«Comprendo sempre di più che la sorgente della mia missione è essere parte di Lui, entrare in Lui, dentro di Lui. È il motore della passione per ogni uomo e per la sua Chiesa, altrimenti il rischio è quello dell’attivismo. Il Beato Rolando Rivi, nel momento culminante del suo martirio, ha gridato: “Io sono di Gesù”». Con queste parole, poco più di anno fa, don Antonio Maffucci concludeva il messaggio di saluto che aveva voluto mandare, in occasione dei suoi settant’anni, ai suoi amici e alle tante persone che gli volevano bene. In quelle parole è condensata la sua vita di prete e di missionario.
Era nato 08 ottobre nel 1949 a Milano e aveva abitato in zona San Siro, fino alla decisione di entrare nel Seminario missionario di Bergamo. Ordinato sacerdote il 24 giugno 1979 a Roma, in piazza San Pietro, da san Giovanni Paolo II, don Antonio ha cominciato in Abruzzo, a Pescara, il suo lungo viaggio a servizio di Cristo e della Chiesa d’Italia, facendo il viceparroco e l’insegnante. Si è poi trasferito a Roma, con l’incarico di viceparroco nella parrocchia santa Margherita Maria Alacoque, a Tor Vergata e insegnante di religione nei licei romani. Don Antonio faceva parte di quel gruppo di sacerdoti provenienti dal Seminario di Bergamo che, assieme a monsignor Massimo Camisasca, il 14 settembre del 1985 ha dato vita alla Fraternità San Carlo, realtà oggi presente in venti Paesi del mondo.
Nel 1992 è stato destinato da monsignor Camisasca alla diocesi di Grosseto, dove è rimasto fino al 2016, ricoprendo gli incarichi di parroco, viceparroco e responsabile della pastorale scolastica della diocesi. Ma la sua passione è sempre stata l’insegnamento della religione nelle scuole superiori, incarico grazie al quale ha incontrato tantissimi ragazzi, alcuni dei quali, attraverso l’incontro con lui, hanno potuto fare per la prima volta un’esperienza cristiana ed altri hanno fatto il primo passo verso la scoperta della propria vocazione sacerdotale.
Dal 2017 era collaboratore dell’unità pastorale “Madonna di Campiano” di Castellarano, in diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, e viveva presso la Pieve di San Valentino dove sono custoditi il corpo e la memoria del Beato Rolando Martire.
Nel pomeriggio di domenica 29 novembre la salma di don Antonio sarà trasferita nella Pieve di San Valentino, dove resterà esposta fino alla mattina di mercoledì 2 dicembre. In tale data il feretro raggiungerà la Cattedrale di Reggio Emilia, dove alle ore 15 il vescovo Camisasca presiederà la santa Messa esequiale. Dopo il funerale, la tumulazione avverrà nel cimitero di San Valentino (Castellarano).
RICORDO DI DON ANTONIO MAFFUCCI
+ Massimo Camisasca
Ho conosciuto Antonio Maffucci nei lontanissimi anni 1967 o 1968. Io ero stato appena nominato responsabile per la città di Milano dei giovani di Azione Cattolica. Provenivo dall’esperienza di GS vissuta intensamente accanto a don Giussani. Iniziai a girare le parrocchie della città. A Quinto Romano, una comunità a Nord di Milano, accanto al quartiere di san Siro, trovai un gruppo di giovani guidati da un bravissimo sacerdote, don Giampiero Baldi, accompagnato da un diacono, don Giacomo Tantardini. Tra quei giovani spiccava Antonio Maffucci. Aveva 3 anni meno di me, ma quando sì è giovani le differenze di età sembrano più marcate. Era un operaio della Siemens in un tempo di grandissime lotte operaie. In quella fabbrica lavorava Renato Curcio e si formarono i primi germi delle Brigate Rosse.
Nelle settimane e nei mesi successivi mi trovai Antonio come “incollato” alla mia vita. I suoi genitori venivano da Calitri, un paesino dell’Irpinia. Da quel popolo Antonio ereditò una rocciosità di carattere che ha mantenuto tutta la vita e una certa abitudine alla soditarietà che lo ha sempre accompagnato.
Dopo il periodo militare ci trovammo assieme a Bergamo, nel 1974, nel seminario della Comunità Paradiso dove io diventai prete nel 1975 e lui nel 1979, ordinato a Roma da Giovanni Paolo II. La sua prima missione fu a Pescara. Abitava presso una famiglia. Don Giussani, che aveva concordato con i superiori della Comunità Paradiso questa sua prima destinazione missionaria, voleva dare un prete a quella diocesi per l’amicizia con il vescovo Iannucci e ritenendo Antonio troppo giovane, lo fece custodire dalla famiglia Marcucci.
Antonio era un tornado. Stabiliva rapporti con decine e decine di giovani e con un numero imprecisato di famiglie che avrebbe poi continuato a seguire per tutta la vita assieme a quelle conosciute negli anni di Bergamo. Questa è stata una caratteristica fondamentale della sua vita. Ha sempre avuto un’automobile Alfa Romeo, prevalentemente una Alfa 75 rossa, sempre un po’ scassata, sempre con le bombole a gas per risparmiare. Inseguiva gli amici in ogni parte d’Italia. Io sostenevo che egli era l’inventore di una nuova religione che chiamavo “maffuccianesimo”, la religione dell’essere dovunque, e avevo inventato questa battuta: “Dio è dovunque. Maffucci ci è già stato”.
Quando don Giacomo Tantardini divenne parroco a Roma nel quartiere Tor Vergata, dove sarebbe sorta l’Università, lo volle come viceparroco. Maffucci da Pescara si trasferì a Roma. Quand’era a Pescara ci vedevamo raramente, talvolta a metà strada in un autogrill autostradale. A Roma, invece, la frequenza divenne assidua. Nel frattempo era nata la Fraternità san Carlo. In sei preti provenienti tutti dalla Comunità missionaria del Paradiso, fondammo – il 14 settembre 1985 -quella che sarebbe diventata una Società di Vita Apostolica diffusa in tutto il mondo. Maffucci era naturalmente tra quei 6.
Nel 1991 don Angelo Scola divenne vescovo di Grosseto e volle una casa della San Carlo affidandole una parrocchia a Punta Ala. Maffucci ne divenne il parroco. Contemporaneamente continuò il suo insegnamento di religione nei licei che a poco a poco lo assorbì interamente. Lasciò la parrocchia errando di casa in casa, come d’altra parte aveva sempre fatto. Un’apolide di Dio che non ha mai avuto sosta. Temevo sempre di svegliarmi di notte al suono del telefono dove una voce mi annunciava che Antonio era morto per un incidente automobilistico. Invece non accadde mai. Intanto intorno a lui, oltre agli studenti, si andava radunando una folla di uomini e donne bisognosi di preghiere. Cominciarono i viaggi a Međugorje e in tanti santuari. Si approfondì la sua confidenza con Maria, la Madre di Dio, e con le apparizioni mariane. Divenne il padre spirituale di un numero imprecisato di persone che nessuno di noi conosceva e che a poco a poco costituirono la sua nuova famiglia.
Diventato io vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e andato lui in pensione dalla scuola lo chiamai, nel 2017, a custodire il tesoro del martirio del beato Rolando Rivi diventando rettore del santuario di San Valentino. A lui si devono molte delle iniziative di questi tre anni.
In questo periodo incontra Alleanza Cattolica e il messaggio controrivoluzionario. Grazie a lui l’associazione organizza presso il Santuario diversi incontri, fra i quali in particolare quello del 12 maggio 2019 sul tema “L’unica Europa possibile attraverso il passato e il presente della nazione polacca”, che vede, peraltro, la partecipazione dello scrittore e vaticanista polacco Wlodzimierz Redzioch.
Lascia come “testamento spirituale” quanto scritto ad amici e conoscenti un anno prima, in occasione del suo settantesimo compleanno: «L’8 ottobre per me è un giorno dove non si può che ringraziare per il dono della vita. Potevamo non esserci…e non ho fatto nulla per essere dentro questa immensa realtà! Esisto ed esistiamo non come una delle tante cose, ma come persona, con la libertà, la volontà e l’intelligenza. ‘Chiamati’ nella vita. Questa è la cosa grande che ad un certo punto si scopre e si capisce. Non un semplice esserci, un esserci inconsapevole, inconscio, ma con la coscienza di essere persone! E la caratteristica dell’esserci come ‘persona’ porta alla scoperta della vita come responsabilità, chiamati per nome a ‘rispondere’. E’ vertiginoso. Un compito!!! Questo vuol dire riconoscere un autore del tutto che ci invita ad essere collaboratori della sua creazione. Per me l’avvenimento cristiano, con il suo apice che è l’Incarnazione – il Dio che si fa uomo come noi (Verbum caro factum est) – è stato ciò che mi ha permesso di comprendere e capire la grandezza e la bellezza della vita e soprattutto scoprire il mio essere voluto e amato, proprio nel potere essere parte di una storia. Una storia dove ha potuto prendere forma quella modalità con cui sono stato chiamato a vivere la ‘responsabilità’, che è la caratteristica fondamentale dell’esistenza: il Sacerdozio”.
Ora il Covid, improvvisamente, lo ha portato via dalla nostra vista, ma non dal nostro affetto e, soprattutto, gli ha concesso di godere nella gioiosa comunione con Dio e con i santi quella pace che il suo cuore cercava.