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25 maggio, 2019

Buon compleanno Padre Pio. Pietrelcina 25 maggio 1887

 Buon compleanno Padre Pio. Pietrelcina 25 maggio 1887

Scritto da

 Simona Marmorino


Pietrelcina: è qui che è nato Padre Pio

È qui che è nato Padre Pio, è qui che ha vissuto da bambino ed adolescente, è qui che è tornato tante volte, studente cappuccino, negli anni della formazione religiosa e poi quelli del primo sacerdozio, ogni volta che i medici stabilivano che solo l’aria salutare del paese natale poteva aiutare la sua salute così spesso vacillante. “Io di Pietrelcina ricordo pietra su pietra, la tengo tutta chiusa nel mio cuore” diceva Padre Pio.

Una famiglia di contadini, quella dove era nato Francesco quarto di 7 figli. Il padre Grazio Maria Forgione aveva allora 26 anni e la madre Maria Giuseppa De Nunzio 28. Come si usava allora, e come prima dopo per i fratelli e le sorelle, venne al mondo nell’umile e povera casa in Vico Storto Valle al numero 27, nel rione castello, che è la parte più  alta di Pietrelcina: piccole abitazioni antiche di secoli, costruite con la stessa pietra grigia su cui sorgono, addossate l’una all’altra in lunghe file che danno su vicoli e vicoletti ombrosi. Una casa che in realtà era solo la camera da letto dei genitori e un altro locale: 13 metri quadri in tutti col pavimento in terra battuta, il soffitto di tavole e cannucce e una finestra che dà sulla valle piena di luce.

Era stata sufficiente quando i Forgione erano solo due giovani sposi, ma puoi Grazio, che aveva solo una minuscola Masseria a Piana romana, un solo locale e qualche etto di terra, dovette migrare in america a New York per guadagnare e comprare a Pietrelcina un altro pezzo di casa, una porta più in là, dove fare la cucina, la sala da pranzo e anche la stanza dei ragazzi più grandi. Intanto mamma Peppa  stava lì al paese con i figli da tirar grandi,con il campo da lavorare e le poche pecore di cui occuparsi per poter vivere.

Papà Grazio

Papà Grazio era nato a Pietrelcina il 22 ottobre del 1870, era un contadino ma risultava iscritto all’anagrafe del comune come possidente per via delle case di vico storto Valle e della Masseria di Piano Romana, quel locale in cui ripararsi d’estate e custodire gli attrezzi con i muri di pietra grezza e il pavimento di ciottoli, ma anche per l’annesso fazzoletto di terra coltivato a grano e vigna con quattro pecore e una capra.Era tanto buono non sapeva far male a nessuno, neppure ad una formica, che riusciva a scansare per non schiacciarla. Aveva tanta fede in Dio e un’innata religiosità; non mangiava mai carne di venerdì e in quaresima, si asteneva dal bere liquori, vino e perfino il latte, si  imponeva severe penitenze. Tra le giovinette del rione Castello scelse Maria Giuseppa De nunzio, una “massaia”.

Mamma Peppa

Mamma Peppa anche lei era popolana ma con tratti da signora. All’anagrafe era Maria Giuseppa De Nunzio. I paesani la ricordano come una donna dal fisico snello che nonostante la grande povertà, era sempre in ordine e con in testa un fazzoletto bianco fresco di bucato che cambiava tutti i giorni. Sì preparò alle nozze secondo le tradizioni, e affido alla Madonna della Libera, patrona del paese, la sua famiglia nascente.

Dopo il matrimonio le sue giornate cominciano ad essere davvero intense; Ai primi chiarori dell’alba si recava più volte alla fontana, con una grossa blocca sulla testa, per fare la provvista dell’acqua, poi se non c’era pane nella madia preparava due grosse pagnotte  che portava a cuocere al forno del rione, oppure, lavava le lenzuola e i panni da lavoro di marito.

Il giorno della nascita di Padre Pio, il 25 maggio 1887, mamma Peppa stava lavorando in campagna col marito quando avverti le prime doglie. Gli disse di non preoccuparsi di finire il lavoro, mentre lei si avviava a piedi da Piana Romana per scendere giù dal paese. Qui si mise a letto e come già aveva fatto per gli altri figli, mandò a chiamare la levatrice. Erano le 5 del pomeriggio quando la lavatrice le disse “Peppa il bambino è nato avvolto in un velo bianco ed è un buon segno: sarà un bimbo grande fortunato” Quella ingenua predilezione ai è poi rivelata davvero profetica.

09 maggio, 2019

Aldo Moro, devoto e discepolo di Padre Pio

 Prima d'essere ucciso ha compreso il senso dell’offerta vittimale.

Il mistico Cappuccino in tre circostanze previde la sua morte violenta.


Scritto da Francesco Bosco

Per tanti anni ha festeggiato il suo compleanno il 23 settembre, ignaro che in quella data avrebbe terminato il suo cammino terreno Padre Pio, di cui era molto devoto. Aldo Moro lo incontrò per l’ultima volta il 15 maggio 1968. Era in Puglia per la campagna elettorale nella sua storica circoscrizione per la Camera dei Deputati, la Bari – Foggia. Stava per concludersi la quarta legislatura dell’era repubblicana, di cui lo statista di Maglie era stato l’indiscusso protagonista. Infatti, dopo un governo balneare monocolore DC guidato da Giovanni Leone, i tre successivi, tutti quadripartito (DC, PSI, PSDI e PRI), furono presieduti da Moro, che rimase ininterrottamente a Palazzo Chigi fino al naturale scioglimento delle Camere. Le numerose foto di quel 15 maggio 1968 consegnano alla storia l’immagine di un colloquio sereno, cordiale.


Lo stesso leader politico ricordò «con commozione la benevolenza» che gli aveva riservato il Frate stimmatizzato, nel telegramma di cordoglio inviato al convento di San Giovanni Rotondo nel settembre di quell’anno (cfr. Positio super virtutibus, vol. I/1, p 51). Certamente il Presidente del Consiglio non poteva prevedere che quello sarebbe stato un addio. Il mistico Cappuccino, invece, sapeva quello che sarebbe accaduto dieci anni dopo. Lo ha rivelato Giovanni Gigliozzi in un’intervista che mi ha concesso nel 2002, parlandomi di un episodio avvenuto nel 1960: «Nel corridoio della cella di Padre Pio c’era un tavolo di vimini. Sul tavolo di vimini c’erano dei giornali. Padre Pio si soffermò un istante, guardò la copertina di uno di questi giornali, poi si portò le mani davanti alla faccia e disse: “Dio, quanto sangue… quanto sangue… quanto sangue!”. Su quel giornale c’era la foto di Aldo Moro. Poi ho capito». Lo ha confermato una confidenza di padre Tarcisio da Cervinara a padre Marciano Morra e riportata da quest’ultimo nel suo libro Con Padre Pio a tu per tu. In un pomeriggio imprecisato del 1954, mentre si recava in chiesa per confessare, il Frate stigmatizzato si fermò, si irrigidì e rimase per pochi istanti con gli occhi sbarrati, come se stesse fissando qualcosa, e gridò: «Morooo!… Morooo!… Si muoreee!…».

Quindi tornò in sé e riprese a camminare, come se nulla fosse accaduto. Padre Tarcisio, che lo accompagnava, chiese spiegazioni per quel singolare comportamento. Ma non ottenne risposta. Nei giorni seguenti Padre Pio si chiuse in un insolito silenzio e non manifestò nessuno dei suoi consueti tratti di buonumore. Secondo l’avvocato Nicola Giampaolo, postulatore e incaricato di raccogliere la documentazione per la Causa di beatificazione e canonizzazione dell’esponente democristiano, «san Pio da Pietrelcina, durante una visita dello stesso statista a San Giovanni Rotondo, gli avrebbe preannunciato l’orrenda morte» anche personalmente (Aldo Moro. Un cristiano verso l’altare, p.61).


Il leader politico pugliese può essere certamente annoverato tra gli autentici devoti del Cappuccino stigmatizzato. Sono, infatti, documentati almeno tre suoi viaggi-pellegrinaggi a San Giovanni Rotondo: il primo negli anni Cinquanta, l’ultimo il 6 giugno 1976, per pregare sulla tomba di Padre Pio, poco più di un mese dopo le dimissioni dal suo ultimo mandato di presidente del Consiglio dei Ministri. Lo si deduce anche dalla testimonianza di monsignor Antonio Mennini, all’epoca vice parroco di Santa Lucia, oggi nunzio apostolico in servizio presso la Segreteria di Stato, che in un’intervista rilasciatami il 20 settembre scorso ha raccontato che spesso il suo amico Aldo Moro, «parlando della situazione italiana, diceva che, se ad una stagione di diritti non fosse subentrata una stagione di doveri, certamente il popolo italiano sarebbe andato incontro a molte difficoltà e aggiungeva: “Avremmo bisogno di santi come Padre Pio per sfuggire soprattutto alla morsa dell’egoismo”».

Sicuramente il giurista pugliese ha sempre seguito la stella polare del Vangelo nel suo percorso di impegno sociale e politico, a cominciare dalla sua adesione alla FUCI, nel novembre del 1934, subito dopo l’iscrizione alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, divenendone il presidente del circolo cittadino. Anche in questo ambito, come nel brillante e rapido curriculum di studente, il giovane Moro presto si fece notare per le sue doti di serietà e di impegno, soprattutto nell’organizzare il XXII Congresso nazionale FUCI, che si svolse nel capoluogo pugliese nel 1936. Per questo, tre anni dopo, Papa Pio XII lo nominò presidente nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, su suggerimento dell’allora mons. Giovanni Battista Montini, ex assistente ecclesiastico generale della FUCI nonché convinto estimatore di Padre Pio (cfr. Paolo VI, futuro santo e devoto di Padre Pio, in Voce di Padre Pio, settembre 2018, pp. 28-31). Un altro passo significativo nell’evoluzione del pensiero sociale di Moro, a due anni dall’inizio della sua carriera di docente universitario, è la partecipazione alla “Settimana teologica per laici”, che si svolse dal 18 al 24 luglio del 1943 presso l’eremo benedettino di Camaldoli, dove si riunirono circa 30 intellettuali cattolici (economisti, giuristi, sociologi, tecnici e dirigenti). Ne scaturì un documento programmatico, denominato appunto “Codice di Camaldoli”, da cui trasse ispirazione l’azione politica della Democrazia Cristiana. Tale percorso formativo ha orientato il pensiero del professore di Maglie, dal suo ingresso nel palazzo di Montecitorio come deputato dell’Assemblea Costituente fino all’ultimo giorno di prigionia nelle mani delle Brigate rosse, inducendolo alla costante e ostinata ricerca del dialogo per cercare di conquistare la convergenza tra i partiti, ravvisando in questa linea l’essenza della democrazia. Con la stessa coerenza egli riuscì a mantenere sempre viva la sua fede, come dimostra la corona del Rosario, visibilmente consumata, e la catenina con una medaglietta della Madonna, ritrovate nella Renault 4 rossa, accanto al suo corpo. E come confermano le parole, scritte nelle sue lettere durante il sequestro, che ricalcano la spiritualità di Padre Pio: «Ho solo capito in questi giorni che vuol dire che bisogna aggiungere la propria sofferenza alla sofferenza di Gesù Cristo per la salvezza del mondo». Questa fede gli ha dato la forza persino di perdonare i suoi sequestratori (cfr. A. VENEZIA – N. GIAMPAOLO, Occhi al Cielo, pp. 77 e s.).

La vita di Aldo Moro in breve

Nato a Maglie (LE) il 23 settembre 1916, dopo aver conseguito la maturità classica al liceo “Archita” di Taranto, nel 1938 si è laureato in giurisprudenza all’Università di Bari. Nel 1945 ha sposato, a Montemarciano (AN), Eleonora Chiavarelli. Dal matrimonio sono nati: Maria Fida (1946), Anna (1949), Agnese (1952) e Giovanni (1958). Ha cominciato ad insegnare nel 1941 presso l’Ateneo barese. Nel 1963 si è trasferito all’Università di Roma. Dopo una ultratrentennale attività politica, è stato rapito il 16 marzo 1978 e ucciso il 9 maggio dello stesso anno. Il 21 settembre 2012 è stato accettato il libello di domanda per l’avvio della Causa di beatificazione e canonizzazione.