a diacono, nel 1941, venne inviato a Sperticano di Marzabotto in aiuto dell'anziano parroco don Giovanni Roda. Per un anno, sino all'ordinazione sacerdotale, fece la spola, in quegli anni inconsueta, tra il seminario e la parrocchia. Ordinato sacerdote il 28 giugno 1942, venne immediatamente nominato vicario coaudiatore a Sperticano.

Morto don Roda, il 20 luglio 1942 venne nominato economo spirituale, e il 21 agosto parroco di Sperticano. Numerose testimonianze concordano nel sottolineare che il giovane parroco trasformò la canonica in un «cantiere della carità», caratterizzato dalle più diverse iniziative pastorali e sociali, ma soprattutto dalla costante attenzione del sacerdote per i suoi parrocchiani, tutti.

Affrontò il periodo dell'occupazione tedesca e del trasferimento del conflitto sul suolo italiano, cogliendo con immediata consapevolezza la funzione che avrebbe dovuto svolgere come sacerdote cattolico.

Grazie ad una «resistenza incredibile», «correva dappertutto», «per cercare di liberare la gente dalle difficoltà, di risolvere i loro problemi. Non aveva paura. Era un uomo di gran fede e sempre coerente». Nei giorni dell'eccidio di Monte Sole, nei quali si perse il significato della vita e della morte, la testimonianza di amore di don Fornasini non ebbe sosta.

La sua morte è «ancora immersa nel mistero»: non se ne conosce la ragione specifica, l'autore, la modalità. In quei giorni, subito dopo, poi sempre, sino ad oggi, don Fornasini è considerato l'angelo di Marzabotto. «Prima della sua eroica morte avvenuta per un motivo direi soprannaturale, aveva già un corredo di virtù, di opere sante, di azioni generose che possono testimoniare della sua santità. Altri sono stati in qualche modo coinvolti dalle circostanze. Lui, no... Io sapevo quello che la gente diceva di lui; e posso dire che è la figura più bella, più caratteristica: quell'uomo merita la canonizzazione» (padre Lino Cattoi). Ritenuto «commovente esempio di carità e di fortezza eroiche» (mons. Danio Bolognini, 1946), alla sua memoria venne decretata nel 1950 la Medaglia d'oro al Valor Militare alla memoria, decreto Presidente della Repubblica del 19.05.1950, consegnata alla madre in data 2.06.1951 a Bologna, con la seguente motivazione:
"Nella sua parrocchia di Sperticano, dove gli uomini validi tutti combattevano sui monti per la libertà della Patria, fu luminoso esempio di cristiana carità. Pastore di vecchi, di madri, di spose, di bambini innocenti, più volte fece loro scudo della propria persona contro efferati massacri condotti dalle S.S. Germaniche, molte vite sottraendo all'eccidio e tutti incoraggiando, combattenti e famiglie, ad eroica resistenza. Arrestato e miracolosamente sfuggito a morte, subito riprese arditamente il suo posto di pastore e di soldato, prima tra le rovine e le stragi della sua Sperticano distrutta, poi a S. Martino di Caprara dove, pure, si era abbattuta la furia del nemico. Voce della Fede e della Patria, osava rinfacciare fieramente al tedesco l'inumana strage di tanti deboli ed innocenti richiamando anche su di se la barbarie dell'invasore e venendo a sua volta abbattuto, lui Pastore, sopra il gregge che, con estremo coraggio, sempre aveva protetto e guidato con la pietà e con l' esempio".
S. Martino di Caprara, 13 ottobre 1944)

La parrocchia di Sperticano venne elevata ad arcipretale in seguito all'olocausto di don Fornasini, come testimonia una lapide all'interno della chiesa.

Il 19 agosto 1998 la Congregazione delle Cause dei Santi ha dato il nulla osta per l'inchiesta diocesana sulla vita e le virtù del servo di Dio, iniziata poi il 18 ottobre dello stesso anno.
(Alessandro Albertazzi)

Ti ringraziamo, Padre onnipotente, Dio fedele:
nella vita e nella morte
del sacerdote Giovanni Fornasini
hai donato alla Chiesa di Bologna
un segno ammirevole
della presenza amorosa e indefettibile
del Buon Pastore.
Fà che anche oggi i giovani
sappiano gustare profondamente
il fascino sublime del Signore Gesù
per corrispondere con entusiasmo
al tuo disegno di salvezza.
Il tuo Spirito di fortezza e di sapienza
riaccenda in noi la passione per la verità
e ci sostenga nella via della carità,
per il vero bene di ogni fratello.
Per Cristo nostro Signore.

 


26 settembre, 2020

Camisasca ai nuovi sacerdoti


 Nella prima puntata della nuova stagione di "Vangelo e vita", proponiamo le parole che il vescovo Camisasca ha rivolto ai novelli sacerdoti lo scorso 26 settembre in Cattedrale a Reggio Emilia.


06 settembre, 2020

Joseph Brilleslijper e Fijtje Gerritse

JOSEPH BRILLESLIJPER 


JOSEPH BRILLESLIJPER


Fijtje Gerritse


Fijtje Gerritse


Morte il 06 settembre 1944

Causa della morte nazismo nel campo di Auschwitz, Poland (Polonia)


Genitori di Lien, Janny ed Jacob.

Il loro ricordo, sia per tutti, una benedizione.

 

05 settembre, 2020

1944: 05 settembre come oggi l'arrivo ad Auschwitz dal campo di Westerbork il treno dei Paesi Bassi

 "......e poi improvvisamente arrivò un messaggio sorprendente che c'erano ancora dei trasporti, quindi siamo tutti scocciati e tutti hanno cercato di uscire dal bagagliaio nel momento in cui siamo stati chiamati prima del trasporto c'era una specie di panico perché tutti hanno cercato di nascondersi a qualcun altro e hanno cercato di voltarsi esenzione passante o in qualsiasi caso da respingere ogni che potresti salvare, lo faresti forse proteggerti o lasciarti nei Paesi Bassi in modo d'avere ancora la liberazione potrebbe provare ma in quel momento tutti hanno iniziato a correre ne abbiamo provato uno a tenere al momento sapevamo se si mantengono conoscenti che vincono con le griglie potrebbe saltare fuori da lì, abbiamo provato a salire sul quel treno per discutere dell'opportunità prova a chiamare i nomi che si è imbattuto nel posto in cui avevamo i nostri genitori in quel momento... ultimo abbraccio."

❤Janny Brandes-Brilleslijper❤



1938: Primo Decreto sulle leggi raziali - Il Messaggero-

 1938: Primo Decreto sulle leggi raziali - Il Messaggero-

“Alle scuole di qualsiasi ordine e grado non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica”

“All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica”
“Tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio”
“I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni”
Sono alcuni degli articoli contenuti nel Decreto Legge del 5 settembre 1938-XVI, n. 1390, il primo Decreto delle “Leggi Razziali”.
Saranno solamente i primi di una lunghissima serie.



03 settembre, 2020

❤Janny Brandes-Brilleslijper❤ 03 settembre 1944 03 settembre 2020

 ''In una mattina d'estate, molto tranquilla molto bello, bel tempo il sole spendente, la luce era ancora sopra cresta della notte; è ancora nella città che noi, sono passata da ad Amstelveenseweg, il tram alla stazione centrale, qui siamo sul lato della stazione centrale, entrammo nella stazione, oltre i sassolini per capire perché allo stesso tempo arrivò un gruppo d'altre persone e c'era la famiglia Frank, allora non ci siamo parlati......ci mettevano l'uno l'altro sulla piattaforma, tutti abbiamo le cure ovviamente ho trovato mia sorella troppo tardi, i miei genitori, mio fratello e lei la natura offre sufficiente attenzione intorno a noi........guardare sì una tale famiglia con due figli che giorno siamo tutti classificati nella "S" (Strafbarak) anche la famiglia Frank .........a Westerbork non è stata la prima famiglia''.

❤Janny Brandes-Brilleslijper❤
03 settembre 1944 03 settembre 2020



22 agosto, 2020

Beata Maria Regina 22 agosto

 Beata Maria Regina 22 agosto 

Beata Vergine Maria, Regina dell'universo, conduci tutti noi con Te alle gioie del cielo.


14 agosto, 2020

SI OFFRÌ DI MORIRE AL POSTO DI UN PADRE DI FAMIGLIA

 SI OFFRÌ DI MORIRE AL POSTO DI UN PADRE DI FAMIGLIA

La sua dignità di sacerdote e uomo retto primeggiava fra i prigionieri, un testimone disse: “Kolbe era un principe in mezzo a noi”. Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi; uno di loro riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al bunker della morte. Padre Kolbe si offrì in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. La disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, venne attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe e un po’ alla volta essi si rassegnarono alla loro sorte; morirono man mano e le loro voci oranti si ridussero ad un sussurro; dopo 14 giorni non tutti erano morti, rimanevano solo quattro ancora in vita, fra cui padre Massimiliano, allora le SS decisero, che giacché la cosa andava troppo per le lunghe, di abbreviare la loro fine con una iniezione di acido fenico; il francescano martire volontario, tese il braccio dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole, era il 14 agosto 1941. Le sue ceneri si mescolarono insieme a quelle di tanti altri condannati, nel forno crematorio; così finiva la vita terrena di una delle più belle figure del francescanesimo della Chiesa polacca. Il suo fulgido martirio gli ha aperto la strada della beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971 con papa Paolo VI. Il 10 ottobre 1982 è stato canonizzato da papa Giovanni Paolo II, suo concittadino.




06 agosto, 2020

Janusz Korczack dal Diario del Ghetto 6 agosto 1942

Janusz Korczack
dal Diario del Ghetto
6 agosto 1942
Annaffio i fiori. La mia calvizie alla finestra: che buon obbiettivo!
Ha un fucile. Perché sta così fermo a guardare tranquillamente?
Non ne ha ricevuto l’ordine.
Chissà, forse da borghese faceva l’insegnante in campagna, o il notaio, o il netturbino a Lipsia, o il cameriere a Colonia.
Che cosa farebbe se gli facessi un piccolo cenno con la testa?
Un gesto amichevole con la mano?
Forse lui non sa neppure cosa sta succedendo: forse è arrivato soltanto ieri, e da molto lontano…
L’ultima marcia
Janusz Korczak morì insieme ai suoi bambini. Fu portato via dal Ghetto di Versavia in un carro bestiame i primi giorni dell’agosto 1942. La mattina del 6 agosto l’area del cosiddetto Piccolo Ghetto venne attorniata da reparti delle SS e dagli ascari, soldati ucraini e lituani. Il Diario di Abraham Lewin situa gli avvenimenti il 7 di agosto.
Venerdì, 7 agosto
Il diciassettesimo giorno del massacro. Ieri è stata una giornata orribile con un gran numero di morti. Dal ghetto piccolo la gente è stata prelevata in massa. Il numero delle vittime è valutato intorno alle 15.000. Hanno svuotato l’orfanotrofio del dottor Korczak a cominciare dal dottore stesso. Duecento orfani.
Korczak era alla testa del corteo. Senza cappello, con gli stivali militari, si racconta portasse in braccio due bambini. Alla marcia presero parte 192 bambini e dieci educatori, fra cui la pedagoga braccio destro di Korczak, Stefania Wilczynska.
Il giorno stesso 4000 bambini con i loro educatori vennero presi dagli orfanotrofi e deportati a Treblinka.
L’ultima marcia di Korczak è raccontata con toni diversi in numerose testimonianze. Qui citiamo quella di Marek Rudnicki, noto grafico e pittore, bambino nel ghetto:
"Non voglio passare per iconoclasta, per sovversivo, ma oggi devo raccontare quello che ho visto allora. L’atmosfera era intrisa di una sorta di enorme scompiglio, automatismo, apatia. Non ci fu alcuna emozione al passaggio di Korczak. Nessuno fece il saluto militare, descritto da alcuni, di sicuro non ci fu nessun intervento da parte dello Judenrat, nessuno si avvicinò a Korczak. Non ci furoro grandi gesti, canti, teste orgogliosamente erette; non ricordo che qualcuno portasse la bandiera della Casa degli Orfani, eppure dicono che ci fosse. C’era un silenzio terribile, sfiancato. Korczak trascinava un piede dietro l’altro, camminava come ingobbito, bofonchiava qualcosa fra sé e sé […]. Gli adulti della Casa degli Orfani, come Stefa Wilczynska, gli camminavano accanto, e così facevo io stesso. Nelle prime file i bambini andavano a righe di quattro, poi così come capitava, in ordine sparso, in fila indiana. Qualche bambino teneva Korczak per la giacca, o forse gli stringeva la mano. Camminavano come in trance..."



04 agosto, 2020

Santo Curato d'Ars

 Un sacerdote, bersaglio di calunnie e persecuzioni, chiese consiglio al Santo Curato d'Ars. «Amico mio – egli rispose – fate come faccio io: lasciate dire. Quando si sarà detto tutto, non vi sarà più niente da dire, e si tacerà».

02 agosto, 2020

PREGHIERA PER IL PERDONO D'ASSISI

02 AGOSTO


PREGHIERA PER IL PERDONO D'ASSISI
Signore mio Gesù Cristo, vi adoro presente nel Santissimo Sacramento e,
pentito delle mie colpe, vi prego di concedermi la santa Indulgenza
del Perdono di Assisi, che applico a beneficio dell'anima mia
ed a suffragio delle anime sante del Purgatorio.
Vi prego secondo l'intenzione del Sommo Pontefice per l'esaltazione
della Santa Chiesa e per la conversione dei poveri peccatori.
Cinque Pater, Ave e Gloria, secondo l'intenzione del S. Pontefice, per i bisogni di S. Chiesa.
Un Pater, Ave e Gloria per l'acquisto delle SS. Indulgenze.

PREGHIERA DEL PERDONO DI ASSISI
O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre
del cuore mio.
Dammi una fede retta,
speranza certa,
carità perfetta
e umiltà profonda.
Dammi, Signore,
senno e discernimento
per compiere la tua vera
e santa volontà.
Amen.

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31 luglio, 2020

Primo Levi nasce il 31 luglio 1919

 31 luglio 1919 | nasce a Torino Primo Levi. È stato uno scrittore e chimico ebreo italiano. Dal 26 febbraio 1944 prigioniero del campo nazista tedesco di Auschwitz n. 174517. Nel settembre 1947 ha pubblicato il suo libro ′′ Se questo è un uomo ". È morto nel 1987.

′′ Sono costantemente stupito dalla disumanità dell'uomo verso l'uomo."
Queste parole di Primo Levi sono ancora molto importanti. A 76 anni dalla liberazione di Auschwitz abbiamo ancora bisogno di questo avvertimento per riflettere sulla nostra responsabilità morale nei confronti del mondo in cui viviamo.
---
′′ Se questo è un uomo ′′
Tu che vivi sicuro
Nelle tue case calde;
Tu che di sera trovi il rientro
Cibo caldo e facce amichevoli:
Considera se questo è un uomo
Chi lavora nel fango
Chi non conosce pace
Chi combatte per un po ' di pane
Chi muore per un sì e per un no
Considera se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza abbastanza forza per ricordare
Occhi vacanti e grembo freddo
Come una rana d'inverno:
Riflettete sul fatto che questo è accaduto:
Queste parole che ti raccomando:
Iscriviti sul tuo cuore
Quando si sta a casa e si esce,
Vado a letto e mi alzo;
Ripetili ai tuoi figli:
O che la tua casa cada giù,
La malattia sbarra la tua strada,
I tuoi cari si allontanano da te



29 luglio, 2020

Il 29 luglio 1941 il comandante del campo Karl Fritzch

 Il 29 luglio 1941 il comandante del campo Karl Fritzch ha probabilmente selezionato 10 ostaggi tra i prigionieri del Blocco 14 per vendicarsi della fuga di un prigioniero Zygmunt Pilawski. Li ha condannati a morte per fame nel bunker del Blocco 11.

Durante la selezione, un prigioniero polacco che era un monaco francescano e missionario, Maksymiliano Kolbe (no. 16670), uscì fuori dal collegamento e chiese al comandante del campo di prenderlo invece di un disperato prigioniero selezionato Franciszek Gajowniczek (np. 5659). Dopo una breve disputa con Padre Kolbe, Fritzch ha acconsentito alla sostituzione, soprattutto quando ha scoperto che Kolbe è un prete cattolico. I 10 prigionieri selezionati sono stati portati al Blocco 11. Nel Registro Bunker l'ammissione di questi è nota senza elencare nomi, numeri, giorno di ammissione o giorno di morte.
Maksymiliano Kolbe fu ucciso con l'iniezione velenosa il 14 agosto 1941. Fu canonizzato dal Papa Giovanni Paolo II nell'ottobre 1982.
Franciszek Gajowniczek sopravvisse al campo e morì nel 1995.
Zbigniew Pilawski è stato catturato e nuovamente incarcerato ad Auschwitz. Gli fu sparato il 31 luglio 1942.







24 luglio, 2020

1840: 24 luglio come oggi sale al cielo Giuditta Cittadini

1840: 24 luglio come oggi sale al cielo Giuditta Cittadini

Caterina, nella Casa di Somasca, continua a parlare di educazione. Da qui e dal cielo ci protegge tutti.


Giuditta è profumo di primavera e alito di vento... del suo corpo, infatti, non è stato conservato nulla.

Di lei ci rimane il suo essere vissuta tra le sue alunne con «cuore di madre» «facendosi tutta a tutti e a ciascuna in particolare»

 



19 luglio, 2020

Buon compleanno a Madre Giuditta Cittadini!

 

Preghiera a Madre Giuditta Cittadini




Signore Dio, Padre misericordioso,

noi ti lodiamo e ti ringraziamo
per il dono di Giuditta Cittadini,
autentica testimone
della tua passione educativa per l'umanità.
Fedele al tuo invito ella si dedicò
alla cristiana educazione della gioventù
con cuore di madre.
Con la grazia del tuo Santo Spirito,
ponila nella tua Chiesa
come modello
di vita totalmente spesa
nella conformazione
a Gesù divino maestro.
Fa che, attraverso il suo esempio,
possiamo aderire al tuo progetto di salvezza
e, per sua intercessione,
ottenere il bene che tanto desideriamo.
Te lo chiediamo,
per la gloria del tuo nome. Amen


Padre nostro, Ave Maria
Gloria alla Santissima Trinità.

Buon compleanno a Madre Giuditta Cittadini!

Auguri di cuore!



17 luglio, 2020

1981: 17 luglio come oggi avveniva IL FUNERALE DI ALFREDINO RAMPI

1981: 17 luglio come oggi avveniva IL FUNERALE DI ALFREDINO RAMPI


funerali si svolsero il 17 luglio 1981 nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura: la salma venne trasportata da quegli stessi volontari che tentarono di salvarlo, fra cui Angelo Licheri e Donato Caruso. Fu sepolto al Cimitero del Verano di Roma




16 luglio, 2020

15 luglio, 2020

Campo di transito di Westerbork

  

Campo di transito di Westerbork

La prima deportazione risale al 15 luglio 1942 con destinazioni Auschwitz e Birkenau. Tra il luglio del 1942 e il settembre del 1944 quasi tutti i martedì un treno merci portava i prigionieri nei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau (65 treni carichi in totale di 60.330 persone, la maggior parte dei quali furono uccisi nelle camere a gas all'arrivo), Sobibor (19 treni carichi in totale di 34.313 persone, che furono uccisi tutti sul posto), Bergen-Belsen e Theresienstadt (9 treni carichi in totale di 4.894 persone, dei quali circa 2.000 sopravvissero alla guerra). A Berlino veniva stabilita la data, la destinazione e il numero di deportati, mentre il comandante delle SS di Westerbork era solamente incaricato di preparare il trasporto. L'ultimo trasporto rilevante fu il 13 settembre 1944, con 279 ebrei a bordo ed era destinato a Bergen-Belsen. Solamente 5.200 persone fra le 107.000 persone che vennero deportate sono sopravvissute.